di Chiara Di Salvo
Si è conclusa domenica scorsa Artissima 16, la Fiera d'Arte di Torino che quest'anno è giunta alla sua XVI edizione.
Molte le novità e molti gli incontri creati in relazione all'evento nei diversi teatri torinesi ma in questo articolo verranno volutamente tralasciati i commenti ad alcune attività presentate alla Fiera, mentre si cercherà di fare una panoramica su come è stata percepita l'esposizione e, quindi, l'arte contemporanea dalle persone “comuni” e dagli addetti ai lavori.
Lavorando all'interno della Fiera, è stato più facile rendersi conto di come, purtroppo, l'arte contemporanea susciti ancora oggi ilarità e perplessità da parte del visitatore che, ad oggi, possiamo però dividere in tre categorie: gli “esperti” o addetti ai lavori, sicuri che quello che hanno visto è ottimo o pessimo; i “giovani” (20-40 anni), non sempre sicuri della qualità di alcune opere ma estremamente divertiti dalle proposte; gli “scettici”, di tutte le età e origini che sono entrati incuriositi e ne sono usciti dubbiosi, a volte persino arrabbiati credendo ad una presa in giro preterintenzionale.
Purtroppo non è arrivato a tutti il concetto secondo il quale Artissima è una Fiera d'arte, un posto in cui il mercato può dare il meglio (o il peggio) di sé. Molti visitatori, quindi, hanno avuto un approccio diverso e si aspettavano all'interno i servizi e la curatela di un museo di arte contemporanea.
Purtroppo è così, l'Italia è il Paese dell'arte antica e moderna, storicamente e culturalmente considerate la partenza e l'arrivo di un'arte in cui il contemporaneo tarda ad essere percepito come arte. Così, se già sono molti gli scogli per accoglierla, lei, l'arte contemporanea, spesso non cerca nemmeno un ponte per dire “cos'è”.
Ma il buco non si crea da solo. C'è sempre un tarlo che lo genera e che ci lavora alacremente dietro.
Gli artisti che hanno legato – in modo più o meno intenzionale - il loro bisogno di provocare e comunicare a galleristi e mercanti più inclini al denaro che all'arte, oggi, 30 anni dopo, si rendono conto di aver aperto una strada importantissima verso la sperimentazione e la provocazione intelligente, il dibattito estetico e sociale, ma anche un varco attraverso il quale ogni genere di artifizio poteva ed è stato considerato arte.
Ma non si creda che la colpa (se di colpe si vuole parlare) sia solo degli artisti. La retorica viene facile e le critiche abbondano quando si parla di galleristi/mercanti. Tuttavia si deve tenere presente che è proprio nella galleria privata che è nata e si è svolta l'arte del Novecento così, dopo aver reso l'arte contemporanea estremamente lontana, difficile, elitaria, il mercato è al giro di boa. Forse.
L'interessante catalogo di Artissima, curato dal direttore della stessa Andrea Bellini, propone una serie di interviste a galleristi giovani come di consolidata fama internazionale che hanno come denominatore comune la ricerca di un'arte di qualità strettamente legata alla profonda conoscenza dell'artista.
Nessun gallerista infatti inizia un lavoro con un artista senza averne studiato a fondo la storia, le scelte, i bisogni. La “nuova generazione” di galleristi non fiuta più come i loro padri, il denaro da un'opera spettacolare (che fa spettacolo) ma coltiva con loro, anche attraverso un'esclusiva con l'artista che spesso vincola, un progetto o un'opera che spesso si concretizza in anni di lavoro.
Sempre più frequentemente, quindi, i galleristi sono artisti, curatori, critici, storici dell'arte indipendenti che, cresciuti di numero, non trovano spesso una collocazione presso le strutture museali istituzionali e che nella galleria privata percepiscono la libertà di scelta per immettere sul mercato artisti validi.
Personalmente ho notato questo: la qualità della Fiera era molto elevata. Le persone che avevano difficoltà a comprendere alcune opere d'arte erano molto propense ad ascoltare chi era disposto a spiegare loro quale fosse il significato intrinseco e spesso non esitavano a chiedere ai galleristi informazioni in merito. Purtroppo, alcuni di questi galleristi hanno tirato la corda e spesso rispondevano “È un lavoro!!”.
Perché dare dell'idiota ad un signore che vuole avvicinarsi ad un'opera d'arte contemporanea dando risposte così fastidiose? Perché perseverare nel considerate l'arte contemporanea solo per pochi eletti? Ed eletti da chi?
Comprendo quindi il fastidio e la frustrazione che hanno accompagnato alcuni visitatori, lo comprendo da storica dell'arte e da artista.
È vero che per alcune opere, che siano esse esposte in una fiera-mercato o in un museo, bisogna avere delle chiavi di lettura diverse, forse essere anche più propensi ad accogliere un messaggio che arriva come l'alfabeto Morse rispetto al proprio.
Forse è solo una questione di tempo, ma desidero ricordare che l'Italia ha, storicamente, un patrimonio culturale differente rispetto a Paesi in cui il contemporaneo non fatica ad attecchire.
Per questo motivo, tutta quella letteratura retorica che vede descrivere con una certa passione “l'artista folle”, il “gallerista sciacallo” e “l'Italia paese arretrato” dovrebbe ridimensionare gli aggettivi mentre invece proporre al pubblico (sempre che sia vero che lo voglia attirare) una lettura più semplice, più immediata e meno ampollosa.
A questo proposito Artissima 16 ha creato l'interessante proposta “Ascolta chi scrive”, ovvero la possibilità di far arrivare, a chi interessato, la visione dell'arte contenuta in Fiera attraverso le parole di esperti del settore che scrivono su riviste specializzate.
Si sono così succeduti, in 3 pomeriggi pieni di curiosi e appassionati:
Marco Vallora, La Stampa;
Cathryn Drake, Artforum;
Mariuccia Casadio e Luca Stoppini, Vogue Italia;
Giorgio Verzotti, ArtKey;
Alessandra Mammì, L'Espresso;
Flavio Albanese, direttore Domus;
Adriana Polveroni, D - La Repubblica delle Donne;
Aldo Cazzullo, Corriere della Sera;
Massimiliano Tonelli, direttore editoriale Exibart;
Marco Carminati, Il Sole 24 Ore;
Roberta Bosco, El Pais;
Marino Sinibaldi, direttore Radio 3 Rai;
Alessio Ascari, direttore Kaleidoscope.
L'esperienza di “Ascolta chi scrive” è sicuramente la visita guidata più interessante e appropriata che una fiera potesse proporre. Le persone hanno terminato il giro soddisfatte e appagate dalle spiegazioni e dalle opere. Il direttore Bellini è riuscito, con quest'iniziativa, a rendere partecipi più persone possibili, coinvolgendole e rendendo, finalmente, attori e non comparse in una scena.
Forse le cose stanno cambiando. Non ci resta che attendere, vigili, sulle nuove opportunità che offrono gli artisti.
Lavorando all'interno della Fiera, è stato più facile rendersi conto di come, purtroppo, l'arte contemporanea susciti ancora oggi ilarità e perplessità da parte del visitatore che, ad oggi, possiamo però dividere in tre categorie: gli “esperti” o addetti ai lavori, sicuri che quello che hanno visto è ottimo o pessimo; i “giovani” (20-40 anni), non sempre sicuri della qualità di alcune opere ma estremamente divertiti dalle proposte; gli “scettici”, di tutte le età e origini che sono entrati incuriositi e ne sono usciti dubbiosi, a volte persino arrabbiati credendo ad una presa in giro preterintenzionale.
Purtroppo non è arrivato a tutti il concetto secondo il quale Artissima è una Fiera d'arte, un posto in cui il mercato può dare il meglio (o il peggio) di sé. Molti visitatori, quindi, hanno avuto un approccio diverso e si aspettavano all'interno i servizi e la curatela di un museo di arte contemporanea.
Purtroppo è così, l'Italia è il Paese dell'arte antica e moderna, storicamente e culturalmente considerate la partenza e l'arrivo di un'arte in cui il contemporaneo tarda ad essere percepito come arte. Così, se già sono molti gli scogli per accoglierla, lei, l'arte contemporanea, spesso non cerca nemmeno un ponte per dire “cos'è”.
Ma il buco non si crea da solo. C'è sempre un tarlo che lo genera e che ci lavora alacremente dietro.
Gli artisti che hanno legato – in modo più o meno intenzionale - il loro bisogno di provocare e comunicare a galleristi e mercanti più inclini al denaro che all'arte, oggi, 30 anni dopo, si rendono conto di aver aperto una strada importantissima verso la sperimentazione e la provocazione intelligente, il dibattito estetico e sociale, ma anche un varco attraverso il quale ogni genere di artifizio poteva ed è stato considerato arte.
Ma non si creda che la colpa (se di colpe si vuole parlare) sia solo degli artisti. La retorica viene facile e le critiche abbondano quando si parla di galleristi/mercanti. Tuttavia si deve tenere presente che è proprio nella galleria privata che è nata e si è svolta l'arte del Novecento così, dopo aver reso l'arte contemporanea estremamente lontana, difficile, elitaria, il mercato è al giro di boa. Forse.
L'interessante catalogo di Artissima, curato dal direttore della stessa Andrea Bellini, propone una serie di interviste a galleristi giovani come di consolidata fama internazionale che hanno come denominatore comune la ricerca di un'arte di qualità strettamente legata alla profonda conoscenza dell'artista.
Nessun gallerista infatti inizia un lavoro con un artista senza averne studiato a fondo la storia, le scelte, i bisogni. La “nuova generazione” di galleristi non fiuta più come i loro padri, il denaro da un'opera spettacolare (che fa spettacolo) ma coltiva con loro, anche attraverso un'esclusiva con l'artista che spesso vincola, un progetto o un'opera che spesso si concretizza in anni di lavoro.
Sempre più frequentemente, quindi, i galleristi sono artisti, curatori, critici, storici dell'arte indipendenti che, cresciuti di numero, non trovano spesso una collocazione presso le strutture museali istituzionali e che nella galleria privata percepiscono la libertà di scelta per immettere sul mercato artisti validi.
Personalmente ho notato questo: la qualità della Fiera era molto elevata. Le persone che avevano difficoltà a comprendere alcune opere d'arte erano molto propense ad ascoltare chi era disposto a spiegare loro quale fosse il significato intrinseco e spesso non esitavano a chiedere ai galleristi informazioni in merito. Purtroppo, alcuni di questi galleristi hanno tirato la corda e spesso rispondevano “È un lavoro!!”.
Perché dare dell'idiota ad un signore che vuole avvicinarsi ad un'opera d'arte contemporanea dando risposte così fastidiose? Perché perseverare nel considerate l'arte contemporanea solo per pochi eletti? Ed eletti da chi?
Comprendo quindi il fastidio e la frustrazione che hanno accompagnato alcuni visitatori, lo comprendo da storica dell'arte e da artista.
È vero che per alcune opere, che siano esse esposte in una fiera-mercato o in un museo, bisogna avere delle chiavi di lettura diverse, forse essere anche più propensi ad accogliere un messaggio che arriva come l'alfabeto Morse rispetto al proprio.
Forse è solo una questione di tempo, ma desidero ricordare che l'Italia ha, storicamente, un patrimonio culturale differente rispetto a Paesi in cui il contemporaneo non fatica ad attecchire.
Per questo motivo, tutta quella letteratura retorica che vede descrivere con una certa passione “l'artista folle”, il “gallerista sciacallo” e “l'Italia paese arretrato” dovrebbe ridimensionare gli aggettivi mentre invece proporre al pubblico (sempre che sia vero che lo voglia attirare) una lettura più semplice, più immediata e meno ampollosa.
A questo proposito Artissima 16 ha creato l'interessante proposta “Ascolta chi scrive”, ovvero la possibilità di far arrivare, a chi interessato, la visione dell'arte contenuta in Fiera attraverso le parole di esperti del settore che scrivono su riviste specializzate.
Si sono così succeduti, in 3 pomeriggi pieni di curiosi e appassionati:
Marco Vallora, La Stampa;
Cathryn Drake, Artforum;
Mariuccia Casadio e Luca Stoppini, Vogue Italia;
Giorgio Verzotti, ArtKey;
Alessandra Mammì, L'Espresso;
Flavio Albanese, direttore Domus;
Adriana Polveroni, D - La Repubblica delle Donne;
Aldo Cazzullo, Corriere della Sera;
Massimiliano Tonelli, direttore editoriale Exibart;
Marco Carminati, Il Sole 24 Ore;
Roberta Bosco, El Pais;
Marino Sinibaldi, direttore Radio 3 Rai;
Alessio Ascari, direttore Kaleidoscope.
L'esperienza di “Ascolta chi scrive” è sicuramente la visita guidata più interessante e appropriata che una fiera potesse proporre. Le persone hanno terminato il giro soddisfatte e appagate dalle spiegazioni e dalle opere. Il direttore Bellini è riuscito, con quest'iniziativa, a rendere partecipi più persone possibili, coinvolgendole e rendendo, finalmente, attori e non comparse in una scena.
Forse le cose stanno cambiando. Non ci resta che attendere, vigili, sulle nuove opportunità che offrono gli artisti.
ma di cosa parli ???? non sei un po' in ritardo ??!?!?
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