di Natty Patanè
sottofondo musicale consigliato: "Vienna" - Ultravox
Un tremore,
un’esitazione nella fiamma del camino, forse l’aria spostata dalla porta appena
richiusa. Ovattato giungeva il rumore dell’auto di Adele che ripartiva, mentre
il crepitio riprendeva. Simone guardò a destra, la sagoma del corpo ancora
disegnata sul vecchio divano di velluto. Sollevò con la destra il bicchiere
come ad accennare un brindisi nel vuoto, con l’altra mano aprì la prima piega
del foglio di carta.
- Ho aperto la busta, mi sa che per oggi
può bastare –
Si disse con un sorriso
autoironico che, anche se non vedeva, lui conosceva bene. Portò le labbra verso
un nuovo sorso ed osservò per qualche istante il liquido rossiccio che
ondeggiava nel vetro. In fondo pensava di sapere cosa poteva aver scritto
Sebastiano, in fondo lo aveva rivisto una settimana prima dopo anni e anni in
cui non aveva neanche voluto cercare di capire dove e come vivesse.
Inspirò forte quasi a
voler appropriarsi dell’ultima scia di profumo di Adele e si alzò per andare ad
accovacciarsi di fronte al fuoco, lo ravvivò e pose un tronco sui carboni che
ardevano.
- Quanto tempo! –
Per lunghi istanti
c’era stato silenzio dopo queste parole di Sebastiano, nel silenzio avevano
viaggiato alla velocità vorticosa di luci temporalesche che mescolano nel buio
visioni, parole, facce, litigi, amore nascosto, vomito da sbornie di fine anno,
sacchi pieni di castagne, piscio nella neve e, alla fine, erano riusciti a
sfiorarsi le mani come un formale saluto.
- Che ci fai da queste parti? –
Aveva abbozzato Simone
quasi sussurrando, come se dovesse fare in modo di non essere sentito.
- Un incontro di lavoro –
Poi Simone gli aveva
detto che aspettava Adele e Sebastiano aveva capito immediatamente che non si
trattava della moglie dallo sguardo da maschio porco che aveva fatto quello che
un tempo aveva avuto così tanto vicino. Poi i numeri di telefono con la
certezza che nessuno dei due li avrebbe mai usati e il silenzio che sembrava
essere calato di nuovo nei giorni a seguire, non che fosse tutto come se non si
fossero rivisti ma quanto meno Simone aveva potuto in fretta richiudere ogni
ricordo, nel passato, creduto finito. Poi la lettera.
“I
wanna know if I'l see you again!” La radio mandava un
duetto in crescendo e Simone sentiva qualcosa di rabbioso dentro.
- Quella volta, ricordi? Quella volta a
casa tua? –
C’era scritto
- No, non lo ricordo, non voglio
ricordarlo mai più! Devo scrivere così, proprio così, bastardo, che cazzo ci
faceva qua, dopo tutto questo tempo, proprio qui doveva venire –
Neanche l’amore con
Adele, che risuonava ancora nelle sue vene con battiti forti, riusciva a lenire
la rabbia montante.
- …e dopo tanti anni non non pensavo certo di
ritrovarti come eri, ma non avrei pensato che eri diventato così … -
Qualcosa di ruvido gli
strusciava gli occhi, senza senso, come se potesse mettersi a piangere, come se
dovesse farlo per uno stupidissimo foglio di carta scritto da uno che non
vedeva da anni. Lo accartocciò con forza e lo lanciò nel cassetto semiaperto
della sua scrivania, poi andò ad aprire le finestre per cancellare l’ultimo
possibile vapore del profumo di Adele prima del ritorno di Carla.
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