IL CAPPELLO: BICENTENARIO

Maria Stefania Cimino





Misterioso, accativante e seducente. Il "cappello" svela e nasconde al contempo, questa, la chiave della sua insospettabile valenza erotica. Da secoli, la perla dell' abbigliamento accessorio occupa un posto d'onore nel teatro dell' espressione di sé, tradotta in abito.


Minimale o scultoreo, suggestiona e conquista creatori e compratori d'ogni epoca servendosi del suo indiscutibile fascino. Dalle isole caraibiche alle vette himalayane, incorona ed interpreta tradizioni e culture differenti, diventondone una personale proiezione estetica.
In barba alla centennale e ciclica presenza nel GLAM system, i cappelli tornano ad accarezzare le fantasie artistiche degli stilisti, tuffandosi in vernici cangianti o vestendosi di un anacronistico romanticismo.
Feltro e seta raccontano gloriosi trascorsi per oltre due secoli, dalla formalità londinese della bombetta chapliniana allo straoridinario utilizzo al femminile, in Bolivia e Peru'. Baschi anarchici e irriverenti corrono da un capo all' altro dell'Europa, incastonando perle per Chanel o puntellandosi di borchie per Denny Rose.

Come se non bastasse, a rendere tutto piu interessante, si aggiunge la quantità di aneddoti legati alla nascita o all' utlizzo di alcuni tipi di copricapo: fu Babe Ruth, fuoriclasse per gli Yankees del baseball anni 20, ad indossare il primo berretto con la visiera, portandolo così, al successo planetario che vanta tutt'oggi. Stessa sorte per l'enorme cappello di Hubert de Givenchy che rese immortale l'immagine di Audrey Hapburn in "Colazione da Tiffany".
Estrazione sociale, ribellione, condizione economica e predisposizione emotiva, un cappello puo' suggerire tutto questo!
Giuseppe Verdi, Duke Ellington e Slash dei Guns N' Roses, oltre che la musica, hanno condiviso una passione maniacale per il cilindro, feticcio aristocratico di indubbia eleganza. Marlene Dietrich, però, fu la prima donna a violare l'unicita' di genere cui era votato il cilindro, indossandolo nelle chiaccherate pellicole di Josef von Sternberg come ne " L'angelo azzurro" del 1930.

Il grande schermo tuttavia, premiò largamente anche l'italianità di Borsalino nel modello Fedora indossato da Humphrey Bogart e Federico Fellini, mitizzò l' esotismo di Rodolfo Valentino con la kefiah araba che, insieme alla shashia, rappresenta il "prodotto alchemico" di una filiera piuttosto bizzarra. La lana di quest' ultima calotta, infatti, viene filata a Mediana, insaponata e pestata a piedi nudi, immersa nelle acque del fiume Megerda e tinta del patriottico rosso tunisino. Coperta da un turbante, inoltre, ricorda il costume dei silenziosi Tuareg del deserto o dello stesso Valentino ne "Il figlio dello Sceicco". Per ultimare la celebrazione dei modelli piu' noti, ricorderemo il fez marocchino d'adozione ottomana indossato da Totò ne " Il turco napoletano" e il cappello in fibre di palma nana che grazie ad un' inflazionatissima immagine del presidente Theodore Roosevelt, in veste ufficiale alla cerimonia di inaugurazione del Canale di Panama, guadagnò il nome che lo rese popolare.

Negare che i cappelli cavalchino l'onda dei tempi, rifiorendo dalle proprie ceneri più o meno cinematografiche, è impensabile poi, se si guarda al risorgere della cloche parigina. L'enigmatica campana di feltro ridipinse lo sguardo di Edith Piaf come della più attuale Audrey Tautou, al suo pari, anche la dandyssima paglietta indossata da Gabriele D'annunzio come da Nino Taranto.
La verità è che spostarsi in lungo e in largo per il mondo, non potrà che suggerire quanto questo, in raltà, abbia le dimensione di un "paese" o quanto semplice sia globalizzarlo. Il punto è che per indossare un chullo di alpaca peruviano coi bon-bon, un sombrero vueltiao messicano o un colbalcco di montone russo è opportuno conoscerne le provenienze, se non altro, per evitare di incorrere in disguidi climatici o di asserire erroneamente di aver acquistato un fez a Londra!

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