sotto le finestre le auto vanno veloci

Natty Patanè


paesaggi di quasi estate
Sotto la finestra le auto vanno veloci, sembra quasi che inseguano qualcosa, un appuntamento, un abbaglio, la voglia di vivere.
Le strade del centro si sono riempite di ragazzi, jeans vita bassa, capelli lisci sul volto.
Tatuaggi irridono, nascondendosi intermittenti sotto bordi di camicette leggere, le ragazze sorridono nascondendosi con la mano.
Sembra l’inizio di una estate, dovrebbe essere l’inizio d’estate, e nei giovani occhi luminosi sembrano cancellarsi i veleni della fabbrica, il dolore di una terra instabile che sembra lontana, l’attesa attonita di un lavoro che non c’è.
A cosa pensano quei ragazzi sotto i capelli stirati con la piastra?
Cosa sarà domani di quei tatuaggi seminascosti?
Tanti di loro parlano e sognano di trasferimenti, di università lontane, qualsiasi facoltà purchè lontano! Altri amoreggiano, sulle panchine seminascoste dagli alberi di una piazzetta. A poca distanza cani randagi si accoccolano sotto la pensilina degli autobus.
E’ quasi l’ora dei turnisti dell’ILVA, quelli che non sono in cassa integrazione, quelli che aspettano con lo zainetto sulle spalle stringendo tra il pollice e l’indice l’ennesima sigaretta, qualche battuta coi colleghi e poi il silenzio a stemperare il rumore della fabbrica che li aspetta, con le sue ruggini, i carboni, le scintille e gli incidenti. Incidenti, che le morti, talvolta, prendono questo nome che sembra quasi gentile, dove di gentilezza non c’è traccia.
Gli autobus borbotteranno lenti, attraverseranno paesi arruffati come gatti in lotta e campagne in alcuni tratti maleodoranti di discariche. Uno scempio che ha solo offuscato la bellezza di questi posti, l’ha fatta dimenticare quasi. Lo si legge nello stupore che suscitano le parole di un uomo di Terlizzi, serio e forte, che richiama la vocazione al bello di questa terra, la necessità di riappropriarsi di una dimensione estetica per troppo tempo dimenticata, non come contemplazione passiva ma come valore da promuovere, come motore di un cambiamento ancora possibile.
Tra gli ulivi che indomiti si ergono a testimonianza della storia appare come un neologismo la parola “diossina” come se fosse quasi un’invenzione filologica, qualcuno attacca in maniera scomposta una legge, avanzatissima, che finalmente chiede di rispettare la vita, dei luoghi, della gente, la attacca come se volesse contrapporre lavoro a vita, dimenticando che lavoro può, deve, coniugarsi con vita.
I ragazzi sciamano verso casa digitando sms sui cellulari, hanno visto le immagini dei coetanei iraniani scandire slogan tra fumogeni e spari, hanno visto gli occhi della morte giovane. Chissà se hanno avuto le stesse emozioni che ebbi io da bambino guardando il fumo e la polvere alzarsi dal Cile visto in TV? Qualcuno di loro continua a inviare sms mentre va verso casa, su qualche tetto insieme alle parabole spuntano pannelli solari e in alcuni casi fotovoltaici, c’è anche qualcosa che cambia in meglio in fondo, quei ragazzi lo capiranno se gli si lascia la possibilità di capire, di chiedere, sapere.
La piazza si svuota lenta e acquista il fascino dell’abbandono, i soliti cani vagano, adesso indisturbati, i semafori lampeggiano, fuori dal paese la campagna dirada lieve verso il mare e la notte che incombe la dipinge di una forza che sembra immutabile, inattaccabile, la ingravida di speranze e del sogno di un futuro che s’apre ad occhi attenti e ad un rispetto nuovo.
Le auto continuano a sfrecciare, di tanto in tanto uno scooter rumoreggia.
I ragazzi forse andranno via, a vedere altro, ma oggi gli si chiede di tornare, oggi si spera che i nostri ragazzi possano partire senza fuggire

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