Teatro Musicale Musica Teatrale

di Giuseppe Gavazza

click on image to listen Prima del Manfred
foto e audio di Giuseppe Gavazza, giugno 2010

Ritorno sul tema teatro e musica che si incrociano: una settimana dopo aver assistito qui a Torino nel piccolo Teatro Vittoria - per il festival Antidogma Musicaall'esecuzione di El Cimarron di Hans Werne Henze, una composizione dei giorni nostri (1970), mi trovo ora nella grande sala del Teatro Regio di Torino ad assistere ad un manifesto del romanticismo musicale e letterario: Manfred di Robert Schumann sul poema drammatico in tre atti di Gerge Gordon Byron, composto ne 1849. Sala gremita come, mi dicono, anche nella altre recite: confortante considerando il periodo estivo avanzato e il fatto che Manfred non sia uno standard di cartellone.

Lo spettacolo compare sia nella stagione operistica del Teatro Regio sia in quella teatrale del Teatro Stabile; una soluzione non solo per affrontare la crisi finanziaria (le ultime mosse del governo in carica proseguono nella manovra d'imbarbarimento nazionale, dopo la scuola e la ricerca ora la cultura) ma anche un buon modo per mescolare anche quella parte del pubblico più abitudinaria e tradizionalista. Delle 10 recite dell'ultimo spettacolo in cartellone 2009-2010 infatti 5 sono state presentate nella sala del Teatro Carignano, sede tradizionale e storica del teatro di prosa, e 5 sono invece state presentate al Teatro Regio, sede tradizionale e storica della lirica.

Manfred
di Schumann-Byron deve una sua discreta fama nazionale alla splendida, inconfrontabile versione da concerto di Carmelo Bene che conosco nella edizione discografica; inevitabile pensare a quella edizione di riferimento, ma mi pare che la scelta vincente della versione vista e ascoltata al Regio sia stata di non tenerne conto. Questa è una versione scenica e poi l'interprete, l'ottimo Walter Malosti, ha proposto una sua linea di recitazione sobria, convincente, riflessiva: l'orchestra è in scena, dietro un velo, e compare o scompare con le giuste luci. Gli attori e i cantanti sono in proscenio o, talvolta, su una struttura a ponteggio posta sul palco dietro l'orchestra. Una bella edizione sia teatralmente che musicalmente, a mio avviso,

Sono passati poco più di 100 anni tra la composizione del Manfred e quella di El Cimarron e i due spettacoli sono, come è ovvio e giusto che sia, profondamente diversi: l'arte è uno specchio del proprio tempo e nel secolo che divide i due lavori sono accaduti tanti fatti importanti e sconvolgenti che hanno cambiato radicalmente molte cose anche fuori del mondo artistico.

Ma ascoltando i soliloqui dell'eroe romantico e aristocratico
Manfred, i suoi dialoghi dotti e sapienti con gli spiriti, la sua lotta interiore e quella con il mondo per non cedere alle minacce o alle lusinghe, il suo accettare la morte per non tradire la coerenza della propria libertà interiore pensavo al racconto autobiografico e vero dello schiavo centenario analfabeta fuggito nella giungla tropicale e braccato raccontata nel Cimarron, alla sua lotta personale, solitaria, coraggiosa, ai suoi dialoghi sanguigni e carnali con le voci degli spiriti della foresta, alla sua tenace e inesorabile voglia di vivere.

Non sono ancora riuscito a darmi una risposta alla domanda perché questi due personaggi così diversi mi appaiano in qualche modo simili: non nella musica, non nel linguaggio, non nella storia narrata, non nell'ambientazione.

Ma mi pare d'intuire che cogliere il nocciolo condiviso di questi due destini scelti per una narrazione musicale da due compositori diversamente grandi ma comunque significativi della propria epoca, possa essere un modo possibile per capire, proprio nelle differenze, un po' di più degli ultimi quasi 200 anni del mondo, così importanti e non solo per noi che ne stiamo vivendo una parte, forse di svolta.

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