Il tevere raccoglie Roma

di Chiara Di Salvo

Dicembre 2008: Roma si riempie d’acqua e la città si paralizza.

Il Tevere è indomabile, cresce centimetro dopo centimetro e sembra non arrestarsi. Il biondo fiume non si risparmia e pare voglia, con l’acqua, far uscire dal suo letto tutto quello che contiene.

È stanco di raccogliere violenza.

Ma cosa potrebbe rigettare un fiume come il Tevere? Cosa contengono le sue sponde lunghe chilometri? La risposta è una sola: la Storia… e ovviamente non possiamo non pensare alle preziosità artistiche che disgraziatamente sono finite per sempre sul fondo.

Dal 1974 la Soprintendenza Archeologica di Roma ha dato inizio ad un’organica ricerca rivolta a studiare i fondali del Tevere. Ad oggi, sono più di 16.000 i reperti recuperati nel fiume e conservati presso il Museo Nazionale Romano. Un esempio d’indagine contemporanea è avvenuto nel 2005 con il progetto “Il Tevere racconta Roma”.

Questo studio ha permesso di viaggiare sul fondale del fiume grazie ad un metodo d’indagine particolarmente innovativo quale l’ecoscandaglio multifascio (Multibeam). Gli 80 km di “viaggio” sul Tevere costarono 170mila euro e vennero finanziati dall’Autorità di Bacino del Fiume Tevere e dalla Regione Lazio.

Sebbene lo scopo fosse quello di coniugare la sicurezza idraulica alla viabilità del fiume, si ebbero risultati anche sul versante storico-artistico. Infatti la missione, avviata inizialmente da soli scienziati ed ingegneri, si è dovuta presto avvalere di una consulenza archeologica.

Appare dunque chiaro che il fondo del Tevere contiene numerosi reperti antichi i quali, spesso, non sono del tutto sconosciuti alla bibliografia scientifica di settore: all’altezza dell’attuale Ponte Sublicio, tra Trastevere e Testaccio, proprio con l’ecoscandaglio multifascio sono stati ritrovati due piloni di un altro ponte non più esistente: con ogni probabilità è il Sublicius, il ponte fatto demolire da Sisto IV nel ‘400 ma ancora visibile, in piccola parte, alla fine del XVIII secolo.

La peculiarità del fiume Tevere è infatti quella di avere acque dolci e relativamente calme che, unite al limo fluviale, hanno permesso la conservazione anche di reperti lignei come le caseformi per la costruzione dei ponti antichi. Il vaglio del fiume ha restituito inoltre centinaia di frammenti ossei appartenenti ad animali uccisi durante i combattimenti circensi. L’esempio del Colosseo può essere un utile indicatore della mole di materiale che, attraverso i grandi collettori, raggiungeva il fiume per perdersi nel fondale sabbioso.

Di particolare interesse sono due ancore del III e II secolo a.C. recuperate presso Ripa Grande e le migliaia di monete e gli oggetti di vita quotidiana quali lucerne, dadi ed aghi. E non mancano relitti medievali carichi di pregevoli reperti architettonici con bassorilievi e statue di marmo.

Il bacino del Tevere, però, nel corso dei secoli ha ospitato non solo cose le preziose ma anche gli scarti della società che abbraccia con le sue curve.

E non serve nessun ecoscandaglio multifascio: la meravigliosa passeggiata lungo le sue sponde è spesso interrotta dalla visione di veri e propri rifiuti che affiorano dalle acque o si arenano a riva: pneumatici, bottiglie, oggetti di plastica buttati in acqua dai passanti, automobili ed elettrodomestici “ingombranti” sono solo alcuni dei “reperti di archeologia industriale” di questa società.

Ci si domanda perché non vengano pulite e bonificate le rive…

E mentre si attende una vera risposta, il Tevere si gonfia di rabbia.

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