Morire di lavoro

di Valeria Del Forno

Incidenti il più delle volte mortali e che avvengono per mancanza di sicurezza sul posto di lavoro. Sono queste le morti bianche. Una storia senza fine che, a causa della mancanza di investimenti in sicurezza e negligenza nei controlli, continua a mietere vittime. Inaccettabili e assurde le cifre e le cause per un Paese come il nostro, tra i più progrediti al mondo.


Un morto ogni sette ore, questi sono i dati sulle morti cosiddette bianche, le morti avvenute per mancanza di sicurezza sul posto di lavoro. Alcune sono più eclatanti e fanno più notizia. Altre, centinaia o migliaia, sono più nascoste e si riducono a dei piccoli trafiletti sui giornali.
Morti sotto silenzio, senza nome e cognome, o incidenti clamorosi di cui si parla per settimane, qualunque sia il modo, la guerra che si combatte, giorno per giorno, sui luoghi di lavoro è tutta in queste cifre: 1260 le vittime in Italia nel 2007, un tributo di vite umane inaccettabile per uno dei paesi più ricchi e progrediti al mondo.

Nei cantieri, ad esempio, gli infortuni mortali nelle costruzioni sono stati 235 nel 2007 dei quali il 16,6% immigrati. Le cause vanno dal 42,55% di chi cade dall'alto al 20,85% di chi è travolto da mezzi meccanici al 14,89% di coloro che sono travolti da materiali di lavoro.
I costi dei danni derivati dagli infortuni sul lavoro sono valutati in oltre 45,44 miliardi di euro: un prezzo altissimo in termini economici e incommensurabile in termini di perdite di vite umane.

Dietro le cause apparenti, si nascondono scenari più atroci: l’illegalità, l’imprudenza e soprattutto l'avidità di imprese irresponsabili che si ostinano a ignorare le norme sulla sicurezza, trascurando i diritti dei lavoratori e il rispetto stesso della vita umana pur di inseguire la logica del profitto. Una logica che esercita una pressione enorme sui dipendenti, tenuti a rispettare con rigore orari e condizioni lavorative predeterminate per salari spesso modesti; ma che non offre adeguati sistemi di vigilanza nei cantieri e nelle fabbriche e piena agibilità anche per i delegati alla sicurezza. Così il numero delle imprese italiane che presenta rischi elevati nelle condizioni di lavoro è quasi il quaranta per cento e la causa è sempre la mancanza di investimenti in sicurezza.

Tenendo conto che le strutture deputate al Controllo e alla Vigilanza sui luoghi di lavoro in Italia, esistono in tutte le ASL, vediamo nei dettagli il rapporto forza lavoro e attività svolta.
Risulta che sono 853 i medici del lavoro (1 ogni 6.000 aziende circa) e che 266 sono i tecnici laureati (ingegneri, chimici, biologi, ecc.), (1 ogni 20.000 aziende circa) e 2.150 tecnici della prevenzione NON laureati (1 ogni 2.790 aziende circa). Dati che ci fanno comprendere quanto la "capacità" sia "quantitativa" sia "qualitativa" delle ispezioni sia ben lontana dalla legalità.

COMPLICE LA CRISI
Al quadro si aggiunge anche l’economia in recessione. Al riguardo, appare assai preoccupante il quadro che ieri è stato offerto dall'Istat, in occasione della presentazione dell'annuale Rapporto sull'Italia. Il ceto medio si sta restringendo e un numero crescente di famiglie fatica ad arrivare a fine mese. Ciò implica fatalmente lavoratori sempre più disposti ad accettare impieghi a rischio, imprese impossibilitate a fare nuovi investimenti, e in generale un sistema produttivo che non è in grado di transitare da tecnologie «pesanti».

Tuttavia le morti bianche hanno cause ben precise, evidenti agli occhi di tutti. Non serve tanto invocare nuove leggi, quanto applicare con rigore quelle che già esistono e troppo spesso vengono disattese per insufficienza o negligenza dei controlli. Quando il profitto diventa un elemento più importante della stessa vita umana siamo in presenza di un'involuzione culturale della nostra specie. Non si tratta solo di una dichiarazione d’intenti e di una battaglia politica ma di una vera battaglia di civiltà.

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