VENEZIA CAPITALE DELL’ARTE MODERNA SULLA SCIA DELLA BIENNALE D'ARTE: L’ISOLA DI SAN GIORGIO

IL NOSTRO SAURO CI ACCOMPAGNA A VENEZIA, ALL'ISOLA DI SAN GIORGIO RENDENDOCI PARTECIPI DELLE BELLE INIZIATIVE D'ARTE CHE STANNO AVVENENDO E CONFESSO CHE NON HO MAI AMATO L'ARTE CONTEMPORANEA E MODERNA MA CON SAURO SASSI HO IMPARATO AD APPREZZARLA E VIVO CON MOLTA ATTESA I SUOI PROSSIMI VIAGGI E I SUOI REPORTAGES, PER CUI TUFFIAMOCI NELL'ODIERNA AVVENTURA

VENEZIA CAPITALE DELL’ARTE MODERNA SULLA SCIA DELLA BIENNALE D'ARTE: L’ISOLA DI SAN GIORGIO




Ogni due anni Venezia ospita la Biennale d’Arte, la più antica e prestigiosa rassegna mondiale dedicata all’arte contemporanea. In questo periodo, che è andato sempre più estendendosi, e ora va da maggio a novembre, non solo è possibile visitare la rassegna ufficiale, negli spazi canonici dei Giardini di Castello e dell’Arsenale, ma tutta la città ospita mostre, a volte legate alla Biennale stessa, altre volte collegate (cosiddetti eventi collaterali) e a volte del tutto indipendenti. Così la città più bella    mondo diventa un grande teatro dell’arte, consentendo anche di visitare palazzi e luoghi solitamente inaccessibili. Vorrei dedicare alcuni articoli a questi eventi, oltre che, naturalmente, alla Biennale stessa, iniziando da uno dei luoghi più affascinanti della città, l’isola di San Giorgio. L’isola si trova subito dopo la confluenza del Canale della Giudecca e del Canal Grande; dall’altra parte del canale, Palazzo Ducale e Piazza San Marco; ospita la chiesa omonima, progetta da Palladio, e il monastero benedettino, al quale pure ha lavorato Palladio assieme ai maggiori architetti veneziani (i Buora, Longhena). Vista ora, anche da San Marco, l’isola appare bellissima, con la facciata scenografica della chiesa e il campanile, alto ed elegante, da cui si gode una vista splendida della città e della laguna. Il visitatore odierno fatica quindi a credere che un luogo simile sia stato abbandonato per un secolo e mezzo alla totale incuria, il monastero e la chiesa spogliati dei loro tesori e l’isola divenuta una caserma. Gli autori di questo scempio furono prima Napoleone Bonaparte, che portò in Francia l’opera d’arte più importante del monastero, “Le Nozze di Cana” di Veronese, tuttora al Louvre, di fronte alla “Gioconda”; seguirono gli austriaci e infine il governo italiano. Bisognò attendere il 1951 perché un privato, il conte Vittorio Cini, ottenuta la concessione dell’isola, in cinque anni riportasse la chiesa e il monastero all’antico splendore, eliminando tutte le superfetazioni e avviando un restauro i cui esiti possono essere valutati oggi visitando il monastero, con i chiostri, la ricca biblioteca pubblica, realizzata nella manica che immetteva alle celle dei monaci  (architetto De Lucchi), lo scalone di Longhena, il refettorio, che ospita una copia perfetta, in misura reale, dell’”Ultima Cena”, proprio nello spazio per cui era stata creata, nonché, opera recente, il “Labirinto Borges”, grande installazione in siepi di bosso che omaggia lo scrittore argentino e il suo testo “Il giardino dei sentieri che si biforcano” (per la visita occorre prenotarsi, reperendo le informazioni sul sito di “Civita Tre Venezie”). Il conte istituì una Fondazione, intitolata al figlio Giorgio, che era morto in un incidente di volo, e l’isola divenne sede di importanti convegni di studio di politica internazionale, di concerti e di grandi manifestazioni artistiche. E’ anche stato istituito uno spazio espositivo denominato “Le stanze del vetro” dove viene presentata, con rassegne storiche estremamente accurate, la grande produzione vetraria veneziana.
Nelle ultime edizioni della Biennale Arte, anche la chiesa palladiana ha ospitato Installazioni di affermati artisti contemporanei, che si interrogano sulla spiritualità. Ricordo, in particolare, nel 2011, una bellissima installazione dell’anglo indiano Anish Kapoor, intitolata “Ascension”: un filo di vapore che partiva dal pavimento e raggiungeva il vertice della cupola, opera semplicissima ma di grande suggestione. Quest’anno l’artista convocato è Michelangelo Pistoletto, ottantaquattrenne, uno dei fondatori, a metà anni sessanta, del movimento artistico “Arte Povera”, il più importante nell’arte italiana del secondo dopoguerra, caratterizzato dalla negazione della funzione estetica dell’opera e da un suo richiamarsi alla realtà attraverso l’utilizzo di materiali comuni, di origine minerale, vegetale, industriale e anche animale (Kounellis utilizzò anche cavalli e pappagalli vivi). Il movimento ebbe breve durata e poi i vari esponenti proseguirono il lavoro prendendo strade diverse e molto individuali. Pistoletto, fin dall’inizio, mostrò attenzione alla funzione sociale dell’arte, cercando il coinvolgimento degli spettatori attraverso azioni collettive (ad esempio far rotolare tutti insieme una grande palla di cartapesta per le vie di Torino) e anche vere e proprie azioni teatrali. Successivamente elaborò i quadri specchianti, fotografie riportate su grandi lastre di acciaio lucidato, dove il visitatore, riflettendosi, entrava nell’opera. Poi ha continuato il suo percorso realizzando nella sua città, Biella, all’interno di uno stabilimento industriale dismesso, la “Cittadellarte”, spazio dedicato alla creatività e alla elaborazione di pratiche che rapportino l’arte alle tematiche politiche e sociali dei nostri tempi, attraverso dipartimenti che si occupano di produzione, spiritualità, ecologia, politica, educazione, lavoro. Dal 2004 è partita un’altra grande iniziativa artistico-politica di Pistoletto, intitolata “Terzo Paradiso”: partendo dal simbolo matematico dell’infinito, l’artista ha disegnato un cerchio più grande tra i due segni dell’otto adagiato, a rappresentare simbolicamente l’inserimento del grembo generativo di una nuova umanità che ricomponga i due poli, attualmente conflittuali, di natura e artificio. Pistoletto e Cittadellarte hanno sviluppato il concetto a partire dal segno, che è stato riprodotto su vasta scala in svariati luoghi e con diversi materiali - dall’Aquila al palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra, al bosco di San Francesco ad Assisi (installazione permanente realizzata con alberi di ulivo), a Cuba, dove è stato realizzato utilizzando barche di pescatori - legandolo soprattutto al tema del rispetto e della tutela dell’ambiente.
A San Giorgio l’artista ha occupato vari spazi della chiesa con un progetto intitolato



One and One makes Three”, ispirato al superamento delle differenze tra le persone e la ricerca, attraverso la creatività e la spiritualità, di una globalizzazione non dei mercati ma dell’umanità. Al centro della chiesa, sotto la grande cupola, ha realizzato un grande cerchio con pannelli che all’esterno portano la scritta “Love difference” in moltissime lingue, mentre all’interno sono superfici specchianti che moltiplicano e confondono lo spazio. Nel corridoio della Sacrestia, una serie di lavori specchianti, con foto di persone di La Habana in attesa, forse, di una vita migliore: Cuba come base per sviluppare una nuova idea di politica. Nel Coro altra opera specchiante ”ConTatto”, omaggio al suo omonimo Buonarroti. Nella Sala del Capitolo, dove si riuniva la comunità dei monaci, l’installazione “Il tempo del giudizio” richiama, ancora con gli specchi, le maggiori religioni, Buddismo, Cristianesimo, Ebraismo e Islamismo coi loro simboli che si riflettono e si moltiplicano. L’arte, dice Pistoletto, riassume le religioni e propone un linguaggio che ne elimini le conflittualità e consenta all’uomo l’esercizio di una libera spiritualità. Proseguendo il percorso, nel quinto spazio, “Officina dell’Arte Spirituale”, vengono proposti diversi lavori dell’artista, anche storici, dove vengono ancora sviluppati il tema dello specchio, del “Terzo Paradiso”, dell’utilizzo di oggetti comuni. Rimane sempre presente l’istanza sociale di Pistoletto, che ha attraversato tutto il suo lungo percorso, e il suo desiderio di non isolarsi ma di stimolare la gente a riflettere e migliorarsi attraverso l’arte.

Subito di fianco alla chiesa di San Giorgio, un altro spazio ospita una duplice mostra di Alighiero Boetti che, come Pistoletto, partecipò, negli anni Sessanta, al movimento detto “Arte Povera”. Questi artisti assorbirono in vario modo nel proprio lavoro l’aria del ’68: se Pistoletto privilegia soprattutto l’aspetto sociale, partecipativo, Boetti ne ha espresso il multiculturalismo, l’inquietudine che portava al viaggio come ricerca esistenziale. La popolarità di Boetti è legata soprattutto agli Arazzi che faceva realizzare da donne afgane, con lettere colorate a formare parole o frasi icastiche, e agli Atlanti, anch’essi tessuti, in cui le varie nazioni erano riprodotte coi colori della rispettiva bandiera. In realtà, nel corso della sua breve vita (è morto nel 1994 a cinquantaquattro anni) ha fatto tante altre cose, esercitando una sua predilezione per la classificazione (uno dei suoi lavori più famosi è intitolato “I mille fiumi più lunghi del mondo”, dove si dimostra questo bisogno di classificare ma anche la sua impossibilità), il tema dell’identità e del doppio (spesso si firmava Alighiero e Boetti, come fossero due persone, e fece anche un fotomontaggio dei due che si tengono per mano, uno rappresentando il razionale l’altro l’inconscio), l’uso di strumenti anomali, come la biro, il principio, che poi è stato alla base dell’arte concettuale, che l’artista deve ideare l’opera, progettarla ma poi l’esecuzione può essere demandata ad altri.
La prima mostra a San Giorgio si intitola “Minimum Maximum” e intende presentare il lavoro di Boetti da un punto di vista inusuale: prendendo in considerazione alcune delle sue diverse serie di opere (Mimetici, Storia naturale della moltiplicazione, Aerei, Mappe…), presentare la più piccola e la più grande. Si va da formati piccolissimi ad altri enormi, rimanendo però invariata la tensione concettuale e anche la resa estetica. L’altra mostra ha un titolo criptico: “Colore = Realtà; B + W = Astrazione (a parte le zebre). Il tema principale è il desiderio di Boetti di catalogare il mondo, fotocopiando quante più possibili cose, compresi i volti. Fa un po’ il paio con l’attività di Mario Schifano che scattava polaroid di tutto ciò che vedeva. Nella sala dedicata a questa sezione viene messa a disposizione dei visitatori una fotocopiatrice che stampa a inchiostro nero su carta rossa, con cui si possono realizzare in stile boettiano, le proprie opere da inserire in uno scomparto del catalogo della mostra.



Uscendo dalla mostra di Boetti, si costeggia il piccolo imbarcadero, con vista bellissima su San Marco, si oltrepassa il bar ristorante (unico dell’isola) e si raggiunge una stradina a destra che porta all’ingresso delle “Stanze del Vetro”, dove è possibile ammirare una splendida mostra dei vetri progettati dall’architetto e designer Ettore Sottsass. Nato nel 1917 e morto nel 2007, Sottsass è stato un grande protagonista della vita artistica e produttiva italiana. Lavorò per l’Olivetti vincendo due volte il compasso d’oro, per il calcolatore Elea 9003 e per la macchina per scrivere portatile Valentina e fondò il gruppo Memphis che rinnovò profondamente la concezione di architettura e design. Personaggio poliedrico, agitatore culturale, si allontanò dal razionalismo architettonico, assorbì lo spirito rinnovatore degli anni ’60, la cultura libertaria americana (anche grazie alla moglie Fernanda Pivano) e disse che il design e l’architettura dovevano portare gioia, sollecitare l’immaginazione, curare. Non disdegnava il ripensamento del kitsch, lo sberleffo. Anche nella progettazione del vetro portò il suo spirito dissacratorio, mettendo in discussione l’aspetto funzionale dell’oggetto (cercava un vaso diverso dal solito vaso come una sedia diversa dalla solita sedia), realizzando vere e proprie sculture, con colori accesi e accostamenti di materiali anomali (vetro con marmo o acciaio). Naturalmente, mantenendo un grande rigore e professionalità progettuali e realizzativi (lavorò con le migliori vetrerie, a partire dai veneziani Venini e Barovier). La mostra ci permette di ammirare oltre duecento splendidi pezzi, trionfo di luce, colore, ironia.

Uscendo dalla mostra di Sottsass, subito di fronte sulla stessa stradina si accede ad uno spazio all’aperto, sul retro del convento, che la Fondazione Cini ha voluto riservare ad installazioni temporanee di artisti internazionali sempre incentrate sull’uso del vetro. Dopo aver mantenuto per alcuni anni la “Glass Tea House”, una splendida opera del giapponese Hiroshi Sugimoto, è stato da poco allestito un lavoro della statunitense Pae White, intitolato “Qwalala”. Si tratta di un muro lungo 75 metri, che si sviluppa con andamento serpentiforme, realizzato con mattoni di vetro, metà trasparenti e gli altri realizzati con una tecnica particolarissima chiamata “effetto tempesta”, perché ognuno contiene una grande quantità di fili colorati che si mescolano e danno a ciascun mattone un colore diverso, mantenendone la luminosità e trasparenza. Il nome dell’opera richiama quello dato dai nativi indiani a un fiume, di cui suggerisce il percorso. L’artista ha però realizzato anche due porte che interrompono la continuità del muro con cui vuol dire che anche una barriera deve essere permeabile e permettere il transito della luce e dei corpi.

Proseguendo lungo la stradina (tutti i percorsi sono indicati con segnali), si costeggia il “labirinto di Borges” e si giunge ad una grande sala che ospita l’installazione dell’irlandese Bryan McCormack, intitolata “Yesterday, Today, Tomorrow”. Si occupa dell’immigrazione, facendo esprimere le stesse persone che vivono questa esperienza. McCormack ha chiesto agli immigrati ospitati in centri in tutta Europa, soprattutto giovani, di descrivere con tre disegni qualcosa del proprio passato, del presente e cosa si aspettano nel futuro. I disegni, circa 600, vengono fatti pendere a formare una scultura che dal soffitto si avvicina al pavimento, creando alcuni corridoi da percorrere per poterli vedere. Alle pareti, fotografie che rappresentano decine di centri di raccolta dei rifugiati in tutta Europa. Sulla parete di fondo, video che mostrano l’interazione tra studenti e elementi dell’installazione. L’opera ha un forte impatto scenografico e i disegni sono commoventi e inducono a considerare l’aspetto umano di questo fenomeno.

Infine, tornando alla darsena e andando a destra, un altro vasto edificio a due piani ospita la mostra dedicata ad Andy Warhol e Robert Rauschenberg, incentrata su una frequentazione, nei primi anni ’60, dei due artisti, occupati nelle comuni ricerche sul trasferimento delle immagini attraverso la serigrafia, nonché alcune delle serie finali di Rauschenberg, morto nel 2008: grandi opere in cui l’artista continua, con sostanziali miglioramenti tecnici, la pratica di appropriazione di immagini dalla realtà e di trasferimento delle stesse nella propria opera. Il primo piano dell’edifico ospita infine lavori di due artisti che operano anche nel campo della realtà virtuale: Paul McCarthy e Christian Lemmerz. Penso che l’esperienza di indossare casco e auricolari per entrare nel mondo visionario di questi due autori causi un forte impatto emotivo, in molti anche un respingimento. Le immagini che ci fluttuano intorno sono inquietanti, conturbanti. Credo che questo strumento possa aprire nuove strade nel modo di esperire emozionalmente l’arte.

Sauro Sassi                                                                                                        



CINQUE MOSTRE ALL’ISOLA DI SAN GIORGIO A VENEZIA. LE SEDI E I PERCORSI PER RAGGIUNGERLE SONO BEN SEGNALATE:

MICHELANGELO PISTOLETTO: ONE AND ONE MAKES THREE. CHIESA E CONVENTO DI SAN GIORGIO. FINO AL 26 NOVEMBRE. ORARI: MA-SA 10-18 DO 14-18

ALIGHIERO BOETTI: MINIMUM MAXIMUM. FINO AL 12 LUGLIO. ORARI 11-19 ME CHIUSO

PRESSO LE STANZE DEL VETRO: ETTORE SOTTSASS: IL VETRO FINO AL 30 LUGLIO. ORARI 10-19 ME CHIUSO

PAE WHITE: QWALALA. FINO AL 30 NOVEMBRE. ORARI 10-19 ME CHIUSO

BRYAN MC CORMACK: YESTERDAY TODAY TOMORROW. FINO AL 13 AGOSTO. ORARI: 11-18 ME CHIUSO

ROBERT RAUSCHENBERG & ANDY WARHOL “US SILKSCREENERS”. ROBERT RAUSCHENBERG: LATE SERIES. PAUL MCCHARTY & CHRISTIAN LEMMERZ: NEW MEDIA (VIRTUAL REALITY ART). FINO AL 27 AGOSTO. ORARI 10-19 ME CHIUSO

TUTTE LE MOSTRE SONO A INGRESSO GRATUITO

PER ARRIVARE: VAPORETTO LINEA 2 DA STAZIONE CENTRALE O PIAZZALE ROMA. FERMATA SAN GIORGIO (IMPIEGA CIRCA 40 MINUTI). OPPURE DA SAN ZACCARIA (A FIANCO DI SAN MARCO) IN TRE MINUTI. PURTROPPO A VENEZIA I TRASPORTI SONO CARISSIMI. UN BIGLIETTO COSTA 7,50EUR. PER IL PASSAGGIO DA SAN ZACCARIA A SAN GIORGIO (E VICEVERSA) SI PUO’ ACQUISTARE UN BIGLIETTO RIDOTTO (5 EUR). SOLUZIONI UN PO’ PIU’ ECONOMICHE SE CI SI FERMA PIU’ GIORNI


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