di Alessandra Brescia
foto: Obliot
Il paese, gioiello dell’Unesco, necessita di maggiori attenzioni e investimenti per continuare a vivere.
Il villaggio Crespi d’Adda, riconosciuto nel 1995 dall’Unesco quale Bene storico appartenente all’umanità intera e inserito nella World Heritage List, necessita attualmente di maggiore tutela per essere conservato nella sua integrità originaria.
Arrivare a Crespi d’Adda, significa fare un tuffo nel passato, poter osservare con i propri occhi un paese dell’Ottocento rimasto immutato nel tempo ma, al turista che passeggi per le vie, appare visibile l’incuria in cui versa attualmente parte del sito.
Esso, nella nota di designazione Unesco soddisfa due criteri fondamentali: “offrire un esempio emblematico di un tipo di costruzione o di complesso architettonico o di paesaggio che illustri un periodo significativo della storia umana, e costituire un esempio eminente di insediamento umano rappresentativo di una cultura, soprattutto quando esso diviene vulnerabile per effetto di mutilazioni irreversibili” .
Il villaggio è un autentico modello di città operaia ideale e prende il nome dalla famiglia del suo fondatore, Silvio Benigno Crespi, industriale cotoniere.
Crespi, tornado da un viaggio in Inghilterra, decise di importare il modello dei villaggi operai inglesi nell’industria di famiglia, attuando un tipico esempio di primo capitalismo illuminato.
Il modello venne eseguito costruendo di fronte al cotonificio, villette uni e bi-familiari per i dipendenti dotate di orto e giardino, nonchè numerose altre opere quali la chiesa, la scuola e il cimitero, il dopolavoro e il lavatoio.
L’interesse per il villaggio è testimoniato dall’affluenza dei numerosi turisti, ma si scontra con un progressivo aggravamento del suo stato di conservazione, peggiorato dopo la chiusura delle attività industriali.
Il caratteristico lavatoio appare in uno stato di degrado totale, la fabbrica, una struttura che tra edifici amministrativi e capannoni, misura approssimativamente 90.000 m/q, appare inutilizzata dal 2003, quando l’attivita’ cessò definitivamente, le strade sono in parte dissestate, alcuni edifici e siti d’interesse storico/industriale appaiono cadenti.
A queste strutture, che andrebbero meglio conservate, si è aggiunta la costruzione di un nuovo ballatoio d’ossevazione, opera d’architettura moderna che, anche agli occhi del visitatore meno accorto, male si combina con l’urbanistica del paese.
Esso va pertanto, preservato nelle sue caratteristiche urbane originarie anche mediante maggiori investimenti, non demandati solo al piccolo comune di Capriate San Gervasio, che consentano al villaggio di superare i cambiamenti del territorio circostante e il passare del tempo.
Auguriamoci pertanto che Crespi, scelto dall’Unesco per la sua eccezionale rappresentatività del fenomeno dei villaggi operai del Sud d’Europa, possa continuare a vivere quale patrimonio che rappresenta a livello mondiale un esempio di architettura, vita, storia, arte e cultura del nostro Paese.
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