di Vincenzo Jacovino
La fine del 2008 è stato accompagnato dall’interrogativo, colmo di speranzose aspettative: “A quando un Obama in Italia?”
Forse e probabilmente fra qualche secolo, perché nell’istante medesimo della proposizione essa cade nel vuoto. Le ragioni? Manca l’humus socio-politico necessario perché possa un tale seme fruttuosamente germogliare.
L’approfondimento delle ragioni porterebbe, purtroppo, a delle sgradite verità . Si dimentica che negli anni sessanta accadde qualcosa di simile. E’ vero, allora non ci si pose quell’interrogativo perché si era convinti che anche nel nostro bel Paese sarebbe accaduto un simile epocale cambiamento. E il cambiamento, in effetti, ci fu ma finalizzato, però, verso la gerontocrazia.
Se c’è un deficit culturale non è sufficiente un interrogativo ad annullarlo. Il perché? Ma è abbastanza evidente, perché non cade in un ambiente noto e familiare continuamente riscoperto, com’è nel caso degli USA, ma rotola in un ambiente ove il tasso d’invecchiamento è alto e le leve del comando continuano ad essere nelle mani dei gerontofili.
Sembra che per la gente, sparsa per contrade e città del Paese, lo sport o spot più affascinante sia rivedere il medesimo film, piangere o ridere sempre seguendo i microcosmi quotidiani degli stessi protagonisti. E tutto resta immobile per decenni tranne quel naturale miglioramento fisiologico dovuto alle spinte inerziali esterne al sistema.
“A quanto un Obama in Italia?” è un interrogativo retorico e intriso di tanta emotività sufficiente a soffocare pensiero, razionalità e quel poco di sentimento sociale esistente. Purtroppo l’interrogativo non fa parte del gossip, unico vero interesse del pubblico, a differenza degli eventi che turbano il sentimento sociale. In una società ove impera la mediocrità che senso e che presa può avere un simile interrogativo? Senz’altro, zero. Ed anche se, probabilmente, c’è coscienza della necessità di un radicale cambiamento però il tsunami di mediocrità e stupidità che inonda le nostre giornate tanto da espandersi “nelle strade della nostra cognizione, della nostra comunicazione” agisce da frullatore destruendi, ossia annulla quel po’ di coscienza che ancor soffia nel Paese e, soprattutto, rende afoni. Quando non si ha voce non si è protagonisti ma solo ed esclusivamente semplici spettatori.
La realtà , purtroppo, è ben altra cosa. Un Obama in Italia? Sarà come andare alla ricerca dell’isola che non c’è.
L’approfondimento delle ragioni porterebbe, purtroppo, a delle sgradite verità . Si dimentica che negli anni sessanta accadde qualcosa di simile. E’ vero, allora non ci si pose quell’interrogativo perché si era convinti che anche nel nostro bel Paese sarebbe accaduto un simile epocale cambiamento. E il cambiamento, in effetti, ci fu ma finalizzato, però, verso la gerontocrazia.
Se c’è un deficit culturale non è sufficiente un interrogativo ad annullarlo. Il perché? Ma è abbastanza evidente, perché non cade in un ambiente noto e familiare continuamente riscoperto, com’è nel caso degli USA, ma rotola in un ambiente ove il tasso d’invecchiamento è alto e le leve del comando continuano ad essere nelle mani dei gerontofili.
Sembra che per la gente, sparsa per contrade e città del Paese, lo sport o spot più affascinante sia rivedere il medesimo film, piangere o ridere sempre seguendo i microcosmi quotidiani degli stessi protagonisti. E tutto resta immobile per decenni tranne quel naturale miglioramento fisiologico dovuto alle spinte inerziali esterne al sistema.
“A quanto un Obama in Italia?” è un interrogativo retorico e intriso di tanta emotività sufficiente a soffocare pensiero, razionalità e quel poco di sentimento sociale esistente. Purtroppo l’interrogativo non fa parte del gossip, unico vero interesse del pubblico, a differenza degli eventi che turbano il sentimento sociale. In una società ove impera la mediocrità che senso e che presa può avere un simile interrogativo? Senz’altro, zero. Ed anche se, probabilmente, c’è coscienza della necessità di un radicale cambiamento però il tsunami di mediocrità e stupidità che inonda le nostre giornate tanto da espandersi “nelle strade della nostra cognizione, della nostra comunicazione” agisce da frullatore destruendi, ossia annulla quel po’ di coscienza che ancor soffia nel Paese e, soprattutto, rende afoni. Quando non si ha voce non si è protagonisti ma solo ed esclusivamente semplici spettatori.
La realtà , purtroppo, è ben altra cosa. Un Obama in Italia? Sarà come andare alla ricerca dell’isola che non c’è.
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