di Yoani Sánchez
Alla fine degli anni Settanta Jimmy Carter veniva trattato dalla stampa ufficiale cubana con gli stessi epiteti negativi che erano stati riservarti ai suoi predecessori. La propaganda governativa si accaniva contro di lui, mentre a scuola noi bambini imparavamo a gridare i nostri primi slogan antimperialisti pensando a quel volto con gli occhi azzurri. Il periodico Granma ironizzava sulle sue origini da commerciante di arachidi, chiamandolo el manisero, nome con cui indichiamo chi reclamizza e vende noccioline (maní) lungo le strade di paesi e città. Ma l’inquilino della Casa Bianca non era soltanto bersaglio di offese e caricature. Nel 1980 l’esplosione migratoria che cominciò dal porto di El Mariel portò sul territorio nordamericano oltre centomila nostri compatrioti tra i quali si contavano anche prigionieri messi fuori in fretta e furia dalle carceri e malati di mente provenienti da diversi manicomi. Carter non fu in grado di sostenere la pressione di tale valanga migratoria e a un certo punto si vide costretto a rifiutare l’accoglienza ai disperati che portavano come bagaglio solo i vestiti che indossavano. Fu una battaglia vinta da Fidel Castro, che dal palco gridava: “Se ne vadano pure le scorie!”. Fu in quei tristi giorni che nacquero i famigerati “meeting di ripudio”, durante i quali turbe di esagitati lanciavano sputi, pietre, uova o escrementi verso “gli infami traditori” che non volevano continuare a sperare nel promesso paradiso cubano.
Jimmy Carter non venne rieletto presidente, alcuni affermano che uno dei motivi fu anche l’errata gestione di quella crisi migratoria. Il presidente successivo fu Ronald Reagan e per la stampa cubana il suo volto da ex attore di Hollywood divenne la nuova immagine da denigrare. El manisero, allora, fondò il Centro Carter, si concentrò in un lavoro da mediatore e in questo nuovo ruolo riuscì ad aggiudicarsi persino il Premio Nobel per la Pace. Vista la situazione, i nostri periodici ufficiali modificarono radicalmente la loro opinione sul conto dell’ex comandante delle forze armate degli Stati Uniti. Quando fece visita al nostro paese nel 2002 venne chiamato semplicemente il signor Carter e fu presentato dagli annunciatori televisivi come un amico personale del Leader Massimo. Noi bambini - ormai cresciuti - che lo avevamo insultato durante l’alzabandiera scolastico prima delle lezioni, eravamo disorientati di fronte al tappeto rosso steso all’aeroporto per accogliere un personaggio che un tempo era stato considerato il nostro maggior nemico.
Nel corso della sua visita Carter non incontrò soltanto figure governative, ma ascoltò opinioni e denunce che provenivano dai gruppi oppositori, demonizzati e giudicati illegali dalle autorità. Fu proprio durante una conferenza presso l’aula magna dell’Università dell’Avana, che l’ex governatore della Georgia citò per la prima volta davanti alle telecamere della televisione nazionale il nome del Progetto Varela, promosso da Osvaldo Payá per indire un plebiscito che avrebbe dovuto trasformare la costituzione e consentire libertà di espressione e di associazione. Alcuni mesi dopo il ritorno a casa di Carter, in ogni regione del nostro paese si verificarono molti arresti e cominciò un periodo triste chiamato Primavera Nera che raggiunse il culmine con lunghe condanne a pene detentive inflitte a 75 dissidenti e giornalisti indipendenti, soprattutto tra coloro che raccoglievano firme per ottenere la consultazione popolare citata dall’ex presidente statunitense.
Sono dovuti passare quasi nove anni prima che Carter tornasse su questa isola che gli aveva procurato tanti problemi. Questa volta la guida della nazione non era nelle mani del Comandante in verde oliva, ma di un suo fratello, conteso tra la necessità di riforme urgenti e la paura di portarle a compimento. Jimmy Carter questa settimana ha parlato con Raúl Castro e con il suo cancelliere, oltre ad aver avuto un confronto separato con diverse voci della società civile in formazione. L’ex presidente nordamericano ha parlato ai microfoni del canale televisivo più importante del nostro paese affermando che tutti i cubani devono godere di libertà di espressione e di associazione. Ha aggiunto che nella nostra isola deve esserci libertà di movimento e che i cubani devono poter viaggiare all’interno e all’esterno del territorio nazionale. Al tempo stesso ha rivolto alcuni complimenti al governo raulista, ma sembravano più formalità diplomatiche che vere posizioni concordi. Prima della partenza di Carter, noi blogger alternativi e diversi dissidenti gli abbiamo donato una collezione di prodotti popolari, confezionati usando l’arachide. “Questo è il solo settore commerciale che non si è mai trovato in mani statali”, gli abbiamo detto. Il veterano di mille battaglie politiche ha sorriso. Il suo aereo è partito mercoledì, l’isola sembrava la stessa di 72 ore prima, ma qualcosa di piccolo e microscopico era cambiato. Impercettibile come un’arachide e così profondamente cubano come quei cartocci di noccioline salate (maní) che in questo stesso momento qualcuno sta vendendo lungo le strade del nostro paese.
Traduzione di Gordiano Lupi
Inedito in Italia! Esce oggi su EL PAIS.
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