Di Natty Patanè
sottofondo consigliato: "'Nfinu c'agghionna" - M. Venuti
- Professore vado in biblioteca a consegnare un
libro –
- Sempre nell’ora di religione hai da consegnare
libri Sebastiano! Comunque oggi è inutile, dobbiamo andare in aula magna –
- Lo so, vi raggiungo la –
- vai vai –
Dalle classi si
sentono voci di professori che fanno l’appello, al centro del corridoio la
cattedra dei bidelli è occupata dalla signora in nero
- sempre in giro stai tu! –
Sebastiano
sorride e saluta dirigendosi verso la biblioteca, la signorina Maria cataloga
dei nuovi arrivi
- c’è qualcosa di interessante? –
- solo riviste, niente libri –
- ho riportato Jonesco, bellissimo! –
da un’occhiata
in giro poi esce. Appena fuori la professoressa Licitra lo ferma trafelata, i
ricci biondi le danno un’aria irrequieta
- tieni, questo è il libro di cui ti parlavo,
leggilo poi mi dirai cosa ne pensi, magari ti servirà per gli esami -
poi si guarda
intorno, come se da un momento all’altro potesse sbucare la collega che l’ha
sostituita nella classe di Sebastiano.
- Adesso vai che tra poco inizia la conferenza –
Lui annuisce e
si allontana silenzioso, pensando che di conferenze sulla mafia ne ha già
abbastanza. L’aula magna è quasi deserta, solo una terza ha già preso posto
guardata a vista da un professore che ha tutta l’aria di aspettare qualche
collega che possa vegliare sugli studenti mentre lui va a farsi una sigaretta.
Qualcuno lo guarda, altri si godono lo scampato pericolo di qualche
interrogazione a sorpresa. Pian piano i posti cominciano a riempirsi, anche la
sua classe arriva sedendo intorno a lui.
- Che libro hai preso? –
Gli chiede
Giovanna
- Il signore delle mosche –
Ormai ogni
posto è occupato, si attende, con insegnanti che cercano di fare raccomandazioni
memori della reazione avuta dai ragazzi durante l’ultimo incontro con Danilo
Dolci che esordì chiedendo se sapevano cosa fosse una zecca.
D’un tratto il
brusio tipico che accoglie l’ospite, entra un uomo dalla folta barba
brizzolata, addosso un giubbotto di pelle nera, sotto braccio una copia del suo
mensile.
Si siede al
tavolo, la Licitra lo introduce parlando delle sue battaglie, delle sue
inchieste, lottando contro il vociare crescente. Poi da la parola al
giornalista.
C’è qualcosa
di particolare in lui, qualcosa che in breve zittisce ogni voce, in breve
Sebastiano si accorge che tutti tacciono, anche lui si fa rapire dalle cose che
sente, le parole dell’uomo con la barba trafiggono, sono chiare e vanno dritte
al bersaglio, raccontano di un uomo che lotta veramente, che non ha paura. Sarà
forse il sogno di fare il giornalista ma Sebastiano non perde una sillaba di
quello che si riversa nell’aula magna, come fosse un fiume sbucato da una
improvvisa fenditura del terreno. Il tempo vola e l’applauso finale è vero come
mai più risuonerà applauso in quella sala, quasi come se si sapesse che il
tempo di quell’uomo è ormai vicinissimo alla fine.
Anche uscendo
il silenzio dura quasi irreale.
-
Mi da una copia de “i siciliani” –
Dentro c’è
un’incredibile servizio su San Berillo, brandello di Catania, quasi una
squallida protesi di un qualche quartiere
a luci rosse e un impressionante elenco di nomi di imprenditori con
relativi affari legati alla mafia. Legge poggiato alla sua vespa, le luci son
tutte accese e rossi e verdi presagiscono l’incombente Natale, le campane della
basilica scandiscono grevi l’arrivo della sera, Sebastiano chiude il giubbotto
e si avvia con il motore borbottante a fare a gara coi suoi pensieri.
-
Hai portato gli appunti di matematica? –
-
Si li ho –
Quasi sussurra
poggiando lieve il palmo della mano sulla guancia di Simone
-
Domani pomeriggio andiamo a Catania –
-
A far che? –
Gli chiede l’amico
-
Non so, ma quel giornale non può chiudere,
dobbiamo fare qualcosa –
Il teorema si
apre sui fogli del libro, la vita sta li, sospesa tra le cose da fare e quelle
da dire che, forse, non si diranno. Dall’appartamento
del piano superiore passano suoni antichi e una voce che lamenta un amore
impossibile.
-
Usciamo per favore –
Simone
annuisce e si alza abituato ai cambi d’umore dell’amico. Un autobus
imbottigliato nel traffico esibisce vetri appannati e volti sfatti, Sebastiano
comincia a sussurrare
-
Cu tutto ca fora c’è a guerra, mi sentu,
stranizza d’amuri –
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