Il perpetuo dopo


di Vincenzo Jacovino

Non è solo una sensazione ma una realtà. Il cittadino del bel Paese è accompagnato fin dalla nascita e per tutto il percorso della sua esistenza, breve o lunga che sia, da un termine accattivante: dopo. La operatività del dopo è in atto in tutte le frazioni dell’esistenza e si dimentica spesso, purtroppo, il detto popolare che ossessivamente ripeteva a noi ragazzi la nonna: “Non rimandare a domani ciò che puoi fare oggi” e quando il dopo si materializza nell’oggi, nel presente resta l’amaro rammarico del non realizzato ma più spesso delle scelte errate fatte. D’altro canto anche se ben

ammaestrato a quali e quanti 
miseri casi espor soglia il notturno orror (G. Parini)

del dopo, il cittadino non impara a ponderare il presente in proiezione del futuro perché è continuamente bombardato dal fattibile e operativo dopo. Ma come fa il cittadino a ponderare se il dopo è messo quotidianamente in atto da istituzioni e governanti in e per ogni decisione sociale e di utilità pubblica?
Non è pensabile che il cittadino viva in una società ove vige l’eterna emergenza pagando le conseguenze della diffusa illegalità, della generale e capillare corruttela, dell’incapacità dei pregressi e correnti governanti. Ieri, l’emergenza era surrettizia oggi, è effettiva e per porre rimedio a essa si rinviano a dopo i gravissimi problemi del presente, ovvero quelli riguardanti il lavoro. E’ vero che la democrazia è un sistema in perenne movimento ma il suo divenire è strettamente legato al senso di dignità che ogni componente della società ha intimamente acquisito. La dignità è, comunque, strettamente legato al lavoro e senza di esso il sistema tende a bloccarsi. E il blocco provoca si, l’atrofizzazione della democrazia ma la mancanza di lavoro genera, quasi sempre, l’onda lunga distruttrice di ogni forma democratica.
Erigere un muro contro la crisi si deve però, nel contempo, occorre impedire che germogli in perpetuo il dopo e il mentre che deve emergere dal cappello dei governanti e gestori della cosa pubblica. Si sarà chiesto il cittadino: “Cosa c’era da festeggiare nel giorno della festa del lavoro?”. Nulla, se non la disperazione che si sta impadronendo dei singoli suddivisi, ormai, in chi è sotto l’aggressione feroce e vorace della crisi e in chi, invece, è stato ormai del tutto fagocitato dalla stessa. E’ pur vero, purtroppo, che

le nostre collere sono bolle di sapone

che il potere corazzato lascia correre (N. Risi)

ma il tempo dell’acquiescenza ha anche un suo limite e la rabbia, unita alla dispe- razione che si va di giorno in giorno accumulando, potrebbe annullare ogni dopo o ogni strategia di applicazione del dopo.

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