Di Leo Palmisano
Mosse, tempo fa, ci ha offerto un quadro dettagliato delle origini culturali del nazismo, dandoci un valido aiuto a comprendere la complessità di un fenomeno che ha fatto scuola presso altri totalitarismi, più o meno espliciti e più o meno considerati tali. Che in Italia, dalla fine della prima Repubblica, si viva in un clima di patente totalitarismo culturale, è ormai un dato di fatto. Ma ciò che ci aiuta a comprenderne alcune origini e non pochi effetti, entrando nel merito dei processi di costruzione di questo totalitarismo del simbolico, è la vicenda umana degli immigrati.
Infatti, se è vero che dietro ogni migrazione si nascondono moventi e pulsioni materiali che ci dicono della depressione politica ed economica dei paesi di partenza dei migranti, è altrettanto vero che le condizioni sociali degli immigrati in Italia ci informano dello stato di civiltà del nostro paese. L’Italia diventa paese a tasso migratorio positivo nella prima metà degli anni settanta, a cavallo della crisi petrolifera e durante un periodo di crisi della classe politica nazionale: cioè quando si ponevano le basi per l’indebolimento del Pci e l’ascesa del craxismo. Ma solo alla fine degli anni ottanta, in piena crisi della prima Repubblica, l’Italia si accorge di avere incamerato manodopera immigrata di diversa provenienza. Questo punto è importante, perché a differenza di altri paesi, l’Italia riceve lavoratori e lavoratrici immigrati/e sempre in una fase di crisi, o economica o politica o tutte e due insieme. È anche per questo che nessun governo, da quello Martelli a quello precedente a quello attuale, ha mai proceduto a costruire una volta per sempre un modello immigratorio italiano.
Prima di questo governo Berlusconi, si oscillava tra il securitarismo neo-segregazionista (o neo-nazista, se volete) della Lega Nord, ed una blanda e caritatevole accoglienza democratica (da Fini al centro-sinistra tutto), senza fare i conti con il fallimento epocale di altri e ben più noti modelli di inclusione e di esclusione sociale attuati in altri paesi. La Francia fallisce nelle banlieues e nella divisione sociale del lavoro con il suo assimilazionismo; la Germania è colpevolmente ferma al fordismo, legata ancora al modello del gastarbeiter (il lavoratore ospite in un territorio inospitale) e dell’acquisizione del diritto di cittadinanza solo se si è di ascendenza germanica; gli USA di Bush, Clinton e Obama, falliscono nel meltin pot, avendo creato un apartheid insostenibile in tutte le gradi metropoli dell’unione; la Gran Bretagna vive un momento di forte tensione interna con gli immigrati di provenienza pachistana. Sembrano funzionare soltanto i modelli nordeuropei, dove, guarda caso, funziona un welfare inclusivo e non esclusivo.
Proprio in questi due anni, però, il caimano Berlusconi ha approfittato dell’ennesimo momento di debolezza della politica per mettere a segno, in piena crisi economica!, un taglio straordinario alle risorse per lo stato sociale. Quale il primo effetto? L’esclusione degli immigrati e degli italiani meno abbienti da quelle forme di solidarietà minima garantite dallo Stato e dalle Regioni. La mannaia che si abbatte su questi strati di popolazione, sa di purga, sa di apartheid, sa di nazismo. Per la prima volta in Italia, siamo di fronte ad un governo con le idee chiare: con un modello in testa. Quello della privatizzazione dei servizi sociali e sanitari, e chi se li può permettere bene, gli altri amen!Gli effetti di questa politica sono già visibili. Un calo delle prestazioni medico sanitarie per gli immigrati, dal momento che, non lo si dimentichi mai, il pacchetto sicurezza di Bossi e Maroni prescrive la denuncia volontaria alla polizia da parte del medico del migrante irregolare che vada a curarsi. Altro effetto, l’incrudelirsi dei rapporti tra italiani e non italiani nei territori colpiti dalla crisi dove il welfare non tampona più niente. Rosarno ne è un esempio, ma anche il rimontare del caporalato in Puglia, perfino nelle campagne del barese dove da decenni non si assisteva più a questo fenomeno, come l’inasprirsi dei rapporti di convivenza sui luoghi di lavoro tra operai neri al nero nel Nord Est e padroncini affamati di profitto. Non è una guerra tra poveri, ma una costellazione di conflitti sociali dietro i quali si nascondono gli interessi di sempre: tenere sotto il tallone i lavoratori per risparmiare sui costi in una fase di crisi. A Rosarno il governo e i latifondisti hanno ottenuto il risultato di espellere con la violenza dalle campagne manodopera in sovrappiù, non pagandola, e sottoponendola alla gogna mediatica delle destre. Qualcosa che assomiglia davvero alla propaganda hitleriana antiebraica.
Siamo già a questo? Se la smettiamo di leggere il paese come un amalgama indistinto, ma se cominciano a mettere il naso nella sua complessità, allora sì, a macchia di leopardo siamo già all’esercizio banale, ma scientifico, del male a danno dei più ricattabili. In questo quadro, non mi stupisco se questa estate si gioca anche una feroce partita contro le donne, e contro le donne straniere soprattutto. Tra stupri, stalking violento, minacce, assassini, si intravede ormai chiara la caduta di un sistema normativo che disintegra i capisaldi della convivenza civile per aizzare la mascolinità più abietta.
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