Mauro Villone
L’india continua a rimanere un paese straordinariamente interessante, dove la miseria economica, umana e culturale si mescola a paesaggi e architetture mozzafiato e ad alcune tra le filosofie più profonde che mai si siano sviluppate sul pianeta. Nel frattempo un forte sviluppo economico, mentre crea opportunità di lavoro e miglioramento delle condizioni economiche per alcuni, sta distruggendo il sostrato culturale storico del paese.
Il 26 gennaio del 1850 l’India ottenne l’indipendenza dalla
corona britannica diventando una repubblica federale. Gli inglesi lasciarono al
suo destino la loro ex-colonia, un paese gigantesco con una popolazione
numerosissima (la seconda al mondo dopo la Cina), con 25 lingue, numerosi
dialetti e una varietà culturale incredibile. Oggi, dopo più di 60 anni, la
varietà enorme di culture sparse su un territorio sconfinato, insieme a una
notevole crescita economica e tecnologica non ha fatto altro che aumentare a
dismisura forbici economiche e contraddizioni.
L’india continua a rimanere un paese (così esteso da essere
chiamato sub-continente) straordinariamente interessante, dove la miseria
economica, umana e culturale si mescola a paesaggi e architetture mozzafiato e
ad alcune tra le filosofie più profonde che mai si siano sviluppate sul
pianeta. Un'altra delle caratteristiche del paese è l’antichità. Le culture di
Harappa e Mohenjo Daro sono tra le prime che abbiano visto la luce sulla terra
e città come Varanasi vantano il primato di essere state abitate con continuità
per millenni dal più remoto passato. L’India è mito e culla di miti.
Una delle prime caratteristiche ad attrarre la nostra
attenzione è lo sviluppo tecnologico che ha portato questo paese ad essere
leader nel settore informatico, ad avere industrie potenti (come il Gruppo
Tata), a disporre (ahimè) della bomba atomica. Descrivere in un articolo quello
che sta accadendo in India è impossibile. Possiamo però descrivere il più
sinteticamente possibile quanto abbiamo visto e ci è successo in 40 giorni di
viaggio. La sintesi è necessaria poiché per raccontare in profondità quanto ci
è accaduto servirebbe un libro (che stiamo preparando). Ma andiamo per ordine.
Prima tappa, a febbraio, Allahabad, dove era in corso il
Kumbh Mela, il raduno religioso più grande del mondo. Si calcola che durante il
mese e mezzo di attività siano affluite non meno di 300 milioni di persone, con
punte giornaliere di 30 milioni nelle sole giornate dedicate ai bagni più
importanti nel Gange. L’evento avviene ogni anno, ma di queste dimensioni
immani solo ogni 12 anni, ed è legato a precisi calcoli effettuati da parte di
rispettatissimi astrologi. La tendopoli sulla gigantesca pianura tra i fiumi
Yamuna e Gange è a dir poco emozionante. Milioni di tende su un’area che,
percorsa in auto, richiede intorno ai 40 minuti per essere attraversata da una
parte all’altra. La fede sincera, così come la superstizione, sono ancora
estremamente vivaci in india. Veri guru e maestri autentici portatori di
conoscenze antichissime si mescolano a ciarlatani, saltimbanchi e affaristi.
Persone praticanti e devote si mescolano a baciapile che si recano sul posto
giusto per fare un rapido bagno nel Gange per se stessi e per la propria famiglia.
Ma per la prima volta quest’anno ho avuto il raro e discutibile privilegio di
assistere allo scontro tra un mondo arcaico ancora vivo, anche se agonizzante,
è il mondo presente, tutto proiettato verso il futuro con le sue macchine
fotografiche di ultima generazione e i suoi tablet. Le forti piogge ci hanno
ripetutamente costretto durante le nostre escursioni a piedi in loco a chiedere
rifugio in diverse tende, molte delle quali adibite ad Ashram e centri di
preghiera. Abbiamo così incontrato molti meditatori e guru autentici. Per
intenderci di quelli che di solito vivono isolati sull’Himalaya e magari hanno
fatto voto di non parlare, che so, per venti anni. Quelle pratiche sconvolgenti
tipiche del “mondo di prima”. Sulla gigantesca tendopoli torreggia un enorme
viadotto, alto forse 80 metri, sul quale frequentemente passa il treno. Impossibile
non vedere, pendente dal viadotto, il più gigantesco cartellone pubblicitario
che abbia mai incontrato, forse 25 metri per 40. Un enorme campo rosso con una
scritta in bianco: CocaCola. In questo cortocircuito spaziotemporale si sono
bagnate nel Gange, incluso il sottoscritto, centinaia di milioni di persone. Il
bagno nel Gange, lungi dall’essere una pratica da superstiziosi o un’abitudine
solo induista, è in realtà un’esperienza profonda e sconvolgente. Vivere nella
tendopoli, pernottando nelle tende, anche solo per alcuni giorni è
un’esperienza umana ineguagliabile. Ogni incontro qui diventa significativo. Se
qualcuno poteva avere ancora dei dubbi sulla casualità degli eventi della
propria vita, qui vengono spazzati via del tutto. Abbiamo incontrato un ragazzo
induista proveniente dal Sudafrica, Henry, che è stato capace di farci scendere
più in profondità nella poetica visone della vita di questa filosofia. I ragazzi
indiani che ci hanno ospitati nelle tende fanno parte di un’associazione
impegnata nelle relazioni umane e negli aiuti ai pellegrini poveri. Insieme a
loro e a due ragazze americane di passaggio un giorno abbiamo distribuito cibo
per la strada ai pellegrini. Era la mia seconda volta al Kumbh Mela, abbiamo
proseguito il nostro viaggio dopo la promessa di rincontrarci tutti al più
presto.
Raggiunta Varanasi in un ostello devastato abbiamo
incontrato un altro viaggiatore, un tipo francese di cui Henry ci aveva parlato
con toni entusiastici quando eravamo alla tendopoli. Si erano incontrati lì. Ci
ha sorpreso incontrarlo a centinaia di chilometri di distanza, nella stessa
nostra guesthouse, nel momento esatto in cui stavamo uscendo per un’escursione.
Philippe ha 45 anni e, dopo aver passato tre anni in bicicletta tra Africa, India
ed estremo oriente, non riesce più a vivere a Parigi. Abbiamo trascorso i
cinque giorni successivi spesso in sua compagnia, senza mai combinare nulla,
semplicemente incontrandolo per caso in giro ogni giorno. Varanasi, una delle
città più sacre al mondo è sempre un luogo straordinario. Rispetto a sei anni
fa l’ho trovata invasa da turisti e da fotografi “professionisti” e non,
talmente privi di rispetto per i “loro” soggetti da avermi fatto passare,
almeno per il periodo del viaggio, buona parte del mio desiderio di
fotografare. Ma rimane meravigliosa. Qui il corto circuito tra l’arcaico e il
futuro è shoccante, con l’incontro scontro tra fotocamere di ultima generazione
e donne in abiti tradizionali che, per la strada, stirano i panni con i ferri a
carbone. L’uso di questi strumenti nelle nostre città europee credo sia
terminato più di sessanta anni fa.
Esistono centinaia e centinaia di indie diverse, tra le
quali quella della bomba atomica, quella dell’informatica, quella delle
centinaia di vacche per la strada, delle donne schiacciate e represse, dei
mendicanti, del terrorismo, del cinema e dello show business, della moda e
delle auto di lusso. Oggi come non mai qui il mescolarsi di culture provenienti
da tempi e spazi lontani è a dir poco sorprendente. Forse l’apoteosi di questa
improbabile società smembrata e impazzita l’abbiamo vista a Calcutta. I
pittoreschi negozi a buon mercato, ancora di tipo arcaico, qua e là intercalati
da modernissimi bar paninoteche carissimi. City finanziarie piene di manager e
quartieri tradizionali bellissimi, di case colorate, per nulla diversi da
quelli che si potrebbero trovare in villaggi di campagna o sulle pendici dell’Himalaya.
Una segnalazione di Philippe ci ha condotti da Rupak, sul
tetto di una casa di un quartiere decentrato di Calcutta. Due tende e due
baracche sul tetto sono la guesthouse. Rupak Chatterje, 28 anni è un
personaggio troppo complesso per poterlo descrivere in poche righe. Gli dedicherò
più tempo in una prossima occasione. Basti sapere che suo padre era un grosso
dirigente bancario. Naturalmente lui fu quasi costretto a studiare economia per
seguire le orme del padre. Lavorò per un po’ nel settore finanziario, ma quando
scoprì che a Calcutta si trova una sorta di “Centro del sesso” dove vengono
detenuti 13.000 bambini dai 6 ai 14 anni, acquistati nelle zone rurali da
famiglie alla miseria e che vengono giornalmente affittati a pedofili ha deciso
di cambiare vita. “Dissi a mio padre – mi racconta – ecco cosa voglio fare
nella vita, combattere contro questa porcheria”. Oggi i suoi genitori sono
morti, ma al tempo venne ripudiato dalla famiglia. Perse il lavoro in campo
finanziario e si è mantenuto fino a oggi affittando le stanze di un edificio
singolare che lui ha chiamato guesthouse. Adesso funzionano solo le due
baracche e le due tende sul tetto. Non abbiamo capito bene perché. Dice che
vuole venire in Europa per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni
sul fatto che in India ci sono 11 bordelli di bambini in diverse città. Anche
Dinesh ad Allahabad ci aveva parlato della tratta di bambini e bambine dei
villaggi rurali. Vengono venduti per cifre che vanno dalle 80 alle 800 Rupie
dalle famiglie alla fame. I familiari forse non sanno del destino dei piccoli e
credono che in qualche modo possano trovare una sistemazione migliore. Abbiamo
controllato dati ufficiali. Sono almeno 500.000 i bambini scomparsi ogni anno
in India. Il dato è senza dubbio per difetto poiché una minoranza espone denuncia
quando si accorge che qualcosa non va. Il traffico è enorme e la notizia non è
certo nuova, ma non riesce a superare la soglia del silenzio massmediatico. “A
chi può interessare?” – mi dice Rupak. I bordelli sono frequentati da pedofili europei,
cittadini indiani e persino da personaggi istituzionali. Tutto alla luce del
sole. I bambini dopo circa una decina d’anni di questa cosa che chiamare vita
mi sembra fuori luogo hanno due possibilità. Essere ributtati sulla strada, il
che è la conseguenza più probabile, visto che, mi dice sempre Rupak: “Il 95% di
loro perde la ragione. Mangiano un po’ di riso e di notte dormono magari in 60
dentro dei capannoni”. I “sopravvissuti” entrano nel giro e continuano a
prostituirsi e poi a procacciare affari e a gestire il sistema, cercando nuovi
bambini e organizzando le vendite.
L’india di oggi è anche questo.
Abbiamo deciso di collaborare in qualche modo con Rupak.
Vedremo cosa si riuscirà a fare. In ogni caso la permanenza di una settimana
sul suo tetto è stata straordinaria. Siamo stati letteralmente coccolati da lui
e altra gente che non avevamo mai visto, i suoi ospiti da Gran Bretagna, Stati
Uniti, Svezia, Corea, Spagna, Italia. Un avvicendarsi di fotografi, giornalisti
e viaggiatori di cuore che per quei pochi giorni è stata per noi come una
grande famiglia.
A sud di Calcutta, in Orissa, c’è una città sacra: Puri. Un
centro di diffusione di cultura hindu, yoga e ayurvedica, pieno di maestri, yogi,
veggenti, indovini. Un luogo di pellegrinaggio e di turismo interno. Ancora più
a sud si trovano le aree tribali, tra le foreste, dove numerosi gruppi etnici
vivono quasi incontaminati. Aree di difficile accesso ancora più protette dopo
che una guida italiana fu rapita lo scorso anno da gruppi estremisti. Il nostro
tentativo di ottenere un permesso è strato vieppiù frustrato dalla tesissima
situazione causata dalla vicenda dei due Marò. Singolare, tra l’altro, come il
governo indiano ci tenga tanto a difendere i sacrosanti diritti di due famiglie
di pescatori, mentre dimentichi da anni 500.000 famiglie così alla fame da
arrivare a vendere i bambini. È difficile governare.
È facile invece incontrare per la strada molte donne che
fanno lavori pesantissimi, come il trasporto di cemento e mattoni, la messa in
posa dell’asfalto e altre cose simili. La condizione della donna è peggiore di
quella delle vacche che, essendo sacre, girano indisturbate per villaggi e
città. Le donne invece, specie quelle delle caste inferiori o intoccabili, sono
silenziose perché quasi inesistenti sul piano sociale, relegate a ruoli di
umile servizio. Ben diversa la situazione quando ci si sposta sul piano
mediatico. La televisione offre lo spettacolo di un’India completamente
diversa, quasi inesistente su gran parte del suo territorio e reale solo in
alcune zone di Delhi e Bombay.
Ricchezza, divertimento, ballerine bellissime seminude, quiz show pacchiani e
banali esattamente come in qualsiasi altra rete televisiva del mondo. La pialla
della cultura occidentale, del modello americano che omologa tutto parte da qui,
dalla tv. D’altra parte il mezzo televisivo è anche il posto dove è facile
incontrare donne, di solito giornaliste, totalmente emancipate, che sanno il
fatto loro e che, in videoconferenze con 6 o più persone, sono in grado di tenere
testa e anche bistrattare, capi di stato, ministri, docenti universitari e
premi Nobel. È sempre più difficile stabilire dove si trovino il bene e il
male. Mentre l’India tradizionale è un coacervo di superstizioni, credenze,
violazione di diritti umani, è anche una culla di culture antichissime,
profonde filosofie, persone di grandissimo valore. Intanto in India il boom
economico, mentre da possibilità molto maggiori a tutti, sta omologando, come in
tutto il mondo, anche questo paese, dove molti giovani sono solo più
interessati al guadagno facile per acquistare tablet, pc, automobili, vestiti e
liquori.
D’altra parte dalla stessa India ci giungono strumenti come
la meditazione, il rispetto, la compassione, strategici per lo sviluppo di
qualcosa che sembra non appartenere a questo pianeta e che invece sarebbe una
delle poche cose necessarie per uno sviluppo futuro degno di questo nome:
l’equilibrio.
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