Frammenti rituali


Giuseppe Gavazza
http://www.giuseppegavazza.it/per_ascolto/RadioWegaEWS2013.mp3
© giuseppe gavazza, 2013

La giornata di chiusura del Festival Détours de Babel - che si è svolto a Grenoble tra il 2 ed il 20 aprile - ha proposto, come pezzo forte, nella grande sala di MC2 Maison de la Culture una crèation di Pierre Henry : Fragments Rituels.
Pierre Henry est un autre grand Pierre della musica francese della seconda metà del secolo scorso : sto pensando - oltre che a Boulez, ovviamente - a Pierre Schaeffer, che con Henry ha condiviso la bella avventura sonora e musicale parigina della musique concrète che dagli studi del GRM (Groupe de Recherche Musical) ha irradiato per il mondo una musica nuova che ha usato le tecnologie e gli strumenti degli studi della radio nazionale francese per proporre (e spesso opporre) la composizione di registrazioni su nastro magnetico di suoni reali (da cui la concretezza) a quella puramente elettronica, che utilizzava invece le tecnologie elettroniche per sintetizzare suoni elettronici e, in quanto tali, più astratti di quelli concreti. Voilà!

Si era nei tardi Cinquanta: anni di invenzione, fermenti creativi, innovazione, costruzione e costituzione del nuovo non solo nel mondo della musica o dell'arte, ma anche nella vita sociale e politica.
In diversi paesi europei i compositori trovavano proprio (e quasi solo) nelle istituzioni pubbliche - che facevano capo alla radio e alla neonata televisione - gli strumenti, le strutture ed i mezzi (anche economici) per sperimentare i nuovi suoni, concreti o elettronici, per la nuova musica: a Milano la RAI apriva lo Studio di Fonologia - voluto e frequentato Luciano Berio, Bruno Maderna, Luigi Nono ed altri – che allineava nella ricerca musicale l'Italia alla Francia (appunto con il GRM) e alla Germania con lo Studio WDR di Colonia; nel giro di pochi anni altri paesi, europei e non, avrebbero seguito.
Il GRM a Parigi rimane tuttora attivo nella Maison de la Radio, altri studi radiofonici tedeschi hanno raccolto l'eredità dello studio WDR ma il glorioso Studio di Fonologia della RAI di Milano, chiuso nel 1983 con il pensionamento del suo tecnico storico Marino Zuccheri, non ha lasciato eredi riconducibili alle istituzioni radiotelevisive pubbliche (meno che mai a quelle private, interessate a ben altre concretezze).

Pierre Henry è un bel vecchio di ottantasei anni, una faccia sorniona e simpatica incorniciata da capelli fluenti ed una lunga barba bianchissimi ed è una leggenda vivente della musica sperimentale. Difficile non essere attratti e conquistati dalla sua figura illuminata da uno spot nel centro della grande sala buia affollata: come una figura rituale maneggia i comandi di un grande mixer a comandare la très grande orchestre acusmatica di centinaia di altoparlanti distribuiti sul palco e tutto attorno al pubblico, occhieggianti nel buio con i loro leds intermittenti assecondati da una partitura luci ad accompagnare quella sonora. Un dj nostromo o Capitano Nemo che ha qualcosa di mitico ed affascinante.

Nel “nuovo” lavoro Fragments Rituels Pierre Henry ha deciso di (ri)utilizzare materiali sonori e musicali eterogenei, molti dei quali ripresi esplicitamente dal suo lavoro forse più conosciuto: la Messe pour le Temps Presents proposta con grande successo e altrettanto grandi discussioni al Festival d'Avignone nel 1967 per la coreografia di Maurice Bejart.

Il tempo presente del 1967 è il tempo passato di oggi ed il tempo non passa invano: con un dispiego di mezzi tecnici come quelli esposti nella grande sala MC2 oggi – a mio modesto avviso - si può fare di più e di meglio dal punto di vista (di ascolto dovrei dire) tecnico e musicale come anche da quello della partecipazione rituale annunciata dal titolo: consona al linguaggio di Henry – che nella presentazione del concerto scrive di religione, liturgie, mitologie, sacro, preghiera - implicherebbe un coinvolgimento maggiore e diverso per realizzarsi appieno.
Il pubblico affollava la sala e, con poche defezioni, dopo poco più di un'ora di performance ha gradito e applaudito lungamente, certamente catturato dal carisma del grande vecchio al comando della sua gloriosa nave sonora che fu attuale, presente e viva qualche decennio orsono.
Trattandosi “solo” di musica va bene così: a riproporre il già ascoltato grandi danni non se ne fanno e c'è spazio per il nuovo altrove, ci sono e ci saranno altri concerti e altre occasioni per il presente attuale. Largo ai grandi vecchi timonieri, anche se ormai inadeguati, se non devono guidare situazioni troppo impegnative e rischiose per tutti.

Poche sere dopo ho avuto occasione di essere spettatore al cinema per un bellissimo film di Nicolas Philibert : La Maison de la radio: un documentario assolutamente da ascoltare e da vedere.
Una ricerca online mi porta a qualche sito che mi comunica che in Italia le sale che lo propongono sono = 0; e probabilmente tante resteranno. Peccato, per chi lo volesse conoscere c'è il dvd.

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