Giuseppe Gavazza - Ermanno Cerutti
E: benché presentato nell'ambito della musica algoritmica, a mio parere poco c'entrava; era comunque interessante ed il messaggio (l'integrazione, il rapporto tra canto e senso del cantato, la diffusione spesso distorta di notizie e pareri etc) era piuttosto chiaro e ben reso. Per la durata che ha avuto, ho però trovato lo studio vocale un po’ noioso e sempre uguale: penso che gli studi di polifonia, i giochi di sovrapposizione di voci diverse etc avrebbero potuto essere un po' più azzardati.
Dialogo
a distanza di 30 anni e 1200 chilometri circa
Maerzmusik
é un importante festival di musica di oggi che ha luogo a Berlino
ogni anno; da molti anni, ogni anno mi piacerebbe andarci e ogni anno
non ci riesco. Quest'anno però ho avuto l'occasione di avere un
agente sul posto nei giorni d'avvio del festival: Ermanno, 30 anni
(in meno di me) ha seguito un fine settimana di eventi e abbiamo
avviato un dialogo a distanza di 1200 km e 30 anni che é qui
riportato.
Il
programma di tutto il festival:
The
News Blues
Nicholas
Bussmann,
SA
12.03.2016, 19:00
E: benché presentato nell'ambito della musica algoritmica, a mio parere poco c'entrava; era comunque interessante ed il messaggio (l'integrazione, il rapporto tra canto e senso del cantato, la diffusione spesso distorta di notizie e pareri etc) era piuttosto chiaro e ben reso. Per la durata che ha avuto, ho però trovato lo studio vocale un po’ noioso e sempre uguale: penso che gli studi di polifonia, i giochi di sovrapposizione di voci diverse etc avrebbero potuto essere un po' più azzardati.
G:
mmmmm .... leggo nella presentazione: «
“The News Blues” is a musical and social experiment using the
tools of algorithmic composition. Nicholas Bussmann approaches news
as a data stream, processed, imitated, harmonized, misunderstood and
transformed into a polyphony of voices and meanings by seven
performers with differing mother tongues. The News Blues” questions
the relationships between language and music, sense and nonsense, ..
».
In
effetti non é chiaro a che livello la composizione algoritmica in
quanto « tool » intervenga: mi pare di capire che ci fossero in
scena sette performers di differente madrelingua che usavano la voce
in vari modi.
Se
la forma del tutto era regolata da procedure di composizione
automatica acquista un senso, a mio avviso, se é percepibile: se,
in qualche modo, il processo di costruzione diventa visibile e
leggibile. Altrimenti é pretestuoso: appunto un pre-testo che viene
prima ma non aggiunge senso al momento dello spettacolo.
Non
mi stupirei: molta musica (arte) concettuale poco si preoccupa della
percezione/comprensione al momento della messa in scena. Forse si
dovrebbero dare più strumenti di lettura e interpretazione al
pubblico. Ma poi perché « Blues » ?
E:
ah, perché "blues" non si sa, ne' si intuisce. Le
procedure di composizione automatica secondo me non c'erano, era
tutta assoluta improvvisazione canora. Sono d’accordo sul dare
strumenti: non penso che l'arte vada spiegata, penso che il pensiero
dell'autore, il suo lavoro possano e debbano almeno un po' esser
spiegati, ma che per l'arte si debbano dare strumenti di comprensione
e chiavi di lettura, altrimenti la sensazione di possibile presa in
giro ("potrebbero dirmi qualsiasi cosa e non saprei se crederci
o no") é costante.
G:
bella questione quella di spiegare l’arte o dell’arte che in
quanto tale non ne ha bisogno perché arriva sempre e comunque a
tutti. Come sai non sono per nulla d’accordo su questo secondo
punto (così spesso usato per la musica) mi pare limitativo per
l’arte e per chi all’arte (come a qualunque cosa) dedica la vita.
Poi dipende da cosa s’intende per arte e da quali intenzioni ha chi
agisce in quanto artista.
Ovvio
che se il mio scopo é fare ciò che gli altri si aspettano, quindi
essere comprensibile subito al largo pubblico (cliente: il cliente ha
sempre ragione, business is business) mi pare facile cadere nel
conforme. Poi c’é la ricerca artistica, che é un concetto che
stenta a penetrare ed essere accolto: sia da parte di chi fa ricerca
non artistica (scientifica, tipicamente) sia da chi fa arte senza
ricercare (o senza sapere di farlo).
Mi
pare che Picasso avesse detto: « Io
non cerco: trovo
». Certo non tutti trovano, non tutti sono Picasso, ma l’artista
non é solo il grande artista. C’é un’ambiguità interessante
nella lingua italiana: opera d’arte spesso viene inteso come
capolavoro. Ma il capolavoro é un caso raro e specifico di opera
d’arte: insomma un chimico é un chimico anche se non vince il
Nobel per la chimica. Per tornare al tema: se ad esempio presento un
quartetto d’archi scritto da un programma di computer che evolve
ascoltando altri brani simili e misurando le reazione del pubblico,
posso ascoltare tale brano senza mettere in conto (conoscere) il
processo che lo ha creato, ma evidentemente il senso dell’ascolto
sarà completamente mutato dal fatto di sapere o di non sapere il
processo che ha portato quei quattro a suonare quella musica li. Poi
il quartetto non é un capolavoro, forse non é opera d’arte, ma
si tratta pur sempre di musica che può dirci qualcosa sulla musica,
sull’ascolto, sulla composizione, sulla comunicazione attraverso i
suoni (e non solo).
E:
già, probabilmente è una sensazione che gli addetti ai lavori non
immaginano tanto, ma è esattamente come l'hai descritta; nell’arte
classica la capacità dell’artista è (abbastanza/di solito)
visibile, ma in quella attualmente contemporanea ... diciamo non
sempre! Inoltre penso che anche quella classica, senza due cenni
storici e quattro strumenti di lettura non sia nulla …
Ieri
ad esempio ero al DOX di Praga: tutto spiegato, leggibile, ben
riassunto, divertente, parzialmente interattivo, tutto nuovo rispetto
all’ultima volta in cui ero stato (due anni fa circa) … stessa
cosa mi capitò un paio di volte al MACBA di Barcellona ...
viceversa, anche uscendo dall’ambito colto/contemporaneo, mai mi è
capitato che in un jazz club ci fosse scritto su un muro cosa sia il
jazz, men che meno prima di un concerto d’altro tipo. Anche in
ambito scientifico, ci sono intere branche che sono ritenute
solitamente inconoscibili, da alcuni sono purtroppo banalizzate (ad
esempio, poco mi piace il modo di Hawkins di parlare di fisica alle
masse), da altri molto ben spiegate (ancora consiglio in giro “Il
tao della fisica”).
G:
la cultura, l'arte “classica” (inclusa la musica) proprio in
quanto tale é conosciuta (all'interno di un sistema, di una società,
…) é già vista, già ascoltata. Piace perché non sorprende e non
porta ad interrogarsi, non richiede sforzi. Mi colpisce
l'atteggiamento comune di chi da un lato dice “adoro …....
(Mozart, Caravaggio, Pink Floyd, Dan Brown, Morricone, Van Gogh, ….)
e di fronte a qualcosa di “strano” chiede: “Ma cosa significa?”
(oppure attesta: “non significa nulla” quindi non vale nulla).
Non l'ho mai fatto ma lo farò, di chiedere: “Ti piace ….....: ma
cosa significa”.
Algorithmic
Composition
Lejaren
Hiller, Leonard Isaacson, Iamus Computer,
SA
12.03.2016, 20:00
E:
breve ma interessante; in sostanza, hanno sviluppato un software
tramite il quale un computer, dati i soli parametri fisici
dell'estensione della mano del pianista, compone musica, dando anche
ritmi, volumi e tutte le informazioni necessarie per poterla suonare.
In questo modo vengono prodotte moltissime composizioni, spesso
simili, che vengono in minima parte analizzate da compositori e
(suonatori? strumentisti? come si dice tra voi addetti ai lavori?) e
poi suonate. Durante il dibattito successivo al concerto hanno
spiegato che il programma (che sarà open source) é agli inizi, per
cui loro lo paragonano ad uno studente di musica di 9 anni di età,
per cui la musica che compone é molto semplice. Hanno definito
questo programma una inversione di tendenza: anziché creare
programmi che imparano sul web, in cloud o tramite upload di dati e
poi compongono, questo programma non ha alcuna influenza esterna,
eppure queste composizioni sarebbero (a loro detta, io son troppo
gnurant) assolutamente tipiche di un periodo storico identificabile
in un intorno del 1920. Poco chiaro cosa abbiano fatto realmente, a
cosa serva, come si usi ... proiettatele due slide, dai ..
G:
Hiller e Isaacson sono storicamente importanti per le ricerche sulla
composizione automatica; Iamus lo conosco un poco da cose trovate su
internet e ascoltate. Appunto si tratta di ricerca e non
necessariamente i risultati devono/possono essere interessanti e
convincenti da un punto di vista « estetico » (trattandosi qui di
musica); in questo senso mi pare che la scelta di non limitarsi ad
eseguire i brani ma di analizzarle presentandole sia condivisibile.
Forse, mi pare di capire, avrebbero potuto essere un po’ più
chiari e comunicativi. In ogni caso il capitolo « intelligenza
artificiale » applicato all’arte é interessante e complicato: la
IA é davvero « intelligente » ? All’arte serve intelligenza?
Creatività, intelligenza, originalità, innovazione, fantasia,
bellezza, ... cosa serve alla musica perché sia musica che vale? E
poi cos’é la musica che vale ? ce n’é da discutere per i
prossimi secoli ...
E:
si, immagino e capisco che sia un lavoro filosofico imponente. Le
slide, o comunque lo strumento grafico, penso potesse essere
utilizzato non per mostrare il lato grafico dell’esperimento o del
programma stesso, ma per far capire alcuni concetti chiave ... sono
sicuramente influenzato dal mio lavoro, ma 5 slide con 4 parole
chiave l'una, unite da frecce e spiegate chiaramente e brevemente
spesso valgono più di interi libri.
G:
bene, allora una prossima presentazione la faremo in collaborazione
...
E:
molto volentieri.
Before
the war, it was the war.
After the war, it is still the war.
Mazen
Kerbaj
In
situ sound installation (2016) WP
SO
13.03.2016
E:
installazione in un appartamento non lontano dal luogo dell'evento;
tal Mazen ha vissuto per alcuni mesi in Libano durante la guerra del
2006, registrando i suoni in casa e sul balcone; all'interno
dell'appartamento Berlinese sono stati posti altoparlanti che mandano
quelle registrazioni, con schermi che ne identificano nome e
minutaggio, cosicché chi é presente può seguire, secondo per
secondo, su una sorta di programma dato all'ingresso in formato
cartaceo (antichi) cosa siano i vari suoni, cosa dicano le persone
etc.
Molto
suggestivo.
G:
mi pare che qui sia tutto chiaro e il messaggio sia arrivato: una
memoria acustica di un luogo in un tempo ricostruita 10 anni dopo a
qualche mille km di distanza. Mi piace l’idea di fare entrare in un
mondo totalmente diverso, anche se simile: una città in guerra
ascoltata da una città in pace. Chissà che effetto farebbe a chi
aveva ascoltato dal vivo qualcosa di simile ....
Domanda:
se non ti avessero spiegato nulla cosa avresti ascoltato, Cosa
avresti colto? Quanto sarebbe cambiato?
E:
non penso avrei colto il messaggio, i rumori non erano prettamente «
da battaglia", ma c'era molto trambusto, macchine, camion,
claxon, e bombardamenti che però potevano essere qualsiasi cosa …
probabilmente non sarebbe arrivato nulla, se non un'atmosfera
incasinata e di per se' non particolarmente piacevole (estetica
acustica zero).
G:
un documentario sonoro mi pare; bel tema. I suoni registrati come
documento sono musica? Rimando al testo di riferimento Trattato
degli oggetti musicali
di Schaeffer. Qualcuno mi aveva detto a commento di una mia
installazione « artistica musicale » che usava suoni registrati
dell’ambiente: “questa
non é musica, questi sono suoni”
e mi pareva strano come aver sentito dire: « questa
non é pittura, questi sono colori ».
Da
un secolo si registrano e si riproducono suoni: prima questo non era
possibile. Da secoli si riproduceva (rappresentava, imitava) la
realtà delle immagini con la pittura, in modo molto realistico. La
musica e gli strumenti musicali come imitazione, riproduzione,
rappresentazione della realtà sonora di certo erano altra cosa e
non arrivavano ad una verosimiglianza paragonabile a quella della
pittura; poi la tecnologia un secolo fa ha iniziato a cambiare tutto.
La riproducibilità tecnica é un soggetto fondante del ventesimo
secolo, a partire dal saggio ben noto di Benjamin. A me pare che oggi
si accetti che una fotografia documentaria possa essere considerata
arte, invece una registrazione acustica documentaria non lo é:
almeno nel sentire comune. Ma perché ? Forse perché ci si é
abituati a pensare che l’arte dei suoni sia la musica e la musica
si faccia con le note e con gli strumenti musicali (cose’é uno
strumento musicale ? Un violino, un pezzo legno o di ferro, un
computer, un microfono: sono tutti strumenti musicali?) Alé, ce
n’é da non finirla più ...
E:
torniamo al primo punto: vogliamo che un meccanico con la terza media
che non si è mai occupato d’altro che di calendari con le
maggiorate sia in grado di capire perché Matisse è stato portato
agli onori della storia e molti suoi contemporanei no? Forse dobbiamo
scoprire le carte ed ammettere la possibilità che da sempre chi
emerge sia più o meno “amico di qualcuno”, e che le opere scelte
per stare nei musei e sui libri non siano automaticamente le più
valide … forse che il concetto stesso di “oggettivamente valido”
sia una paraculata del mercato per gestire internamente tutta una
fetta di lavoro, perché di lavoro si tratta, il cui valore non è
immediatamente comprensibile, soprattutto quando ci si distanzia dal
mero piacere estetico comune. Insomma, non per essere utilitarista,
ma se un falegname mi costruisce un mobile, dopo 5 o 10 anni so se il
suo lavoro valeva davvero, e saprò se dargli altro denaro per
procedere con altri lavori. Con un artista contemporaneo o mi baso
sul mero valore di mercato, più che mai artefatto e lontano dal
meritevole, oppure devo affidarmi a chi studia e lavora nell’ambito,
il cui lavoro, come quello di ogni insegnante, dovrebbe secondo me
essere il più lontano possibile dal rendere il proprio ambito
elitario, esclusivo ed incomprensibile, anche se sovente è proprio
questa l’impressione che ho.
G:
non credo alla democratizzazione dell'arte, non nei termini di oggi
(ancora un libro suggerito, su cui discutere (discutibile insomma
anche se già un po' vecchiotto): “Lo stato culturale” di
Fumaroli), cioè non nei termini di quello che, per semplicità,
riassumo nell'etichetta star
system che,
secondo me, é la morte dell'arte. Non é questione di essere
meccanici (a proposito: negli anni novanta, nel baule dell'auto,
avevo locandine dei concerti di musica nuova che organizzavo: il mio
meccanico, proprio lui, vedendole si era illuminato d'interesse e ci
eravamo messi a discutere di Berio, Ligeti e Stockhausen. Ne sapeva
ben più della maggioranza dei miei colleghi insegnanti di
Conservatorio ... e ci metteva passione sincera).
Riprendendo: dunque non é
questione di essere meccanici o altro: mai come oggi l'informazione
c'é e quindi le ragioni dell'arte (contemporanea) possono essere
comprese. Ma si deve uscire dal conformismo del divo, del festival,
della kermesse, della moda che spesso (sempre?) sono finalizzati e
regolati solo da leggi e motivazioni di mercato: le regole
dell'attrazione artistica di massa sono puro marketing.
Ricordo uno dei miei primi
viaggi (anni '70/80) un museo meraviglioso ad Amsterdam, con
tantissime opere di Van Gogh: bellissimo per le opere, per essere
immerso nel verde e perché c'era pochissima gente, pur essendo in
pieno periodo di vacanze estive.
Anni dopo Grande Mostra
Evento Van Gogh ad Amsterdam: in sostanza le opere di quel museo
meraviglioso (tante da riempire giorni di visita attenta) e altre
opere prestate da altrove. Il mio ricordo (fastidioso) era di non
poche persone che, sull'onda della moda di quella Grande Mostra, si
sono fatte il viaggio e ore di coda per andare a vedere la Grande
Mostra Van Gogh: “oh, come amo Van Gogh” (totalmente d'accordo).
Ma la domanda (che ho preferito non fare) era: ma siete mai andati ad
Amsterdam prima ? Se si: siete andati a vedere il meraviglioso museo
nel verde, quello piacevolmente semideserto ? Avete fatto, o pensato
di fare, un viaggio ad hoc per vedere quel museo: Van Gogh é ben
noto e ben conosciuto da decenni, il numero di opere di quel museo,
lo ripeto, era sufficiente per giustificare viaggio e più giorni di
visita ben fatta.
La storia dell'arte non é
neutra e non é la verità assoluta; mi chiedo talvolta che
differenza passi tra competenza e conformismo, in ogni campo e
settore. Ci sono grandi artisti sconosciuti che sono stati scoperti
tardi ed altri che resteranno sconosciuti. Ma per me non si tratta,
democratizzando, di far riconoscere i Grandi Artisti, ma di invitare
a capire lo spirito dell'arte, quella che non serve ad intrattenere e
rilassare, quella che serve invece a far pensare: non a smettere di
pensare. Quella che inquieta e non rassicura. Riprendo una
citazione già usata qui su EWS / Terpress che, nella sua
essenzialità, mi piace molto:
«
Cosa
possiamo chiedere all’arte? Di decorare i nostri appartamenti, come
Picasso s’indignava si volesse fare con i suoi quadri? Permetterci
l’evasione? Ritrovare una percezione nativa delle cose? Provare un
piacere disinteressato? Forse …. ma potrebbe anche servire,
semplicemente, a farci pensare. »
(*1)
Winterreise.
Ein Theaterstück
Sophie
Rois liest Elfriede Jelinek
SO
13.03.2016, 19:00
E:
tragironico monologo teatrale di 100 minuti circa dove una donna
espone a voce alta i dubbi delle diverse età che la portano, di
fatto, a non fare mai nulla. Prima perché troppo giovane, poi
troppo impegnata, infine troppo vecchia, in un trip shelliniano in
transito tra alienazione, solitudine e senso di caducità, che cerca
di accattivarsi la simpatia del pubblico con maldestra attitudine
cabarettistica. una noia che strappava a tratti qualche risata
sommessa.
G:
mi pare non ce ne sia molto per la povera Sophie Rois: il Viaggio
d’inverno del
titolo a me, che conosco bene l’omonimo « immenso » lavoro di
Schubert, non può passare inosservato. Voglio dire che presentare
un Winterreise
in un festival di musica in Germania significa accendere
inesorabilmente in tanti la curiosità di capire il rapporto con la
ingombrante presenza di Schubert (un po’ come uno scrittore
italiano che presenta un proprio recital che s’intitola « I
promessi sposi »); ma mi pare di capire che non sia emerso molto,
almeno per te ... potrebbe essere l’occasione per ascoltarsi il
Winterreise
di Schubert: tra l'altro un bell’esercizio di tedesco con i bei
testi di Johann Ludwig Wilhelm Müller. Per ascoltare e vedere:
edizione di riferimento splendida quella di Fisher-Dieskau e Brendel,
per fortuna tutta disponibile su Youtube:
https://www.youtube.com/watch?v=WhiAS7MRcZc
e
ci sono pure i subtitoli in spagnolo ... a piccole dosi ma ascoltane
un poco: é un bel viaggio.
E:
l'unico legame con l'opera di Schubert era il fatto che costei aveva
uno stereo con lettore cd dal quale ne faceva partire spezzoni.
Ascolterò sicuramente molto volentieri, lui in generale mi piace
molto.
G:
non ho molto da aggiungere: buon ascolto d’inverno. E comunque un
viaggio in inverno é un bel soggetto in ogni caso.
Time
and the Digital Universe, Thinking Together – Konferenz, Teil 2
Annie
Dorsen: Between the Digital and the Analog in Algorithmic Theatre
SO
13.03.2016, 15:30
E:
partendo dai principi guida di Manfred Mohr riguardo la struttura
degli algoritmi per la creazione di arte visuale, si é discusso di
come venga usata, di come possa essere applicata nel teatro etc.
Purtroppo senza esempi pratici. Ancora poco chiaro, benché
potenzialmente molto interessante.
G:
beh si presentava come conferenza e probabilmente é stato trattato
come tale: parole, teorie più che esempi pratici. Ma forse uno
stimolo ad incuriosirsi ed approfondire ...
E:
esatto.
G:
esatto
Xenofeminist
Temporalities
Laboria
Cubonik
SO
13.03.2016
E:
tre femministe vecchio stile proponevano il proprio manifesto in
vista delle conferenze dei giorni successivi. Un umanesimo non si
capisce perché titolato « femminista". In sostanza: due su
tre non erano in grado di leggere in pubblico. Scarso.
G:
ok, non ce n’é. Non so aggiungere molto, anche il testo online
non é troppo chiaro e rimanda ai chiarimenti (eventualmente)
chiarificatori del successivo lunedì: una nemesi del
Sabato del villaggio
in chiave femministo-teutonica?
E:
si, in sostanza si, probabilmente non era il caso di fare una intro
nel weekend per conferenze infrasettimanali; capisco la finestra "in
bella vista” ma se poi in settimana non vengo e nessun concetto che
mi esponi é autoconclusivo, mi hai fatto perdere due ore e basta.
G:
in effetti
E:
in generale mi é sembrato che chi parlava non fosse in grado di
spiegare al pubblico di cosa stesse parlando, e non solo ai non
addetti ai lavori: domande di persone che si presentavano come
compositori, musicisti, insegnanti ed appassionati dimostravano che
la materia non era stata proprio capita. Poca capacità di parlare in
pubblico, scarsa gestione dei tempi. E soprattutto pochissima musica!
Siamo stati li dentro almeno 10 ore e abbiamo sentito si e no 40
minuti di musica. Peccato
G:
io sono il primo ad insistere che di musica si deve parlare e
discutere, che la musica non é un qualcosa che arriva subito a
tutti sennò non é musica, posizione che mi sa tanto di machismo
musicale (bella, seducente ed accessibile a tutti: ma guai se da da
pensare o, peggio, dimostra intelligenza e ci sfida sul piano delle
facoltà mentali). Ma un festival di musica con poca musica …. é
da discutere, in effetti ...
E:
esatto, sono d'accordo. Credo anche che chi parla come aspetto del
suo lavoro dovrebbe pensare a come parlare; molte persone parlano e
spiegano affermando il proprio ego, non cercano di parlare usando
parole e concetti comprensibili all’ascoltatore, ma se il tuo
lavoro ricomprende il parlare, un po' di metodo sarebbe secondo me
doveroso.
G:
torniamo sull’efficacia della comunicazione: da rifletterci. Se
sostengo che parlare/scrivere di musica/arte é utile, se non
necessario talvolta, giusto che nelle competenze di un
musicista/artista ci sia la capacità di comunicare parlando
scrivendo. Devo dire che é un lato spesso carente, é vero.
Bene:
direi che se hai da aggiungere aggiungi al ping pong: poi vorrei
pubblicare su Terpress/EarsWideShut, con il tuo consenso, of course …
E:
Naturalmente! Molto volentieri!
*1
- “Que
peut-on demander à l’art ? Décorer nos appartements, comme
Picasso s’indignait qu’on veuille le faire avec ses peintures ?
Nous permettre de nous évader ? Retrouver une perception native des
choses ? Éprouver un plaisir désintéressé? Peut-être… Mais il
peut aussi servir, tout simplement, à nous faire penser.”
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