di Beatrice Pozzi
Omosessualità al maschile e desiderio di paternità: un’accoppiata sempre più conosciuta, discussa, accettata. Un desiderio che molti uomini gay, anche single, avvertono come naturale e che negli ultimi anni ha ottenuto una certa visibilità presso il grande pubblico per via del caso del cantante Ricky Martin, diventato padre di due gemelli nel 2008 grazie ad una madre surrogata, e per le voci sulla presunta omosessualità di Cristiano Ronaldo tornate alla ribalta dopo la recentissima nascita del suo primo figlio, avvenuta, come confermato dalla famiglia del calciatore portoghese, grazie all’affitto dell’utero di una donna americana.
Il clamore mediatico suscitato da queste notizie, che dipingono scenari in bilico tra l’esibizione dell’idillio del neo-papà con i suoi bambini e l’eventuale ricerca di una conferma della sua omosessualità, tende però a lasciare in ombra la situazione che si trova a vivere una delle parti in causa, e anzi quella che materialmente si fa carico della gravidanza: la madre surrogata, che dopo la nascita del bambino viene spesso esclusa dalla sua vita o comunque ridotta a rivestire un ruolo secondario rispetto al padre, o alla coppia di omogenitori.
Nel caso di un bambino messicano destinato a nascere nei prossimi mesi, però, non sarà così: la persona che lo sta portando in grembo non è una sconosciuta pagata per farlo né un’amica del padre bensì la futura nonna, una signora di cinquant’anni che ha proposto al proprio figlio gay trentunenne (non si sa se abbia un compagno o meno) di ospitare nel proprio utero un embrione concepito con fecondazione eterologa, grazie agli ovuli di una conoscente. La donna, intervistata dalla stampa centroamericana, ha dichiarato di non essere pentita della propria decisione, che pare sia maturata in seguito alla visione di un programma televisivo in cui un team di esperti dibatteva sul tema degli uteri in affitto, e di ritenere un privilegio il poter contribuire fattivamente alla nascita del nipote, che avverrà tramite parto cesareo.
Nella pancia della nonna. Il caso potrebbe rimanere isolato oppure, data la visibilità che la notizia ha avuto soprattutto in Sudamerica, essere destinato a creare un precedente: con quali conseguenze? Al momento, ovviamente, è impossibile dirlo. L’augurio è che l’entusiasmo e la buona volontà non prevalgano sul buon senso, e che i figli di aspiranti mamme-nonne già in età avanzata abbiano il coraggio di dire no, e ricorrere a soluzioni più “tradizionali”.
Omosessualità al maschile e desiderio di paternità: un’accoppiata sempre più conosciuta, discussa, accettata. Un desiderio che molti uomini gay, anche single, avvertono come naturale e che negli ultimi anni ha ottenuto una certa visibilità presso il grande pubblico per via del caso del cantante Ricky Martin, diventato padre di due gemelli nel 2008 grazie ad una madre surrogata, e per le voci sulla presunta omosessualità di Cristiano Ronaldo tornate alla ribalta dopo la recentissima nascita del suo primo figlio, avvenuta, come confermato dalla famiglia del calciatore portoghese, grazie all’affitto dell’utero di una donna americana.
Il clamore mediatico suscitato da queste notizie, che dipingono scenari in bilico tra l’esibizione dell’idillio del neo-papà con i suoi bambini e l’eventuale ricerca di una conferma della sua omosessualità, tende però a lasciare in ombra la situazione che si trova a vivere una delle parti in causa, e anzi quella che materialmente si fa carico della gravidanza: la madre surrogata, che dopo la nascita del bambino viene spesso esclusa dalla sua vita o comunque ridotta a rivestire un ruolo secondario rispetto al padre, o alla coppia di omogenitori.
Nel caso di un bambino messicano destinato a nascere nei prossimi mesi, però, non sarà così: la persona che lo sta portando in grembo non è una sconosciuta pagata per farlo né un’amica del padre bensì la futura nonna, una signora di cinquant’anni che ha proposto al proprio figlio gay trentunenne (non si sa se abbia un compagno o meno) di ospitare nel proprio utero un embrione concepito con fecondazione eterologa, grazie agli ovuli di una conoscente. La donna, intervistata dalla stampa centroamericana, ha dichiarato di non essere pentita della propria decisione, che pare sia maturata in seguito alla visione di un programma televisivo in cui un team di esperti dibatteva sul tema degli uteri in affitto, e di ritenere un privilegio il poter contribuire fattivamente alla nascita del nipote, che avverrà tramite parto cesareo.
Nella pancia della nonna. Il caso potrebbe rimanere isolato oppure, data la visibilità che la notizia ha avuto soprattutto in Sudamerica, essere destinato a creare un precedente: con quali conseguenze? Al momento, ovviamente, è impossibile dirlo. L’augurio è che l’entusiasmo e la buona volontà non prevalgano sul buon senso, e che i figli di aspiranti mamme-nonne già in età avanzata abbiano il coraggio di dire no, e ricorrere a soluzioni più “tradizionali”.
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