Il sottilissimo filo


di Vincenzo Jacovino



Nelle ultime settimane si è fatto un gran parlare di vita e di morte. Si è blaterato intorno ai massimi sistemi con cognizione di causa in pochissime occasioni mentre, in tutte le altre, generalmente, la cognizione di causa era del tutto assente. La gente, poi, ha percorso con i movimenti aggraziati degli elefanti la rumorosa onda emotiva che tanto ha giocato e ancora gioca sul caso Englaro. Nessuno ha avuto il pudore di tacere, no.

E’ stata, e continua ad essere, una corsa all’insulto, alle grida inconsulte, a espressioni o dichiarazioni grevi da postribolo. Il che non meraviglia perché anche il caso di Eluana è diventato per milioni e milioni di Italiani il nuovo GF da seguire, spiare attraverso le telecamere. La politica, poi, non ha fatto sconti con le sue azioni e comportamenti miranti alla costante attuazione e convinzione di equivoci compromessi, ossia all’uso del prossenetismo.

Violenza e volgarità. E’ proprio vero che il mondo è un teatro dagli spettacoli spesso cattivi anche nelle loro umane evoluzioni.

La Englaro non era morta, è vero, ma non era neppure viva. Vivere con un sondino nasogastrico per l’alimentazione e l’idratazione è come essere trattenuti in sospensione da un sottilissimo filo. Nella polemica su quel sottilissimo filo, fra chi voleva reciderlo e chi non lo voleva, è emerso il nuovo e choccante problema etico-filosofico e sempre più religioso di questo inizio di terzo millennio, non solo, ma anche degli ultimi decenni del secolo scorso. Sembra che le meraviglie delle terapie intensive abbiano interamente obnubilato l’enunciato costituzionale sull’autonomia della persona.

E’ vero, le terapie intensive hanno ancor più rafforzato il radicamento alla vita però quale vita è quella rinchiusa in una gabbia per venti, trenta e più anni? Perché, questo sottilissimo filo finisce, talora, per diventare una gabbia, una prigione in cui si staziona per un tempo infinito in rapporto al tempo di vita normale.

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