A BOLOGNA DUCHAMP, MAGRITTE, DALI', TRA RIVOLUZIONE E MISOGENIA L'ARTE SI FA GRANDE


SAURO GIOCA IN CASA, UNA BELLA MOSTRA A BOLOGNA

DUCHAMP, MAGRITTE, DALI’ e gli altri: UN PO’ RIVOLUZIONARI, UN PO’ MISOGINI, GRANDI ARTISTI


Merita una visita la mostra allestita al Palazzo Albergati di Bologna, nonostante il costo esoso del biglietto di entrata. Considerando, però, alcune cose. In primo luogo il titolo è sviante: sembra una mostra dedicata a tre artisti (naturalmente molto famosi) mentre le opere di questi sono assai poche (in particolare di Magritte e Dalì, che hanno prodotto tantissimo). Per quanto riguarda il termine “rivoluzionari”, credo che l’unico che abbia prodotto una vera rivoluzione nel campo dell’arte sia stato Duchamp, mentre gli altri due, se vogliamo, hanno aumentato a dismisura il campo dell’immagine pubblicitaria, vedendo spesso banalizzata nella cartellonistica e anche nella pubblicità televisiva, in certo cinema, nei videoclip musicali le loro intuizioni. Ciò detto, è molto utile, anche a fini didattici, vedere i lavori di tanti artisti che hanno fatto parte di due movimenti importantissimi nella storia dell’arte del ‘900, il Dadaismo e il Surrealismo, che qui sono stati raccolti secondo modalità tematiche: Accostamenti Sorprendenti; Automatismo e Subconscio; Biomorfismo e Metamorfismo; Il Desiderio, la Musa e la Violenza; Il Paesaggio Onirico.
Su tutta la prima parte della mostra aleggia la figura di Marcel Duchamp, nato nel 1887, figlio di notaio, che nel 1904 si trasferì a Parigi per studiare arte. Iniziò a dipingere, influenzato da Cézanne e poi dal Cubismo, ma guardando anche al Futurismo per la sua componente dinamica. Infatti la sua prima opera famosa, nel 1912, fu “Nu descendant un escalier”, esposta all’Armory Show di New York, dove scandalizzò perché era contraria a tutte le accademie l’idea di un nudo in movimento e non in posa secondo le regole classiche. Duchamp, anche nei suoi inizi pittorici, si poneva non tanto il problema della percezione immediata dell’opera (che lui chiamava retinica) ma del perché si realizzassero cose che venivano chiamate arte, in base a quali regole, convenzioni. Arrivò a dire che il termine arte non fosse una indicazione di valore ma di semplice designazione. Nel 1913 cominciò quindi a realizzare “ready mades”, cioè oggetti della vita quotidiana tolti dal loro contesto, privati della loro utilità ed elevati (nominati) dall’artista al rango di opere d’arte. Tra i primi la “Ruota di bicicletta” montata su uno sgabello, lo “Scolabottiglie” (visibili in mostra: ovviamente si tratta di rifacimenti autorizzati dall’artista perché gli “originali” sono andati per lo più perduti). Nel 1917 ci fu lo scandalo dell’orinatoio rovesciato, inviato a una mostra di scultura a New York con il titolo di “Fountain”, firmata R. Mutt. Una delle peculiarità di Duchamp è sempre stata di mantenere una grande ambiguità sul suo lavoro, utilizzando anche titoli incongruenti, giochi di parole che hanno dato vita a un’orgia di interpretazioni. Così fu anche per questa firma. Nelle interviste spesso assecondava le affermazioni dell’interlocutore, come quando gli si chiese se “Fountain” fosse un atto di protesta contro la guerra e lui rispose che naturalmente era così. In quegli anni, e fino al 1923, Duchamp lavorò a quella che si può considerare la sua magnum opus: “La mariée mise à nu par ses célibataires, meme”, detta anche “Grande Vetro” perché la base è una lastra di vetro incisa. Migliaia di pagine sono state spese per interpretare l’opera, a partire dal titolo, mentre Duchamp continuava a giocare a scacchi e a inquietare, anche nel campo di quello che oggi si chiamerebbe il gender, mettendo i baffi alla Gioconda e creando una sua identità femminile, facendosi fotografare dall’amico Man Ray truccato da donna col nome di Rrose Selavy, nonché realizzando puntate folgoranti nel campo del cinema sperimentale (“Anemic Cinema”, film astratto dove il termine anemic è naturalmente l’anagramma di cinema). Duchamp partecipò al movimento dadaista, cessò praticamente la sua produzione prima della nascita del Surrealismo, dedicando il resto della sua vita al gioco degli scacchi. La sua opera e il suo pensiero sono riemersi dopo la seconda guerra mondiale e hanno influenzato in modo determinante tutta l’arte da allora ad oggi (se attualmente tutti gli artisti ritengono che il proprio lavoro sia, in primo luogo, un fatto mentale, tutti sono debitori a Duchamp). Morì, e forse anche nell’anno della sua morte c’è qualcosa di simbolico, nel 1968.
Nella prima sala, col titolo di “Accostamenti Sorprendenti” troviamo vari lavori di Duchamp, come la ruota di bicicletta o lo scolabottiglie. Perché sono arte? Perché, come dice Argan: “Stralciandoli da un contesto in cui tutto essendo utilitario nulla può essere estetico, li situa in una dimensione in cui nulla essendo utilitario tutto può essere estetico. Ciò che determina il valore estetico non è più un procedimento tecnico, un lavoro, ma un puro atto mentale, una diversa attitudine nei confronti della realtà”. In altre maniere tutti gli artisti dadaisti si confrontarono con la realtà, non solo quella delle cose ma anche di una società che introiettava nei modi della produzione industriale una violenza che non poteva non sfociare nella guerra. Il movimento nacque in Svizzera, durante la prima guerra mondiale e fu un urlo contro la sua assurdità, tanto da parte di artisti tedeschi che francesi e di altre nazionalità. La rivolta dei dadaisti fu artistica, poetica e anche politica. Molti, soprattutto tra i tedeschi, furono comunisti e, in seguito, antinazisti. Nella stessa strada in cui sorgeva il loro luogo di incontro, il Cabaret Voltaire a Zurigo, abitava Lenin. I dadaisti si ribellavano a tutte le tradizioni dell’Occidente, compresa l’arte, ma non in nome di un futuro luminoso all’insegna delle macchine, come per i Futuristi, ma alla ricerca di un azzeramento totale che segnasse un nuovo inizio. Centri dadaisti sorsero, oltre che in Svizzera, negli Stati Uniti, in Germania, in Francia e le mostre si alternavano agli scritti e agli interventi pubblici in cui si cercavano in tutti i modi lo scandalo, la provocazione. I grandi ispiratori, a Zurigo erano Francis Picabia e Tristan Tzara ma svolsero un lavoro importante anche Hans (Jean) Arp, franco tedesco, e la moglie Sophie Tauber. A lato, in una posizione di partecipazione e distanza, Duchamp e il suo amico Man Ray (di origine statunitense). In Germania Max Ernst, Grosz, Dix, Hausmann, Heartfield, Hannah Hoch. Un protagonista fondamentale, giustamente presente in mostra, fu Kurt Schwitters che, come Duchamp, aprì molte strade all’arte successiva. Nella prima parte della mostra troviamo vari esempi di una delle modalità più praticate dai dadaisti: il collage (la cui prima applicazione viene attribuita a Picasso o Braque). Il collage piaceva perché permetteva di inserire nell’opera cose reali ma disposte in modo casuale, scegliendo brani di scrittura o immagini da giornali e riviste, assemblandoli in modo incongruo per suscitare schock visivi. Schwitters rendeva i collages tridimensionali, inserendo oggetti di tutti i tipi, anche rifiuti. Attraverso essi, come in Duchamp, il reale entrava nell’opera ma a seguito di un intervento manipolatorio dell’artista.
Per comprendere l’importanza del caso nella realizzazione di un’opera basti leggere il testo di TzaraPer fare una poesia dadaista”. Il poeta romeno invitava a prendere un articolo di giornale della lunghezza che si voleva dare alla poesia, ritagliare le parole, metterle in un sacchetto, agitarle ed estrarle una ad una ricopiandole così come venivano. Alla fine, si sarà realizzata una poesia dadaista. Troviamo quindi vari esempi di collage ed assemblage, anche se fu Schwitters colui che portò avanti con più coerenza e risultati più importanti questa pratica, arrivando a realizzare un lavoro, “Merzbau” (anche questo titolo non aveva un significato preciso) in cui i materiali invadevano un intero appartamento, creando il primo esempio di arte ambientale. Con collages e assemblage si cimentarono anche Hans Arp, e la moglie Sophie Tauber, Picabia, Hausman, Hannah Hoech, Jean Crotti, (che aveva sposato una sorella di Duchamp, Suzanne, anch’essa artista), mentre Man Ray e Heartfield praticarono il fotomontaggio, il secondo con forti contenuti politici, e lo stesso Man Ray realizzò altre sperimentazioni disponendo oggetti sulla carta fotografica (rayogrammi) o, come Duchamp, assemblandoli per realizzare composizioni strane, ambigue, poetiche. Come si vede in mostra, l’unica pratica in cui non eccelse fu la pittura. Una tecnica di collage particolare praticò anche Max Ernst, ricavando immagini da stampe e riviste dozzinali e assemblandole per creare scene di notevole crudeltà e ambiguità sessuale che, in seguito, perfezionò nel suo periodo surrealista.
Nelle sale successive di Palazzo Albergati incontriamo soprattutto il Surrealismo, che nacque nel 1924 a Parigi col manifesto di Andrè Breton quando già il dadaismo si era estinto, richiamando anche diversi esponenti di questo movimento, a partire dallo stesso Breton e poi Picabia, Max Ernst, Man Ray, il poeta Paul Eluard. Il Surrealismo nacque come movimento poetico e letterario, profondamente segnato dalle teorie freudiane sull’inconscio (Freud però non ebbe alcun interesse per i surrealisti). Dal punto di vista artistico fu centrale l’influenza di De Chirico (presente in mostra con un’opera piuttosto brutta). Gli artisti surrealisti recuperarono la pittura e anche l’immagine, che però non veniva inserita in un contesto realista ma che richiamava l’inconscio, l’attività onirica. La rappresentazione surrealista mirava alla manifestazione degli istinti umani più segreti e repressi, e, attraverso la loro liberazione, a porsi come rivoluzionaria rispetto al decoro e al formalismo borghesi. Ovviamente una parte fondamentale di questa pratica liberatoria riguardava il desiderio, l’erotismo come pratica per scardinare le porte del conformismo nella società del loro tempo.
La mostra, come dicevo, procede per temi, mescolando a volte in modo incongruo artisti e opere che non hanno molto a che fare tra loro. Ad esempio ogni tanto compaiono lavori dell’americano Joseph Cornell, famoso per la realizzazione di piccole scatole di legno dentro cui inseriva oggetti i più diversi, che sicuramente ricordano gli assemblages dadaisti, ma che rimase sempre un isolato. Trionfa poi il kitsch della ricostruzione della cosiddetta stanza di Mae West di Dalì.
Nella sezione dedicata al Biomorfismo incontriamo nuovamente Arp che, dopo i collages e gli esperimenti verbali dadaisti, trovò la sua strada riprendendo i materiali tradizionali della scultura (marmo, bronzo) e andando alla ricerca di forme originarie della vita, levigate, prive di spigoli, che suggerivano qualsiasi possibile ipotesi di trasformazione e sviluppo della materia. Se egli subì sicuramente l’influenza di Brancusi, a sua volta influenzò fortemente Henry Moore. Anche il pittore Yves Tanguy, mangiatore di ragni, realizzava paesaggi inquietanti nei quali inseriva forme strane e non identificabili, come universi primigeni oppure rappresentazioni del post umano. Altrettanto inquietanti i paesaggi dipinti da sua moglie Kay Sage, pure presente in mostra, che si suicidò dopo la morte del marito. I rapporti amorosi di dadaisti e surrealisti si presterebbero ad interessanti approfondimenti. Così, ad esempio, anche la moglie di Arp, Sophie Tauber, fu un’ottima artista. Un altro rapporto tra artisti fu quello di Max Ernst e Leonora Carrington. Ernst partecipò sia alla fase dadaista che al successivo Surrealismo, realizzando collages, dipinti e sculture (tutte queste tecniche sono presenti in mostra). Il loro incontro risale al 1937, a Parigi; lei era una giovane inglese di buona famiglia, lui un artista già affermato, di ventisei anni più anziano, sposato e con fama di grande donnaiolo. Allo scoppio della guerra Ernst, di nazionalità tedesca, venne arrestato, poi rilasciato e arrestato nuovamente. La Carrington subì un tracollo psichico, finì ricoverata in una clinica in Spagna. Ne uscì con l’aiuto di un diplomatico messicano innamorato di lei (che era molto bella), ritrovò Ernst che nel frattempo aveva accettato l’aiuto di Peggy Guggenheim, innamorata di lui e che successivamente sposò con un matrimonio che durò solo un anno, mentre la Carrington aveva accettato di sposare il diplomatico messicano. Anche lei divorziò dopo poco tempo e andò in Messico, dove visse il resto della sua vita, continuando a realizzare dipinti surrealisti che, negli ultimi anni, hanno ricevuto una grande attenzione, con mostre importanti a lei dedicate. I due artisti si fecero bellissimi ritratti durante il loro amore. A palazzo Albergati troviamo un bel quadro della Carrington. Proseguendo nella saga di Max Ernst, egli, dopo la separazione dalla Guggenheim, sposò un’altra artista surrealista, Dorothea Tanning, anch’essa presente in mostra, che pure elaborò un immaginario fortemente onirico e pieno di sensibilità femminile.
I movimenti dadaista e surrealista videro, tra i propri protagonisti, anche diverse donne, che spesso realizzarono opere molto valide ma che furono sostanzialmente messe ai margini dai colleghi uomini, e questo non depone a favore di questi artisti, che si proclamavano rivoluzionari. Tra le opere esposte, ad esempio, troviamo alcune bellissime fotografie di Dora Maar. Questo nome non dice molto ai più. Al massimo gli ammiratori di Picasso la ricordano come una delle sue amanti (per sette anni, dal 1936 al 1943) e come modella per ritratti in cui la sua fisionomia (era bellissima) veniva stravolta da lui. Dora però era una bravissima fotografa, realizzando sia fotomontaggi, con cui partecipava alle mostre del gruppo surrealista, sia reportages di vita di strada di straordinaria sensibilità. Dopo l’incontro con Picasso documentò, con moltissime fotografie, la realizzazione di Guernica ma il maestro la convinse ad abbandonare gli scatti per dedicarsi alla pittura, salvo umiliarla per i suoi risultati. Infine la lasciò, ed ella cadde in una depressione che la portò al ricovero in una clinica psichiatrica. In mostra troviamo anche un quadro di Picasso, che sicuramente era ammirato da tutti e considerato il maggior artista vivente ma che in questo contesto c’entra poco, così come non c’entra nulla una tela di Giorgio Morandi. Un’altra artista estremamente interessante presente in mostra con un fotomontaggio, è Claude Cahun, la quale aderì al Surrealismo ma portò avanti un discorso molto personale sull’identità sessuale. Lesbica, amava vestirsi e rappresentarsi in pose ambigue, mescolando genere maschile e femminile. La sua pratica del travestimento e dell’autorappresentazione influenzò molti artisti successivi, dalla statunitense Cindy Sherman all’italiano Ontani. Ricordo anche un’altra artista, Ithell Colquhoun, di origine indiana, anch’essa surrealista e presente con un olio, “The Pine Family”, molto inquietante, così come inquietano i fotomontaggi di Herbert Bayer, ossessionato dallo sguardo, e le visioni esoteriche di Victor Brauner. Trovo invece più patologiche le rappresentazioni della donna come bambola spezzata o insieme di organi sessuali di Hans Bellmer.
Degli altri artisti famosi presenti in mostra (Klee, Mirò, Magritte, Dalì, Masson, Delvaux) molto si sa e molto si potrebbe scrivere. Vorrei solo ricordare che le tecniche di pittura automatica di Masson influenzarono artisti statunitensi come Pollock. Ricordo anche il cinema astratto e surrealista che, insieme a quello espressionista tedesco e a quello sovietico aprì la strada a tutto il cinema sperimentale e d’avanguardia successivo. Insomma, tante formidabili personalità, una grande influenza sulla ricerca artistica successiva. Dal punto di vista delle tecniche e delle idee, paradossalmente, il Dadaismo, che voleva azzerare il linguaggio e distruggere tutto, appare più innovativo del Surrealismo. Sicuramente da invidiare, rapportata ai nostri tempi, quell’epoca di enorme creatività.


SAURO SASSI


DUCHAMP, MAGRITTE, DALI’: I RIVOLUZIONARI DEL ‘900
PALAZZO ALBERGATI, VIA SARAGOZZA 28
FINO ALL’11 FEBBRAIO 2018
APERTO TUTTI I GIORNI DALLE 10 ALLE 20. IL 31 DICEMBRE: 10-17. IL PRIMO GENNAIO 2018 15-20. IL 6 GENNAIO: 10-20
BIGLIETTO INTERO 14 EUR (AUDIOGUIDA INCLUSA). RIDOTTO 12 EUR (65 ANNI, DAGLI 11 AI 18, STUDENTI FINO A 26, POSSESSORI CARD MUSEI METROPOLITANI EUR 7, 2X1 CON BIGLIETTI LE FRECCE CON DESTINAZIONE BOLOGNA SOLO DA LUNEDI’ A VENERDI’.
PRENOTAZIONE E PREVENDITA (NEI FINE SETTIMANA E FESTIVI PUO’ ESSERCI FILA): 051-030141. DA LUNEDI’ A VENERDI’ 10-17
Sito: www.palazzoalbergati.com

                                                                                   

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