di Gordiano Lupi
Gianni Minà affronta il fenomeno Yoani Sánchez, rompendo un silenzio che dura da due anni, per definirla con tono sprezzante una blogger di moda. Fino a questo momento si era limitato a ignorarla, ma visto che anche Fidel Castro ha dovuto ammetterne l’esistenza per controbattere i racconti - verità, anche il più fedele sostenitore della dittatura comunista si è sentito in dovere di scendere in campo.
Niente di nuovo sotto il sole. Le opinioni di Minà riguardo alle critiche su un regime liberticida sono come le prese di posizione di Emilio Fede nei confronti di Silvio Berlusconi. Veline di partito, statistiche ufficiali, frasi fatte, retorica come se piovesse e una spruzzatina di illazioni maligne per far capire che non c’è niente di sincero, che il fenomeno Yoani Sánchez è costruito da qualcuno che si trova molto in alto.
Forse la giovane blogger comincia a dare fastidio, dopo l’uscita di Cuba libre – Scrivere e vivere all’Avana edito da Rizzoli. Il libro sta andando bene, è tra i più venduti in Italia nella categoria non fiction di autori stranieri. Gianni Minà critica la scrittrice cubana, ma non scende sul piano dei contenuti letterari e dei racconti di vita quotidiana. Prende come pretesto una lettera di un frequentatore del suo blog (che non ammette commenti, al contrario di Generación Y), afferma che non è vero che il lavoro di Yoani Sanchez, “la bloggera che sfida Castro”, sia scevro da ideologie o interessi politici. Parla di propaganda che le viene fatta nel nostro paese e di un’operazione mediatica orchestrata ad arte. Niente di più assurdo.
Yoani Sánchez gestisce da due anni un blog frequentatissimo nel quale - per la prima volta dai tempi di Heberto Padilla (Minà conosce Fuori dal gioco? Suppongo di no) - si parla di Cuba senza ideologie, raccontando il quotidiano e le difficoltà di sopravvivere in un mondo privo di libertà e di speranze per il futuro. Gianni Minà pare non capirlo e recita a memoria un vecchio copione fatto di frasi fatte, prelevato di peso dalle colonne del Granma o dai notiziari di Cubavision, parla di un continente che chiede la cancellazione dell’embargo, di presidenti presentabili come Lula, Chavez, Evo Morales, Correa… racconta di record cubani nell’educazione, nella sanità, nella protezione sociale, nella cultura, nello sport, di un blocco economico insensato e ingiusto...
Yoani Sánchez è la prima a chiedere la cancellazione dell’embargo, ma sa bene che il blocco economico USA non è il solo problema della sua terra, ma soltanto uno dei problemi. Ben altre sono le cose che vorrebbero i giovani cubani, strani oggetti chiamati libertà di parola, di movimento, di stampa, di espressione del pensiero, persino libertà economica, certo, senza timore di dire una bestemmia. I ragazzi cubani vorrebbero la fine di un assurdo sistema monetario, che vede stipendi pagati in pesos e beni di prima necessità acquistati con una finta moneta (il peso convertibile) parificata al dollaro.
I ragazzi cubani vivono solo privazioni e il primo a saperlo è proprio Minà, solo che non può dirlo. In compenso racconta la favola di una Cuba, pur con tutti i suoi errori, diversa, più libera, dai paesi che invece, negli anni, sono stati prigionieri del neoliberismo e del mercato, come quelli delle villas miserias delle grandi città o come i trenta milioni di bambini randagi del continente.
I cubani sono liberi di fare cosa? Forse di ubbidire, di sfilare in massa il primo maggio, durante una messa in scena grandiosa in piazza della Rivoluzione, di fare la fila per una malanga, di chiedere il permesso di uscita dal paese e di vederselo negare, di fuggire a bordo di una zattera, di sposare uno straniero per guadagnare la libertà…
Gianni Minà afferma che la Sanchez è sconosciuta a Cuba. Certo che è così. Forse Minà non sa che a Cuba manca la libera informazione? Chi dovrebbe parlare di Yoani Sánchez in una realtà dominata da un quotidiano unico nazionale e da una televisione di partito? Gianni Minà crede forse che a Cuba si possa leggere il blog di Yoani Sánchez? Si informi, allora, prima di dire cose avventate e di andare a girare un documentario sulla rivoluzione alloggiando nelle segrete stanze del potere e parlando non con veri cubani, ma con persone addomesticate dal regime. A Cuba, tanto per fare qualche esempio, non sono noti neppure Reinaldo Arenas, Cabrera Infante, Zoé Valdés, Pedro Juan Gutierrez e Abilio Estévez, ma restano grandi scrittori cubani, apprezzati in tutto il mondo libero ma non nella loro patria.
Gianni Minà prosegue con la solita storia dei dissidenti finanziati dalla CIA e in combutta con i terroristi internazionali. Racconta di una presidenza Bush che ha stanziato milioni di dollari per “un cambio rapido e drastico a Cuba” (140 milioni nel 2007, 45, data la crisi economica, nel 2008). Aggiunge che molti di questi soldi venivano rubati dalle presunte organizzazioni per la democrazia a Cuba, ma evidentemente buona parte è servita per “ungere” chi poteva creare malessere nella società cubana… Ci vuol far credere a una vera e propria “strategia della tensione” avvenuta nel 2003 con dirottamenti di aerei e sequestri del ferry boat di Regla… (erano disperati che scappavano, Minà, non terroristi). Parla di uno sforzo palese per controbattere il vento di simpatia, nei riguardi di Cuba, che attualmente spira nel continente latinoamericano e anche nella parte progressista degli Stati Uniti.
Non è possibile permettere simili illazioni senza replicare con forza.
Tra le righe si legge l’accusa che Yoani sarebbe una creatura costruita da qualcuno che manovra nell’ombra contro il regime cubano. Non si permetta tanto, egregio Minà. Traduco il blog di Yoani da quando nessuno la conosceva, credo in lei da sempre, sono tra le persone che ha voluto l’edizione del suo libro per un grande editore italiano. So con certezza che tutto è nato spontaneamente, per dare vita alle voci della strada, per far parlare la Cuba nascosta, in un vero e proprio esorcismo personale, che permette a una giovane blogger di impersonare la protesta silenziosa e senza colore politico che corre lungo le strade dell’Isola. Il mio lavoro di traduzione è da sempre puro volontariato al servizio della verità e del popolo cubano che ha finalmente trovato il suo interprete. Non ci sono soldi della CIA, egregio Minà. Per favore la faccia finita con questa tiritera che ha stancato tutti. Non servono soldi per raccontare la verità, servono soltanto gli attributi che questa ragazzina dimostra di possedere.
Yoani Sánchez descrive con realismo la Cuba contemporanea, dalla parte del cittadino che giorno dopo giorno è costretto a inventare il modo per sopravvivere. I suoi brevi racconti sono dei bozzetti a metà strada tra la metafora e il realismo più crudo, immersi nella vita quotidiana delle due anime di Cuba, ricchi di riferimenti a scrittori del passato dimenticati dalla cultura ufficiale, come Padilla, Cabrera Infante, Arenas e Lima. Yoani sogna una Cuba trasformata in un luogo dove ci si possa fermare a un angolo e gridare: “In questo paese non c’è libertà di espressione!”. Perché vorrebbe dire che le cose sono cambiate e si può cominciare a pronunciare la parola libertà. Si dichiara disponibile a scambiare gli alimenti somministrati con la tessera del razionamento alimentare per una cucchiaiata di diritti civili, una libbra di libertà di movimento e due once di libera iniziativa economica. Percorre le strade di due città diverse, quella dei membri del partito, dei generali, dei dirigenti di Stato e quella della povera gente che vive nella desolazione dei quartieri periferici, nelle casupole cadenti e nei rifugi costruiti per i senza tetto. Vive un’utopia che non è più la sua e non vorrebbe lasciarla in dote ai suoi figli, analizza le contraddizioni di chi fatica a mettere insieme il pranzo con la cena ma sogna vestiti di marca e profumi. Assiste alle fughe di personaggi famosi e di semplici cittadini esasperati, critica il governo per le promesse disattese, ricorda il passato e analizza lo stato deplorevole della cultura di regime. Yoani si scaglia contro il doppio sistema monetario e narra la realtà del mercato nero, unica fonte di sostentamento, perché la maggioranza dei cubani vive di ciò che i venditori informali portano nelle loro case.
Tutto questo è davvero rivoluzionario. Altro che la retorica di regime!
Il grande giornalista amico di Fidel bacchetta pure L’Unità, rea di aver concesso troppa attenzione a Yoani Sánchez e perché cita spesso Freedom House, un’agenzia sovvenzionata dai governi di Washington, come riferimento indiscutibile per dare le pagelle sulla libertà di stampa. Dulcis in fundo pure Internazionale - nota rivista di destra con simpatie liberticide - finisce nel mirino del grande Minà. Il peccato di Internazionale sta nell’aver affidato alla Sánchez una rubrica fissa dove racconta la Cuba quotidiana.
Siamo alle solite. Il regime cubano mette in campo tutte le sue forze per controbattere il tentativo di raccontare il vero volto di Cuba, al di là dei giochi politici e della retorica di regime. Lasciatemi dire che preferisco la spontaneità di una piccola blogger come Yoani a un presidente presentabile come Chávez. A ognuno i suoi miti.
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