Sere di Aci

di Natty Patanè



Sventolava sul ponte la bandiera bianca e le stesse note si diffondevano da una finestra ogni due.
L'estate aveva già folgorato l'azzurrovioletto dei glicini e la zagara aveva smesso di irretire l'aria.
Ferita solo da rari sibili e stridori dei treni che preparavano la fermata, la sera di Aci s'agghindava di rosso acceso che spaccava l'oscura montagna e dell'intenso basilico sparso sui pomodori pronti in tavola.
Riccardo restava immobile sotto il getto d'acqua che rapidamente si raffreddava, la testa china a raccogliere le gocce sulla nuca, lo sguardo a fissare il vuoto oltre i suoi piedi. Solo il gelo che si stava impadronendo delle sue spalle lo svegliò da quella quasi ipnosi, strizzo i lunghissimi capelli, si avvolse nel telo di spugna e, poco dopo, cominciò a rivestirsi.
Dal primo piano si levavano urla di bambini e profumo di frittata, dal terzo ancora la voce di Battiato.
Uscì dal bagno lasciando la nube di vapore che si diradava, prese le chiavi della vespa e si diresse al garage salutando brevemente la madre.
Il piede destro spinse con forza mentre la mano ruotava per mettere in moto, poi, il borbottio amico del motore Piaggio lo fece sentire allegro e indipendente. Infilò il giubbotto della tuta acetata blu e sentì quella strana sensazione, quella tuta lo faceva sentire più minuto, meno alto, non aveva il coraggio di dirselo ma lo faceva sentire più piccolo e questo gli instillava un misto di gioia e malinconia.
Nel vicoletto il faro illuminò porte vecchie e cortiletti carichi di vasi di terracotta antica stracolmi di belle di notte. Lontani, i ganci del vecchio stabilimento brillavano in maniera strana, da immaginarsi che stessero tintinnando.
Un anziano stava stravaccato in pantofole su una panchina della piazzetta alberata ad ingresso dell'istituto San Luigi, girò a sinistra e poi a destra, tagliava in due piccole antiche strade dai grandi blocchi di pietra lavica, mascheroni dai balconi barocchi imperterriti vegliavano sull'immutabilità fittizia del paese.
Abramo, magro come una lisca, la faccia etrusca incorniciata da una cascata di riccioli neri, stava già in strada
- sono in ritardo? - chiese stupito,.
- scusami - continuò conoscendo la sua abitudine a non essere puntuale,
- no, no sei forse in anticipo, è che non ne potevo più di stare sopra ad aspettare con mia nonna che ripete l'ennesimo rosario -
Lo guardò e con fatica riuscì a non sorridere che troppo tenero sarebbe stato quel sorriso e non doveva permetterselo. Riccardo tacque e ripartirono insieme verso il mare, nettamente poteva distinguere la guancia di Abramo sulla sua spalla.
La piazza era già strapiena e a stento si intravedeva il mare e l'obelisco con la statua e la stella che guardavano il porticciolo.
Appena scesi dalla vespa, un gruppo di ragazzette si pararono loro intorno parlando tutte insieme, poi, una di loro prese per mano Riccardo e con lui si avviò per la discesa che portava alla cala, lui sorrise e salutò l'amico che lo fissò allontanarsi mentre scambiava due battute con Carmen.
Sedettero su uno dei gradini del monumento che i pescatori avevano eretto in ricordo di non si sa bene quale sciagura, la dove il frastuono arrivava attutito e mescolato ai clacson e alla musica delle autoradio.
- hai visto che eruzione? -
fece segno verso l'alto dove più evidente nel buio profondo si dipingeva la colata di lava, lei annuì proprio mentre il brivido della terra li fece sobbalzare
- il terremoto - sussurrò Stefania tra lo stupore e un po' di paura
- il terremoto - ripetè Riccardo come folgorato, come se quel brivido lo avesse scosso dentro.
- torniamo su -
continuò velocemente mentre si alzava e le tendeva una mano per aiutarla
- ma non è successo niente - protesto lei con poca convinzione
- torniamo su - ribadì perentorio.
Forse per il frastuono nessuno aveva sentito nulla, Abramo lo guardò fisso, gli si avvicinò
- devo parlarti, andiamo via - Riccardo annuì, in fondo lo sapeva.
Stefania non volle sprecare neanche un vaffanculo, si girò e tornò a scherzare con le amiche.
La stella aveva un raggio di neon fulminato.
La signora del chiosco vendava gelati ammorbiditi dal caldo.
La vespa era parte di loro, era uno sguardo assonnato che la libertà aveva lasciato cadere tra il silenzio degli agrumeti, tra l'eternità delle rocce laviche e tra i riccioli neri di Abramo

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