Misery di Stephen King - Recensione.

di Bianca Rita Cataldi

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"Gli scrittori ricordano tutto, Paul. Specialmente quello che fa male. Denuda uno scrittore, indicagli tutte le sue cicatrici e saprà raccontarti la storia di ciascuna di esse, anche della più piccola. E dalle più grandi avrai romanzi, non amnesie. Un briciolo di talento è un buon sostegno, se si vuol diventare scrittori, ma l'unico autentico requisito è la capacità di ricordare la storia di ciascuna cicatrice. L'arte consiste nella perseveranza del ricordo."

(Misery, Stephen King 1987)


Partiamo da un presupposto: Stephen King dovrebbe smetterla di scrivere stronzate metafisiche alla "L'acchiappasogni" e dovrebbe ricominciare a scrivere roba "seria" (per citare il suo personaggio Paul Sheldon). Perchè questo Misery è davvero roba seria. Bene. Detto questo, possiamo iniziare.

Paul Sheldon è uno scrittore che si barcamena quotidianamente tra alcool, sigarette e donne, guadagnando una marea di soldi grazie al successo della sua serie di romanzi dedicati a Misery, eroina ottocentesca di stampo Harmony. Paul, in realtà, sa benissimo che tutti i libri della serie sono libri "popolari" che non gli permetteranno mai di sfruttare fino in fondo il suo talento di scrittore e per questo motivo, senza nascondere un brivido di soddisfazione, decide di far morire la celeberrima Misery alla fine dell'ultimo volume della serie. Quella strega odiosa è finalmente schiattata, esulta Paul. Testuale.

Insomma, Misery è bell'e defunta, e il giovane Paul si lancia con entusiasmo nella stesura di un nuovo romanzo, Bolidi, estraneo alla serie "Misery" e assolutamente non commerciale. Il giorno in cui termina Bolidi, Paul si scola una o due bottiglie (non ricordo) di Dom Perignon, s'infila nella sua auto, parte a razzo e...SBAM! contro un albero. Perfetto. Ironia della sorte vuole che, proprio al momento dell'incidente, la pazza schizofrenica malata di mente ossessivo-compulsiva Annie Wilkes passi di lì, riconosca in Paul Sheldon il suo scrittore preferito, se lo carichi in macchina e lo porti via con sé, a casa sua. Da questo momento, ha inizio l'Inferno. Annie non ha nessuna intenzione di lasciar andare Paul il quale, con due gambe rotte e con un bel po' di droga in corpo, somministratagli quotidianamente dalla vecchia megera, non può assolutamente ribellarsi. La situazione si complica quando Annie, "ammiratrice numero uno" di Paul ma soprattutto ammiratrice di quella stronza di Misery, giunge alle ultime pagine dell'ultimo volume della serie, venendo così a sapere della terribile morte del suo personaggio preferito. A questo punto, obbliga Paul a far resuscitare Misery, smettendo di somministrargli le medicine per le gambe (o meglio, la droga) e comportandosi come una pazza maniaca estremamente pericolosa. Paul è costretto a far risorgere il personaggio che ha maggiormente detestato nella sua carriera di scrittore e, come scoprirà ben presto, il suo nuovo libro lo trasformerà in Sherazade. Quando il romanzo sarà terminato, quando Annie sarà finalmente stanca di Misery...allora, che ne sarà di Paul? Quante speranze di vita gli resteranno, quando sarà diventato inutile? E così Paul scrive, scrive, scrive...dietro l'ultima pagina del suo stesso manoscritto, la Morte lo attende. Anche se...

...anche se niente, il resto leggetevelo voi. in ogni caso, è davvero un bel romanzo. Non all'altezza de Il miglio verde, senza dubbio, ma è comunque un grande libro. Il vecchio Stephen impiega con maestria la tecnica della "mise-en-abime" (lett. "messa in profondità". in poche parole povere: il romanzo nel romanzo) e ci troviamo quasi di fronte a una versione revisionata, corretta e "orrorificata" de I falsari di André Gide. Abbiamo il narratore primo, che è Stephen, e il narratore secondo, che è Paul. Abbiamo il libro primo, che è Misery, e il libro secondo, Il ritorno di Misery, ovvero il libro che Paul sta scrivendo per quella psicopatica di Annie. E Annie, come King ripete spesso nel corso della storia, non è altro che l'incarnazione del "pubblico". Annie è IL PUBBLICO": come tutti i "lettori assidui", è affamata di storie e non gliene frega niente della qualità di un testo letterario, no, lei vuole storie da consumare, divorare, mandar giù come tutti i dolci di cui fa razzia nei suoi momenti di depressione. E Paul Sheldon, chiuso a chiave nella camera degli ospiti di Annie Wilkes, è LO SCRITTORE, il povero scrittore che, come il poeta di Baudelaire, è un albatro che con le sue grandi ali non riesce a camminare sulla Terra e viene deriso. Chi minchia se ne frega del talento, della bravura, delle riflessioni di uno scrittore? ma va' là, dammi un Tremetrisoprailcielo da consumare in mezz'ora ed è finita. Stephen King, con questo romanzo, mette a nudo la condizione disperata dello scrittore contemporaneo, nonchè la condizione altrettanto disperata della Letteratura, ridotta ad un prodotto bello e confezionato da vendere all'ipercoop accanto alle marmellate. e hai ragione, caro vecchio Steph. Hai davvero ragione.

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