di Gordiano Lupi
Roberto Benigni è un nostro vanto, una
gloria artistica nazionale, un attore così unico che se Woody Allen viene a
Roma per girare un (modesto) film pensa prima di tutto a lui come possibile
interprete italiano. Benigni è un regista - attore che ha vinto un Premio
Oscar per un film delicato e tragico come La vita è bella. Nonostante
tutto leggo in rete e sulla stampa giudizi sferzanti sulla sua ultima
interpretazione: I Dieci Comandamenti. Davide Guadagni, un giornalista de
Il Tirreno che firma scadenti elzeviri in prima pagina come se
fosse Gramellini, dice che il pubblico ama quel che Benigni è stato,
facendo capire che non apprezza il nuovo corso. Altri - che non è il caso di
citare - aggiungono che Benigni ha riscosso tanti soldi dalla Rai per fare un
lavoro che la Chiesa svolge da anni, in parrocchia, gratuitamente.
A nostro modo di vedere Benigni non
ha perso lo smalto dei tempi migliori, perché reggere tre ore di spettacolo (in
due puntate), da solo, tenendo incollati al video gli spettatori parlando di
Dio, amore, regole da rispettare, leggi eterne, non è per niente
facile. Benigni è un grande attore che ha subito una logica evoluzione, come
ogni persona, come ogni artista. Non poteva continuare a impersonare il Cioni
Mario di Tele Vacca, né la sua controfigura autobiografica di Berlinguer
ti voglio bene, e neanche il comico strampalato di Tu mi turbi.
Benigni non poteva limitarsi a fare il guastatore televisivo con irruzioni
incontrollabili ai danni di Pippo Baudo e Raffaella Carrà. I tempi
cambiano, un autore matura e affronta altri temi, cosa che per Benigni accade
da anni, almeno da La vita è bella e Pinocchio. Pure
Diego Abatantuono non ha fatto il terrunciello per tutta la vita
ma ha deciso di cambiare registro e di passare alla commedia
impegnata. Benigni non poteva continuare con la gag del critico
cinematografico surreale inventata da Arbore per L'altra domenica e
con il personaggio dello sceicco beige (ironizzando su Fellini) de Il
papocchio. Tutti lavori che non vanno rinnegati, si badi bene, e
che hanno reso grande il comico toscano, ma oggi è il momento
di celebrarlo come fine esegeta di Divina Commedia, Costituzione
e Dieci Comandamenti. Se non ci fermiamo in superficie, ci
rendiamo conto che Benigni non è in contraddizione con se stesso,
perché la poetica dell'amore contraddistingue la sua opera fin dagli
esordi. Certo, quello del Cioni Mario e di Berlinguer ti voglio bene era
un amore fisico, carnale, un vero e proprio desiderio corporale. Oggi, il
Benigni maturo, attore e regista di successo, cerca soprattutto
l'amore spirituale. Un interprete cambia con il tempo, come è accaduto a
Totò e persino a Franchi & Ingrassia, che sono passati dalla farsa
pura a interpretare opere di Pasolini e Taviani. Un critico
attento deve valorizzare l'intero corpus di un autore -
interprete, invece di restare ancorato ai ricordi del passato. Benigni non ha
perso la verve d'un tempo, anche nei Dieci Comandamenti - di
tanto in tanto - ha citato vecchie emozioni giovanili, consapevole che come
attore deve guardare avanti per affrontare nuove sfide. A nostro
parere, con i Dieci Comandamenti Benigni compie un passo avanti
nella sua produzione artistica e tocca le giuste corde per unire in
un solo abbraccio laici e credenti. Uno spettacolo che parla di
argomenti scomodi, intenso e commovente, che riporta la televisione
ai tempi in cui faceva cultura. Grazie di esistere, Benigni.
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