TORNIAMO DOPO LUNGA ASSENZA CON UN BEL PEZZO DI ROSA MAURO
SULLA TRAGEDIA DI DUSSELDORF
Aggiungo due considerazioni, è strano che in Germania non vengano automaticamente forniti al datore di lavoro i certificati medici, per cui si colpevolizza il copilota di non averli consegnati e seconda cosa è allucinante che una prassi banale come non lasciare alcuno solo in cabina non fosse stata ottemperata, era depresso? Quante volte non ci si accorge in famiglia di un figlio, un coniuge depresso? La depressione è terribile perchè troppo spesso invisibile a meno che non ci si sia allenati a riconoscere i sintomi e come vediamo dai fatti neppure il suo psichiatra lo aveva considerato in grado di uccidere se' stesso e i passeggeri. R
imane l'angoscia che provo per gli 8 terribili minuti negli occhi e nei cuori all'impazzata delle 150 altre persone che si sono rese conto di morire in quel giorno e in quel momento.
foto da : http://www.notia.it/wp-content/uploads/2015/03/Germanwings.jpg
Volo Lisbona -Dusseldorf: di chi la colpa?
Cronache su questo, in giro ce ne sono abbastanza, quella che io
voglio fornire è una opinione, basata su quello che ho
visto e sentito dai media.. E sopratutto su quello che NON ho visto e sentito.
Quello che ho visto, e sentito, è
la rivisitazione della famosa caccia al mostro, con brevi incursioni nel
concorso di colpa.
Il mostro è John Lubitz, copilota, che avrebbe
fatto cadere “volontariamente” l’aereo, portandolo a
schiantarsi tra le montagne.
Fin dalle prime ore, e nonostante si ipotizzasse da subito una
patologia psichiatrica, il modus agendi di tutti, dalla polizia ai giornalisti,
è stato quello che si usa contro i
grandi criminali: perquisizioni a tappeto, in casa sua e dei suoi genitori, e
interrogatori più o meno chiarificatori con ex fidanzate
ed amici.
Esaminiamo questa prima contraddizione: o ipotizzi che Lubitz
fosse malato oppure no, e se era malato, non perquisisci casa sua come se fosse
un mostro seriale.
Il primo dubbio, la prima domanda non posta, da alcuno a quel
che ne so: ti saresti comportato così se a Lubitz fosse venuto un’aneurisma?
Guardate che poteva tranquillamente capitare, mi chiedo se in
quel caso avresti perquisito casa sua in cerca, che so , di anticoagulanti.
Mi domando se, di fronte ad una malattia fisica, ti saresti
messo a spulciare le sue cartelle mediche, criminalizzando il suo cardiologo o
neurologo, se avessi appunto perseguitato i suoi genitori allo stesso modo in
cui hai fatto in questo caso.
Nella malattia mentale, anche in quella di Lubitz, si sospetta
sempre una volontarietà che in realtà
non esiste.
Come non è volontario un’aneurisma, un infarto,
così un impulso suicida non è
legato alla volontà, per quanto preparato sembri essere.
Sopprimere sé stessi non è
frutto di una mente in salute, questo è
ovvio.
Tra le inchieste che sono state fatte in questi giorni, direi
che vince il premio per la stupidità quella che analizzerebbe il respiro
del copilota.
A parte un giornalista di sky tg 24, nessuno si è
chiesto se davvero una registrazione fosse in grado di sentire davvero
il respiro del copilota.. ma anche se fosse.. a cosa serve?
A dimostrare che è rimasto tranquillo, dicono.
Lucido.
Un depresso che si suicida chiaramente non è
lucido, anche se il suo respiro è tranquillo, quindi questo a cosa
serve?
Sospetto a sottolineare quella lucidità
solo apparentemente negata quando si concede a Lubitz la definizione,
piuttosto generica tra l’altro, di depresso.
Il suo respiro non era accelerato, quindi il suo atto era
volontario..Ma in quale senso se la persona in questione era malata?
L’impossibilità
per la comunicazione di equiparare malattie psicologiche e fisiche è
frutto di una ignoranza su queste ultime che si riflette anche nella
seconda riflessione di questi giorni di ascolto dei telegiornali.
Ci hanno detto e ridetto che nella scatola nera si sente il
pilota parlare con John delle procedure, e lui rispondere a monosillabi.
Però nessuno ha chiesto o si è
chiesto: perché, di fronte ad un umore di quel tipo
del copilota, il pilota non ha sentito il bisogno di parlare a quest’uomo
in maniera umana, di chiedergli come stava?
La risposta è semplice: il pilota è
stato addestrato a comprendere ed a fare fronte ad una malattia fisica:
se avesse osservato che il copilota era pallido, sudato, o se quest’ultimo
avesse mostrato segni di sofferenza fisica, forse non sarebbe successo nulla,
sarebbe rimasto al suo posto o avrebbe chiamato qualcun altro a sostituirlo se
il bisogno era urgente.
Ora ci si chiede: perché le compagnie aeree NON hanno mai
pensato ad un malore di tipo mentale che possa occorrere ad un pilota o ad un
copilota?
Per favore, non mi venite a dire che John aveva già
istinti suicidi, l’ho letto anche io, ma parecchie
persone hanno impulsi suicidi in un determinato periodo della loro vita, e poi
stanno bene.
Lui i colloqui psicologici li aveva superati.
C’è da chiedersi se fossero colloqui o
semplici test, e chi c’era a realizzarli, e spero che queste
inchieste vengano fatte, ma li aveva superati.
Io dico in quel momento, quando il pilota ha parlato con il suo
copilota, ci si chiede perché non si è
domandato il motivo dei monosillabi e dell’umore del suo
aiutante.
Non credo sprizzasse gioia da tutti i pori.
Sarebbe bastato magari, una mano sulla spalla, e un chiedere
come va, un saper cogliere i segnali.
Dicono che dopo lo abbia supplicato di aprire, tentando di
aprire anche con un’ascia.
Ma sappiamo tutti che dopo era tardi, la malattia aveva già
tagliato via i confini del reale, lasciando solo quel terribile bisogno
di morte.
Non posso fare ipotesi su qualcosa che non so, ma i dubbi ci
sono, quanto sappiamo dei depressi e quanto consideriamo importante la salute
psicologica, oltre a quella fisica.
L’unica accortezza che ora si vuole
prendere è mettere due persone in cabina, ma non
servirà a nulla se non si insegnerà
almeno a riconoscere i segnali di un eventuale squilibrio.
Oscar numero due alle interviste alla ex fidanzata.
Di nuovo mi domando: se avesse avuto un infarto o un’aneurisma,
saremmo andati dalla moglie a chiederle che sogni aveva fatto, o se nei giorni
precedenti gli girava la testa?
Avremmo violato la sua privacy per avere conferma che poteva
avere o meno un’aneurisma?
No, ovviamente.
Ma in caso di malattia mentale, si, lo facciamo, dobbiamo
trovare degli appigli che ci spiegano perché, ma se è
una malattia, un vero e proprio perché
non c’è e non si trova.
Vorrei fare solo un’ultima considerazione, la notizia
degli antidepressivi nella sua casa, quasi come un indizio di colpevolezza di
Lubitz, mentre è il contrario.
Stava tentando di curarsi, di stare meglio, ma lo faceva da solo,
nessuno si era accorto, colleghi che lo conoscevano e parlavano con lui,
genitori, fidanzata, tutti a dire ma lui lo nascondeva bene.
Per togliersi anche quest’ultima
responsabilità, ed accollarla a lui, che è
morto e non può dire il contrario.
Ed è altrettanto scontato, che tutti noi
crediamo a loro, perché loro erano come noi e Lubitz no.
Lui era un depresso.
Lui era un malato che nascondeva la sua malattia, il suo marchio
di infamia sotto l’apparenza di bravo ragazzo..
A volte basta una parola, per capire una depressione, basta
sapere di non essere soli, per non andarsi a schiantare contro le montagne.
Pensiamoci.
Rosa Mauro
era Barcellona Dusseldorf
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