Yoani Sánchez ospite telefonica ad Aosta

di Gordiano Lupi
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Non abbiamo ancora una voce così forte e uniforme, soprattutto ci manca un collegamento e molte cose sono ancora allo stato embrionale. Confido che un giorno o l’altro potremo organizzarci e far scoccare la scintilla di una vera rivolta.

Yoani Sánchez ha preso parte telefonicamente all’evento “Oltre i muri: da Cuba al Medio Oriente. La sfida per la democrazia”, che si è tenuto ad Aosta giovedì 16 giugno, organizzato dal Comune di Aosta e da Lucas di Torino. È stata l’occasione per rivolgerle alcune domande e fare il punto sulla situazione cubana.
Le riforme economiche volute da Raúl Castro e dal Sesto Congresso del Partito Comunista cambieranno il volto di Cuba?
Raúl Castro ha compiuto alcuni interventi in tema di libertà economica e di lavoro privato, ma si tratta di aperture insufficienti e tardive. A Cuba oggi abbiamo 314.000 lavoratori privati, ma molti sono impiegati in settori non produttivi, inoltre non esiste un mercato all’ingrosso e non è garantito l’acceso al credito. La maggioranza della popolazione dipende sempre dallo Stato, che si comporta come un vero e proprio monopolista. I cambiamenti economici non sono stati fatti per favorire la popolazione, ma per un interesse statale a diminuire le spese e a incassare maggiori imposte. Inoltre, la legislazione vigente vieta ai cubani che vivono all’estero di investire denaro a Cuba, anche se sono i soli a possedere capitali per aprire nuove aziende.
L’omofobia a Cuba è un problema superato? Fidel Castro ha recitato il mea culpa nei confronti dei gay dicendo che in passato sono stati commessi molti errori (le UMAP, le persecuzioni…). Adesso per gli omosessuali è tutto risolto?
No. A Cuba c’è ancora omofobia latente nella società civile. Fidel Castro ha fatto autocritica per il periodo oscuro delle persecuzioni e dell’emarginazione dei gay, ma non ha trasformato le parole in veri e propri diritti. Il CENESEX diretto da Mariela Castro (figlia di Raúl) è la sola struttura deputata a occuparsi di omosessualità, si tratta di un’organizzazione governativa, imposta dall’alto e priva di libertà. Gli omosessuali non possono celebrare la giornata dell’orgoglio gay ma devono festeggiare un giornata contro la discriminazione, imposta dallo Stato. A Cuba sono vietate tutte le associazioni che esprimono istanze provenienti dal popolo.
Cosa può fare la blogosfera cubana per favorire libertà e democrazia?
La blogosfera rappresenta un elemento di novità del sistema e sta sperimentando cose nuove per il futuro. Non è un partito politico, non ha un capo. Siamo elettroni liberi e freschi. La blogosfera rappresenta il fenomeno giornalistico indipendente cubano. Siamo il megafono cittadino che diffonde notizie lungo le strade dell’isola e abbatte i muri della censura. La popolarità della blogosfera indipendente ha fatto correre ai ripari il governo che ha inaugurato alcuni blog statali con il compito di ripetere i contenuti diffusi dal Granma e della televisione di Stato. Ma la gente non frequenta certi siti perché sono ripetitivi e mancano di freschezza. Il popolo preferisce la visione dal basso della vita quotidiana perché rispecchia la realtà e non la retorica.
A Cuba assistiamo alla rivalutazione di alcuni autori emarginati in vita come Virgilio Piñera. Si tratta di una manovra politica o stanno davvero cambiando le cose?
Si tratta di un tradizione degli ultimi anni. Il governo cerca di assorbire importanti figure del passato nel pantheon degli autori da celebrare. Bada bene: il requisito fondamentale è che siano morti e quindi che si possano travisare le loro idee o tacere certe posizioni scomode. Il governo si guarda bene dal rendere omaggio ad autori cubani viventi che vivono in esilio come Carlos Alberto Montaner, e Zoé Valdés.
Carlos Varela ha detto che a Cuba si sente libero e che può esprimere liberamente la sua opinione. Ha aggiunto che i cubani hanno diritto a essere più liberi, a vivere dove vogliono e a pensare in maniera diversa dal governo. Il Bob Dylan cubano può parlare liberamente? A Cuba non è pericoloso esprimere la propria opinione?
Carlos Varela ha raggiunto uno status istituzionale che gli permette di parlare e di cantare in maniera polemica, anche se non è più l’autore di un tempo e sembra sempre meno combattivo. Fa molta attenzione a non oltrepassare il limite. A Cuba è pericoloso esprimere un’opinione diversa da quella ufficiale. Sono consentiti solo applausi e adesione totale alle idee governative. In alternativa si corre il rischio di essere censurati.
Il caso della blogger Amina. Cosa pensi di questa menzogna? In Italia c’è gente che dice la stesa cosa sul tuo conto. Io so bene che vivi all’Avana, tuttavia…
Non so a cosa ti riferisci. A Cuba le notizie arrivano in ritardo…
(Spiego in poche parole il caso della blogger Amina).
Quando ho cominciato a scrivere dicevano cose assurde sul mio conto. Per alcuni non esistevo, per altri non vivevo a Cuba, altri ancora mi descrivevano come un agente di Castro, infine c’era chi mi inseriva nei ruoli della CIA. Accuse alle quali ho sempre ribattuto con il mio impegno e la mia scrittura. Le mie parole sono la miglior risposta alle calunnie. A chi mi accusa dico: leggimi e giudica da solo.
Tua sorella è fuggita negli Stati Uniti, dopo aver vinto la lotteria dei visti, come molti tuoi amici e familiari. Perché la sola aspirazione dei cubani sembra essere la fuga?
Ho vissuto questo evento con molto dolore. Tutta la famiglia di mia sorella ha lasciato Cuba. Non posso denigrarla, anche se non poter rivedere la mia unica sorella mi fa molto male. A Cuba non esistono aspettative umane ed economiche. Il desiderio più diffuso è quello di scappare, dove non importa, quel che conta è lasciare un mondo opprimente che non fa sentire liberi. In ogni caso - lo dico ben chiaro - io non ho la minima intenzione di andarmene. Voglio restare a Cuba per far parte di quella generazione che contribuirà a ricostruire la nazione dopo lo sfacelo.
Il tuo libro Word Press - Un blog para hablar al mundo è uscito in Spagna. Può essere utile allo sviluppo della blogosfera cubana?
Il mio libro può servire ai blogger di tutto il mondo, perché serve a far capire una tecnica come Word Press, attraverso esperienze personali, conoscenze e trucchi del mestiere che cerco di condividere con il pubblico.
La primavera africana sembra in grado di far cadere le dittature che da anni governano molti paesi di quella zona. L’esperienza dei blogger cubani ha qualcosa in comune?
Non abbiamo ancora una voce così forte e uniforme, soprattutto ci manca un collegamento e molte cose sono ancora in uno stato embrionale. Confido che un giorno o l’altro potremo organizzarci e far scoccare la scintilla di una vera rivolta.
Ultima domanda che molti si fanno. Come puoi collegarti a internet e pubblicare i post, se non hai una connessione casalinga?
Non ho Internet a casa, questo è certo. A Cuba soltanto poche persone possono avere Internet e sono collegate al governo. Io vado negli alberghi, negli Internet point e pago il prezzo esoso fissato dal governo per accedere alla navigazione. La notorietà è il mio scudo protettivo. Mi sorvegliano, mi controllano, ma per il momento non mi impediscono di accedere ai punti Internet statali. Preparo i post a casa, sul computer portatile, quindi spedisco all’estero ai collaboratori e ai traduttori volontari. Sono loro - in definitiva - che pubblicano i post.
Yoani Sánchez continua la sua lotta contro la dittatura, come sempre con un linguaggio non violento, ma raccontando con pacatezza il mondo in cui vive e che vorrebbe cambiare.

Nella foto (montaggio): Raul Castro terrorizzato dal topo telematico.

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