SALVARSI LA VITA

di Rosa Tiziana Bruno

Forse sono in pochi a saperlo, ma le fiabe non sono affatto delle storielle per bambini.
Sono storie per la vita. Storie attraverso le quali possiamo rintracciare le parole che cerchiamo, per comprendere le cose che non sappiamo capire. Leggere fiabe è un modo per "salvarsi la vita", perché conducono verso ciò che è vero.
Questa che segue è una fiaba moderna, scritta da un'autrice che si muove con agilità nel web regalandoci spesso storie interessanti: Atfelia.
Mi piace proporne il testo qui, perché ritengo che sia un pezzo dallo straordinario potere evocativo. Chiunque avrà la calma e la concentrazione per leggerla piano, scoprirà parti di sé nel racconto e parti di quel tutto che circonda tutti. Ad ogni latitudine del pianeta. Promesso.
Eccola:

Nel regno delle fate dell'aria viveva una fata splendida e molto vanitosa di nome Myra, dai lunghissimi capelli ramati, le ali d'oro e le fluenti vesti del colore del cielo.
Orgogliosissima della sua straordinaria bellezza, Myra credeva che, in virtù di essa, tutto le fosse dovuto e che le fosse lecito fare ciò che voleva, sia nel mondo umano che in quello fatato.
Più volte la bellissima fata si era invaghita di un essere umano e lo aveva rapito per portarlo nel suo mondo incantato, incurante di strapparlo alla sua famiglia.
Un giorno Myra rapì un giovane e bellissimo guardaboschi. Egli però aveva una fidanzata che lo amava moltissimo e che, quando non lo vide più tornare, pensò fosse stato divorato da qualche belva nel bosco. Distrutta dal dolore, la ragazza si suicidò.
Questo tragico evento non poté passare inosservato alla corte delle fate dell'aria, che già da tempo non vedeva di buon occhio i comportamenti di Myra. La regina delle fate si consultò a lungo con le sue consigliere ed infine fu decisa una dura punizione per Myra: sarebbe stata privata della sua bellezza ed esiliata fra gli umani, ove sarebbe rimasta finché un uomo non si fosse innamorato perdutamente di lei e non avesse riconosciuto, in virtù del proprio immenso amore, la fata che si celava nella donna scialba ed insignificante che sarebbe diventata.
Così fu. Myra fu gettata nell'esistenza umana e nella peggiore delle condizioni in cui ci si possa trovare in questa vita. Non ebbe bellezza, né ricchezza, né amore. Si ritrovò esule in un mondo al quale non apparteneva, smarrita e priva del suo splendore di cui solo lei era consapevole e che nessuno, ma proprio nessuno riusciva a scorgere. Dove mai avrebbe potuto trovare l'uomo che avrebbe scoperto la magnifica fata nascosta dentro di lei?
La fanciulla di nome Myra viveva in un villaggio di pescatori, presso il mare. La sua era una povera famiglia di pescatori e lei passava le giornate con la madre ad accudire la casa ed a confezionare collane e braccialetti di conchiglie. Qualche volta riusciva a vendere questi graziosi monili alle ricche signore della vicina città che, in estate, venivano a visitare il suggestivo paesino sul mare.
Da qualche tempo era perdutamente innamorata di un giovane pescatore, figlio di un amico di suo padre, il suo nome era Gabryel. Sebbene egli non la ricambiasse e la considerasse nulla più di una buona amica, si era convinta che fosse lui l'uomo del suo destino e le piaceva pensare che Gabryel provenisse da qualche mondo incantato da cui anch'egli era stato bandito per chissà quale colpa e che, in passato, fosse stato un principe degli elfi o degli esseri fatati del mare. Tuttavia, di tutto ciò, a differenza della sua amica, il ragazzo non sembrava avere alcuna memoria.
Myra era certa che prima o poi sarebbe riuscita a risvegliarlo da quel suo sonno, così lo avrebbe salvato e subito dopo lui avrebbe salvato lei. Era solo questione di tempo e il tempo, inesorabilmente, passava.

Myra parlava, parlava a Gabryel e gli raccontava di mondi arcani fuori dalla materia, oltre la percezione dei sensi, oltre la vanità delle forme.
"Guarda oltre le apparenze della materia", gli sussurrava continuamente con parole ogni volta diverse, ma dallo stesso significato. "Guarda oltre, scopri la fata che ti ama, che tu amerai. Mondi di felicità infinità ti accoglieranno..."
Gabryel era solo un semplice pescatore ed ascoltava tutto questo distrattamente, senza poter comprendere: vaneggiamenti suonavano alle sue orecchie gli strani discorsi della sua amica che, lo sapeva, era innamorata di lui, e che, ne era certo, lui non avrebbe mai potuto amare.
Tuttavia Myra continuava instancabilmente a parlare:
"In un giardino incantato, una fata curiosa guarda dentro il calice d'un fiore solo per scoprire uno straordinario nuovo mondo dove gli abitanti sono anche più piccoli di lei. Dentro il calice, gli spiriti del fiore sono immersi nel loro universo, completamente inconsapevoli di chi, da fuori, li guarda. Come gli esseri fatati, noi viviamo nel nostro piccolo mondo, all'interno di altri mondi, e l'universo in cui ci troviamo, cosa in esso sia grande o piccolo, bello o brutto dipende solo da come noi guardiamo la vita..."
Queste e mille altre parole fluivano da Myra a Gabryel senza che egli potesse coglierne il senso. E intanto il tempo continuava a scorrere: non erano più ragazzi, ma ormai adulti, ciascuno con la propria vita monotona, insignificante, priva di profondi affetti e di autentiche passioni. Nessuno dei due si era ancora sposato.
L'unica vera passione, quella di Myra per Gabryel continuava ad infrangersi contro il muro della sua amichevole indifferenza.
Passarono così dieci anni: molti, troppi per qualsiasi donna, ma non per una fata. Myra continuava instancabilmente ad aspettare che Gabryel scoprisse di amarla, ponendo così fine al loro esilio in quello squallido mondo.
La migliore amica di Myra si chiamava Lydia. Si conoscevano da parecchio tempo, dal giorno in cui Lydia, ricca signorina di città, era venuta con i genitori a visitare il paesino vicino al mare.
Myra le si era avvicinata per provare a venderle una collana o un braccialetto di conchiglie e, con sua grande sorpresa, la bella signorina di città aveva mostrato un grande interesse per quei semplici monili e li aveva comprati volentieri, pagandoli anche più del dovuto. Uno sguardo, poche parole, e le due ragazze erano già diventate amiche. Sebbene appartenessero a due mondi diversi, avvertirono subito che c'era qualcosa che le univa, la sensibile Lydia intuì che in quella ragazza umile si celava una nobiltà d'animo che non aveva mai trovato nelle sue aristocratiche amiche di città.
La loro amicizia si approfondì e si protrasse negli anni. Ogni estate, anche dopo essersi sposata, Lydia andava a trovare Myra al suo paese e trascorreva con lei qualche giornata al mare.
In una di queste occasioni, Myra presentò la sua amica a Gabryel ed egli rimase subito affascinato dalla bellezza e dalla grazia di quell'elegante signora di città.


Per poter trascorre qualche ora con lei, si azzardò infine ad invitare le due amiche nella sua umile dimora per una cena a base di pesce freschissimo da lui stesso pescato ed abilmente cucinato.
Con sua grande sorpresa, l'aristocratica signora dai capelli biondi, gli occhi di cielo e il sorriso incantevole non disdegnò l'invito, ma anzi lo accettò volentieri.
La serata riuscì gradevole per tutti e Gabryel si comportò da perfetto gentiluomo con la bella Lydia. Fecero tardi. La luna era già alta nel cielo, quando Gabryel riaccompagnò a casa le due amiche, e Myra si sentiva stanca.
Erano ormai arrivati davanti casa di Myra, ma Gabryel la tirava ancora per le lunghe, tutto preso dalla gradevole conversazione con Lydia.
Myra espresse più volte il desiderio di accomiatarsi, ma nessuno le badò.
"Si è fatto davvero tardi, è ora di andare a dormire!" disse infine con maggior decisione e Gabryel parve infastidito: "Lasciami contemplare ancora un po' il viso soave di questa dolce fata!" esclamò riferendosi a Lydia, e a quel punto qualcosa si spezzò nell'anima di Myra.
Fata! Gabryel aveva chiamato fata una donna, e quella donna non era lei!
In quel momento di stanchezza, Myra, stupidamente, non riuscì a realizzare che egli aveva usato quel termine solo per galanteria, senza ovviamente credere che Lydia fosse davvero una fata e, tantomeno, una fata da salvare. Paradossalmente Myra percepì l'esatto contrario e fu trafitta dalla gelosia.
Era troppo, veramente troppo per lei, dopo tutto il tempo che aveva atteso e che ora, all'improvviso, le pesava enormemente sul cuore.
La mano di Myra scattò e colpì la guancia di Gabryiel con uno schiaffo sonoro. Egli rimase dapprima esterrefatto, poi si adirò, chiese spiegazioni, ma non gli furono date: Myra si era trincerata in un ostinato mutismo.
Infine Gabryel, perse la pazienza e proruppe: "Sei gelosa delle donne più belle di te, lo sei sempre stata, ossessivamente gelosa e possessiva nei miei confronti!"
Se c'è una cosa che un uomo non può fare con una fata è rimproverarla aspramente, perché lei non riesce a tollerarlo, ma Gabryel non poteva sapere che la sua amica Myra era in realtà una fata. In verità nemmeno lui era un essere soprannaturale, esule fra gli umani, come Myra aveva sempre voluto credere, ma soltanto un uomo comune che pensava di avere a che fare con una donna comune, un po' bizzosa ed accecata da un'eterna gelosia.
Invece era tutto sbagliato: ciò che lei credeva di lui, ciò che lui pensava di lei.
In ogni caso fu la fine. La fata Myra decise all'istante che il dissidio fra loro era insanabile. Con una freddezza glaciale, sotto gli occhi dell'incredula Lydia, disse a Gabryel che non voleva rivederlo mai più, per nessun motivo.
In quel momento non pensava che stava gettando al vento la sua unica possibilità di salvarsi e di ricongiungersi al suo mondo.
Gabryel era sbalordito e dispiaciuto: non si sarebbe mai aspettato un simile trattamento dalla sua amica Myra, ma lei era una sfinge: implacabile, impenetrabile.


Finì così.
Rimasta sola con Lydia, Myra realizzò finalmente quel che aveva fatto e pianse tutte le sue lacrime, ma giurò che non sarebbe mai tornata sui suoi passi.
Per non lasciarla sola nel suo dolore, la buona Lydia rimase con lei qualche giorno in più del previsto.
Le due amiche passavano molto tempo in riva al mare.
Quella mattina, Lydia si trovava a bordo di un elegante battello che trasportava i turisti nel giro panoramico intorno alla costa.
Aveva insistito perché anche l'amica partecipasse alla gita, ma Myra aveva preferito non andare.
Se ne stava adagiata su uno scoglio, presso la riva, godendo dei caldi raggi del sole che le accarezzavano il volto.
Sebbene vivesse vicino al mare, l'acqua non era il suo elemento e, di essa, Myra, fata dell'aria, aveva un segreto timore.
Guardava con occhi assenti la distesa blu del mare che si confondeva all'orizzonte con l'azzurro del cielo. Sognava le sue ali d'oro di fata, con le quali, nella sua vita passata, si librava nel cielo e volava a lungo, libera e gaia come una rondine. Chiuse gli occhi al blu del mare e del cielo, mentre grosse lacrime le rigavano le guance. Il suo dolore era muto ed insondabile.
Ad un certo punto udì una voce dentro di sé: la dolce voce della regina della fate.
"Abbiamo compassione del tuo dolore, Myra", le sussurrava quella voce gentile. "Non possiamo restituirti il tuo splendore e le tue ali d'oro, perché tu non hai saputo conquistare l'amore di un uomo, ma abbiamo deciso di porre fine al tuo esilio nel mondo umano. Non più il regno dell'aria, ma quello dell'acqua ora ti accoglierà. Lasciati andare nel mare, l'acqua è clemente: ti offrirà una nuova dimora fra le creature marine e tu sperimenterai una nuova forma di esistenza scevra dal dolore. Lasciati andare, abbandonati all'acqua..."
Myra restò immobile sullo scoglio, ad occhi chiusi: "Mi stanno dicendo che devo morire", pensò con tranquillità. "Morire ora, nell'acqua... Sì, è l'unica cosa giusta."
Si lasciò lentamente scivolare giù dallo scoglio, sempre ad occhi chiusi, sprofondò in mare.
Dal battello che stava tornando a riva, Lydia assistette alla scena atterrita ed impotente. Gridò disperatamente il nome dell'amica, ma ormai lei era scomparsa sott'acqua.
Lydia pianse tutte le sue lacrime, credendo che Myra si fosse suicidata, annegandosi.
Il suo corpo fu a lungo cercato, ma mai ritrovato.
Anche Gabryel soffrì profondamente per la triste fine della sua vecchia amica e pensò che in parte fosse stata colpa sua, ma il senso di colpa non lo attanagliò a lungo. Col tempo dimenticò e, poco a poco, la sua vita cambiò in meglio, come se la scomparsa della sua vecchia amica lo avesse liberato da una specie di maledizione. Lasciò il suo villaggio, si trasferì in città, fece fortuna.


Incontrò infine una donna buona e bella che, fin dal primo momento, lo amò teneramente. La sposò e furono felici. Dopo qualche tempo divennero genitori ed in seguito nonni: nella maturità e poi nella vecchiaia, Gabryel trovò una serenità che non aveva mai avuto in gioventù.
Era ormai anziano, quando, con la moglie e i due nipotini, si recò in vacanza al mare, nel suo paese d'origine.
La sera, dopo cena, quando i nipoti si erano addormentati e la moglie si dedicava al ricamo, Gabryel andava a fare una passeggiata sulla spiaggia.
Per caso, una sera, arrivò fino allo scoglio dove, tanto tempo prima, Myra si era adagiata, prima di scomparire in mare per sempre.
Su quello stesso scoglio Gabryel vide improvvisamente, illuminata dal chiarore della luna piena, una giovane donna dai capelli ramati, vestita di verde ed adorna di conchiglie e stelle marine. La donna, sorridendo, sussurrava dolci parole ad una grossa conchiglia che teneva fra le mani e dalla quale uscivano strani bagliori di luce ed incomprensibili mormorii.
Mentre Gabryel guardava rapito quello strano spettacolo, ricordò le enigmatiche parole che Myra gli ripeteva spesso, quando erano ragazzi: "In un giardino incantato, una fata curiosa guarda dentro il calice d'un fiore solo per scoprire uno straordinario nuovo mondo dove gli abitanti sono anche più piccoli di lei. Dentro il calice, gli spiriti del fiore sono immersi nel loro universo, completamente inconsapevoli di chi, da fuori, li guarda..."
Un mondo di esseri fatati nel calice d'un fiore, come in una conchiglia!
La donna sussurrava una specie di cantilena: "Piccole sirene che abitate nella mia conchiglia, é bello per me stare in vostra compagnia e trascorrere ore liete, godendo insieme a voi della generosità del nostro mare..."
S'interruppe, distogliendo lo sguardo dalla conchiglia per puntarlo su Gabryel e sorridergli per un istante.
Trasecolando, egli riconobbe il sorriso e lo sguardo della sua perduta amica Myra.
Un attimo dopo la vide scomparire nel mare con la sua conchiglia, dimora di esseri fatati: un altro minuscolo universo con cui lei sola poteva comunicare, un universo arcano a cui era sempre appartenuta e al quale si era infine ricongiunta.
A tutto questo, ai mondi incantati di cui Myra gli aveva tanto parlato, Gabryel, da giovane, non aveva mai creduto. Solo ora, da vecchio, dopo quella singolare apparizione sullo scoglio, al chiaro di luna, egli iniziava ad intuire l'esistenza di una realtà misteriosa e lontanissima da tutto ciò che gli era noto.

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