Il fascino oscuro della scrittura

di Vincenzo Jacovino


La De Judicibus Lisena continua ad assecondare il fascino oscuro della scrittura pubblicando con una puntuale e metodica periodicità pensieri, emozioni ed evocazioni e, tutte le volte, l’ineffabilità del sentimento non si esaurisce con la parola ma grazie ad essa traspare quello che è suo proprio: l’intima essenza del dire/non dire. In “Le parole, i silenzi”, edizioni la nuova Mezzina, l’artista accompagna i moti e i particolari stati d’animo nel suo farsi per abbandonarli, poi, quando l’inesprimibile acquista la sua fugace forma. Il sentimento si fa parola quasi sempre orlata di silenzio perché in esso risiede l’inespresso che è costitutivo delle emozioni, delle evocazioni e La De Judicibus Lisena riesce, sovente, a porsi in ascolto e a trasmette con efficacia il suo intimo sentire.

Il volume oltre alle poesie contiene, a corredo, alcuni racconti con l’intento di esplicitare alcuni stati d’animo, come: la gioia, la tristezza, lo sgomento e la paura. Ma sono sentimenti che la poesia effettua una più incisiva introiezione.

E’ vero, si scrive anche a due mani ma leggere “A quattr’occhi” (edizione Accad. Internaz.le dei Dioscuri), credo che crei non poche difficoltà, a meno che non si intenda di un lettore munito di occhiali. Roberto Rebuzzi non lo lascia trapelare ma il suo “A quattr’occhi”, un’interessante miscellanea di scritti, non provoca alcuna diplopia anche se “autore e recensore a confronto” nulla fanno per evitare che tale fenomeno possa verificarsi. Rischio sempre presente specie laddove l’autore si fa totalmente coinvolgere e, normalmente, quando si è troppo coinvolti la lucidità scompare tanto da obnubilare il recensore, allora la doppia immagine è più che naturale che possa manifestarsi.

Questa corposa miscellanea contiene alcuni testi poetici del Rebuzzi dai quali si può riscontrare l’incontaminata spontaneità dell’autore, il quale “ha inteso raccontare anche le avventure della sua anima in mezzo ai voli altrui, (....), per divenire egli stesso autore, fugace ma offerto al giudizio di altri autori “.

Le immagini femminili, quasi mai castigate ma sempre osé (metafora snob), o la forza di certi siparietti che irrompono nella vita vera, in “tempo reale”, contano più delle parole, è vero. Anche per questo non ci si sorprende di fronte a testi i cui “temi e patemi di audacia letteraria” sfociano in quel particolare “armamentario erotico” del solito e, forse, gaudente e “impenitente eterosessuale” che nonostante la tarda età sogna di assediare, conquistare e possedere Venere, nel corpo e nell’anima.

Nei suoi “HardImenti”, (edizioni “Le Nuvole Teatro” – Roma), Gianni Amodio conquista si, più che Venere, la tranquillità interiore nonché la “sublimazione di una tensione libera, schietta, naturale ed esteticamente elegante che si proietta verso la catarsi da ogni sensazione di materialità”. E qui la parola conta più di qualsivoglia immagine; è una realtà contro la quale non ci si può andare perché


Parole ingarbugliate

distolgono dal Discorso

delle conclusioni mancate

rimaste nella testa

per non scaderle in basso.


Gli “HardImenti” di Amodio sono propositi chiari ma mai attuati? O semplicemente inattuabili? Quando a migliaia i sogni assediano la mente e il desiderio assedia il corpo, allora le parole e il fascino malioso della scrittura tentano, comunque, di accompagnare “la vita personale” con il sentimento dell’”AMORE: quello autentico, che non conosce età, vincoli o barriere”.





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