di Natty Patanè
sottofondo musicale consigliato: "Take me for a ride" - Sea+Air
-
Sono nata 91 anni fa, lo sapevi? –
Lo aveva detto continuando a
guardare oltre i vetri
-
Lo so, in giugno, come me –
Rispose Sebastiano che aveva
sentito quella storia decine di volte senza mai tradirsi.
- D’estate, ogni settimana davamo una festa, ci
trasferivamo nella villa in campagna già in giugno, e almeno una volta la
settimana arrivavano i camerieri con i guanti bianchi, l’orchestrina, fino alla
fine di agosto, quando l’uva era già matura e dolce e in pochi giorni avrebbe
curvato le spalle nude degli uomini –
Di tanto in tanto lo guardava
trafiggendo la malinconia e facendo brevi pause tra qualche parola, come se le stesse cercando tra i ricordi.
-
Fino alla guerra, poi tutto finì –
I vetri tintinnavano al passaggio
di un vecchio camion
-
Da allora ho sempre fatto da me, di testa mia, e
ho abitato nel palazzo della zia Marietta. Ti ricordi? –
-
Certo, i pavimenti di cotto, e il terrazzo che
guardava i campanili –
-
Quando eri piccolo ti avvicinavi alla ringhiera
e poggiavi le labbra sul vecchio ferro battuto –
Sebastiano sorrise ricordando il
sapore rugginoso
-
Adesso devo andare –
Disse alzandosi, lei lo guardò e
mosse la mano ossuta poggiando delicatamente una banconota da dieci mila lire
arrotolata nella sua
-
Prenditi un caffè e quando puoi vienimi a
trovare, ormai non esco più, passo i pomeriggi a guardare le macchine oltre
questi vetri e aspetto che arrivi il mio turno –
-
Ma che dici! –
La interruppe sorridente per
cercare un appiglio fuori dalla tristezza.
Scese le scale, il portone si chiuse
stridendo alle sue spalle, attraversò e fece un cenno, ricambiato, all’ombra
dietro la finestra del primo piano. Si chiese senza provare a trovare risposte
cosa li legava, cosa congiungeva i suoi 17 anni con i 91 di lei.
Si addentrò piano nel centro
storico, il basalto rilasciava il caldo accumulato nel giorno, si inerpicava in
strisce sinuose, si insinuava tra vecchi palazzi dai mascheroni barocchi,
chiese quasi sempre chiuse, porte scrostate di bassi disabitati. Lampioni
dall’aspetto antico illuminavano alcuni portali restaurati. La strada si apriva
improvvisa su una piazza dominata dall’ampia scalinata di San Domenico. Poi
gradualmente la parte nuova del paese prendeva il sopravvento e, nella piazza
tonda ed essenziale, invasa da ragazzi, intravide Marco appoggiato sul cofano
della mini
-
Era ora! –
Esordì impaziente
-
Ma è ancora presto –
-
Si ma per strada c’è un casino! Andiamo su –
Appena in macchina Marco aveva
perso l’aria accigliata e cominciò subito a raccontargli le sue bravate da
amatore dall’alto dell’anno in più che lo rendeva, a suo parere, un modello da
seguire. Il traffico scorreva placido raccogliendo l’aria rinfrescata della
sera dai finestrini aperti.
Da est un vago sentore di mare, in pochi balzi, li
raggiungeva mentre scivolavano tra i tornanti. La mini grigia era, come sempre, pulitissima e con quel lieve profumo di moquette nuova, Marco l’aveva tagliata
alla perfezione, adattando ogni curva al piano dell’auto. Di tanto in tanto con
l’indice si sistemava gli occhiali.
– C’era un suo fermaglio tra le lenzuola, capisci?
–
Sorrideva alla confidenza,
Sebastiano lo guardava e ricambiava il sorriso.
– Prima o poi mi devi prestare la tua salopette –
– Bella vero? –
– Si, mi piace tanto –
Sebastiano si portò le mani alla
nuca e strinse i capelli mentre passavano gli Eagles, sorrise al pensiero dei
suoi tanti pomeriggi a studiare con le cuffie e rai stereo due stabilmente
sintonizzata. Marco continuava a parlare, lui già pensava a quel che avrebbe
detto a Simone che immaginava seduto sul solito muretto del lungomare con alle
spalle la piattaforma dei tuffi.
– Perché stai ridendo –
Chiese Marco che aveva finito di
raccontare
– No niente, pensavo che forse un giorno mi
ricorderò di queste sere al mare e magari sarò in un paese molto distante da
qui e le racconterò con nostalgia –
Anche Marco tacque, come se sapesse già tutto
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