Another brick in the wall

Giuseppe Gavazza

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Ho in mente il video commovente di Mstislav Rostropovich che suona sotto il muro di Berlino a poche ore dalla sua caduta, il 9 novembre del 1989. Il grandissimo violoncellista era a Parigi, attonito davanti alla TV: imbracciato il suo prezioso Stradivari del 1711 salƬ sul primo volo per improvvisare un concerto ai piedi di un muro che stava, finalmente e inaspettatamente, crollando: Johann Sebastian Bach, Suites per violoncello: cosa meglio ?

Quando sono andato al Muro di Berlino non ĆØ stato un atto politico, ma personale. Ero a Parigi, la sera ho telefonato a un amico che mi ha detto di accendere immediatamente il televisore, era di sera. All’inizio non capivo, guardavo quelle immagini e non capivo. Quando ho capito le lacrime hanno iniziato a scendere. Il Muro di Berlino nella mia vita ha avuto il ruolo di una cicatrice sul cuore. Avevo 47 anni quando mi hanno cacciato dall’Unione Sovietica, dopo i 47 anni ĆØ iniziata un’altra vita. E queste due vite non si sono mai riunite. Quando ho visto che buttavano giĆ¹ il Muro di Berlino ho pensato che finalmente avrei potuto avere la speranza che queste due parti della mia vita potessero ricongiungersi. E come un pazzo la mattina successiva ho preso il violoncello, sono salito su un aereo. Non sono andato a Berlino a suonare per la gente, sono andato lƬ a suonare affinchĆ© Dio mi ascoltasse, direttamente dal Muro di Berlino. Una specie di preghiera di ringraziamento a Dio. E davvero, dopo quel giorno, le mie due vite si sono riunite”.

Ho pensato che proprio Rostropovich, russo, esule, ebreo, violoncellista poteva farlo e non altri perchĆ© altri non avevano vissuto in prima persona la scissione della cortina di ferro ma non solo; se, poniamo, Sviatoslav Richter o Vladimir Horowitz avessero pensato di farlo, ben piĆ¹ difficilmente avrebbero potuto portare davanti alla porta di Brandeburgo i quintali del fedele pianoforte grancoda.


E mi ĆØ venuta in mente la storiella di chi chiede ad un ebreo:”Ma come mai ci sono cosƬ tanti eccellenti violinisti ebrei? E lui risponde: hai mai provato a scappare portandoti dietro un pianoforte?”


La storia mi era stata raccontata da Sergio Liberovici - con cui in quegli anni si faceva buona musica nelle scuole, finchĆ© anche il suo cuore non ĆØ crollato, due anni dopo, novembre 1991 - che nei suoi cenni autobiografici per i Quaderni di musica nuova (n.3, Torino, novembre 1989) scriveva: “Poi scoppiĆ² la guerra, le misure antiebree si inasprirono, l'Italia dichiarĆ² guerra anche all'URSS (allora eravamo cittadini sovietici), arrivarono i tedeschi … Insomma, fu tutto un fuggire portandosi dietro – con carri agricoli tirati da uno, due cavalli – sempre meno cose. Il pianoforte non venne mai abbandonato: era sempre il primo “bagaglio” ad essere caricato.

Ogni frammento di ricordo ĆØ un mattone di un muro che prima o poi crollerĆ : quello della memoria personale. E forse la musica, che come diceva Stravinsky : “ci Ć© data al solo fine di stabilire un ordine nelle cose, ivi compresa, in particolare, la coordinazione tra uomo e tempo” ĆØ un componente importante del cemento che tiene assieme i muri dei nostri ricordi.

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