Derattizzazione

di Vincenzo Jacovino


Il senso della comunità è in frantumi se il vicino, l’ospite o l’occasionale compagno di un istante sono percepiti come nemici. E’ in frantumi, soprattutto, se la difesa del territorio, o meglio del proprio orticello, è fatto, derogando dalle leggi, a livello di singolo. D’altro canto che genere di comunità è quella in cui, giorno dopo giorno, c’è l’assalto alla diligenza con furti, truffe, corruzioni, privilegi e sopraffazioni di ogni tipo e manca l’azione di controllo, di rispetto della legge oltre alla bonifica del territorio da tali malfattori, rozzi o vips che siano?
Tutto resta nell’assoluta impunità pur esistendo le leggi. E’ più che naturale, quindi, il diffondersi dell’inquietudine oltre al forte senso reale o percepito d’insicurezza e paura. L’angoscia porta ad individuare, necessariamente, un nemico che, nella situazione odierna, è l’immigrato anche il non clandestino. Dunque, lo straniero.
Si aggiunga poi che s’è delegato ad altri gruppi, senza però dare a questi ultimi condizioni più che sufficienti di vita, l’espletamento di alcune e diffuse attività di lavoro, quasi sempre le meno gratificanti, oltre all’amnesia, elemento di non poco conto, che ha colpito la comunità e il quadro è del tutto completo. Ecco che il vicino, il compagno di un istante, il diverso ma, soprattutto, l’ospite straniero è il nemico da combattere, da buttare in mare. Se tra gli ospiti, poi, c’è chi delinque, allora è l’intera etnia da cacciare. Per vincere l’angoscia e, più spesso, la paura si è portati a fare una pulizia radicale; come? Derattizzando, come si fa con topi e blatte, e al posto di acidi e veleni perché inquinano si utilizzano fuoco e fiamme, meno inquinanti e più persuasive. Purtroppo accade di frequente che

ai primi sintomi di vuoto
corriamo a metterci in cura
(N. Risi)

di violenza annullando ogni gusto di civiltà e di libertà. Né mai soffia nelle menti e nei cuori che un uomo va giudicato per quello che èe non per il gruppo a cui accade di appartenere”. (P. Levi) Non annullano, però, il gusto di curare i personali interessi al di fuori delle regole, eludendo ogni controllo. E’ una comunità, quella odierna, alla deriva se non perduta se i suoi componenti non riescono a cogliere lo stretto legame che unisce il benessere di ciascuno alla prosperità di tutti”. (A. de Tocqueville)
Un tempo la comunità era in grado di includere nel suo tessuto sociale anche gli esclusi operando con gradualità e sapienza l’inserimento nel tessuto comunitario del vicino o dell’ospite straniero, al rispetto delle leggi vigenti e nel caso di devianza comminare la giusta pena al singolo. La comunità di un tempo aveva radicata in sé il senso dell’accoglienza e, quindi, della solidarietà oltre al timoroso rispetto delle leggi ma tutto questo è stato sradicato dal diffuso benessere materiale inculcando, in ciascuno, il credo dell’indipendenza e dell’autosufficienza.
Il vicino, l’ospite o l’occasionale compagno di un istante non esistono e quando si materializzano diventano i nemici da buttare in mare o da derattizzare.

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