POETICA DELL’IGLOO: UNA GRANDE MOSTRA DI MARIO MERZ A MILANO
Non ci si stancherà mai di lodare l’Hangar Bicocca di Milano, grande spazio, già stabilimento di produzione di
locomotive, trasformato in contenitore per mostre di arte contemporanea di altissimo
livello. Attualmente ospita uno splendido omaggio a uno degli artisti italiani più
importanti della seconda metà del Novecento, Mario Merz, riprendendo uno schema già usato in occasione della
mostra dedicata a Lucio Fontana, cioè isolare un elemento
fondamentale del proprio lavoro (nel caso di Fontana erano gli “Ambienti
Spaziali”) per metterlo al centro di una esposizione che ne raccoglie gli
esemplari più importanti realizzati nel corso del tempo. Nel caso di Merz si tratta degli “Igloo”, che l’artista iniziò a
realizzare nel 1968 e che continuò a
produrre fino alla sua morte, nel 2003.
Merz nacque a Milano nel 1925 ma visse
e operò a Torino, dove conobbe la
moglie Marisa, anch’essa artista, e
dove la figlia Beatrice presiede la Fondazione a lui intitolata,
realizzando una importante attività di promozione del lavoro dei genitori ma
anche di esposizioni di arte contemporanea. La scoperta della pratica artistica
risale ai lunghi mesi trascorsi, nel 1945,
nelle prigioni fasciste, arrestato come simpatizzante di “Giustizia e Libertà”. Disegnava incessantemente, usando la carta
con cui i famigliari avvolgevano il formaggio che gli portavano, e, anche se la
sua arte prese poi la direzione delle installazioni, non abbandonò mai il disegno e la pittura. Torino era una
città estremamente vitale in campo artistico; vi confluirono, negli anni ’60, i giovani Michelangelo Pistoletto, Giuseppe Penone, Gilberto Zorio, Alighiero
Boetti, Giovanni Anselmo, Giulio Paolini e altri, che si ponevano
il problema di cambiare lo statuto dell’arte, andando contro la pratica pro consumistica
della Pop Art ma anche alla
tradizione accademica. Utilizzavano, nelle loro opere, oggetti presi dalla
natura o dalla produzione industriale, realizzando lavori anti estetici,
provocatori, che riflettevano il clima che avrebbe portato al ’68. Incontrarono un giovane critico, Germano Celant, che giustificò
teoricamente il loro lavoro, creando il termine “Arte Povera”, derivato da quello di “Teatro Povero” con cui il polacco Jerzy Grotowski aveva definito un teatro privato di tutte le
sovrastrutture tradizionali (scene, costumi, luoghi deputati) e fondato sul
nudo corpo dell’attore. L’Arte Povera nacque
ufficialmente nel 1967 e bisogna
dire che i suoi rappresentanti non facevano esattamente una tabula rasa del
passato. Guardavano sicuramente al Futurismo,
a Lucio Fontana, a Burri e Manzoni relativamente a due elementi che a loro interessavano
molto: il dinamismo, l’arte come
creazione di energia e la materia.
Essendo tutti dotati di una forte personalità, che ha permesso loro di divenire,
successivamente, artisti affermati, i segni del loro
lavoro erano diversi ed alcuni di loro crearono un vocabolario visivo
inconfondibile. Così Pistoletto con
i quadri specchianti, Zorio con le canoe, le lance, gli alambicchi, Penone con i legni dei
mobili ritrasformati in piante, il romano (di origine greca) Jannis Kounellis con gli animali vivi, il carbone, la fiamma ossidrica.
Merz era molto intrigato dall’investigazione
del rapporto uomo-natura e
dall’energia che pervade l’universo. Così, nel 1968, immaginò l’Igloo
come archetipo del luogo dell’abitare umano, forma perfetta che permette la
sopravvivenza nelle condizioni più difficili, struttura chiusa ma facilmente
accessibile. Il primo, ancora di dimensioni ridotte, lo chiamò “Igloo di Giap”. Aveva, come poi i successivi, uno scheletro metallico, che
in questo caso ricoprì con pani di argilla avvolti in fogli di plastica
trasparente. Tutto intorno, e qui entra in gioco un altro elemento
caratteristico del suo lavoro, una scritta al neon: “Se il nemico si concentra
perde terreno, se si disperde perde forza Giap”. Per chi non abbia vissuto
quei tempi, Giap era il mitico
comandante delle forze armate del Nord
Vietnam, vincitore prima dei colonialisti francesi e poi degli americani. Quindi:
una forma archetipica, l’Igloo; i
materiali naturali con cui rivestirlo: pani
di argilla, di stoffa, vetri rotti, catrame, fascine di legna,
tela, pietra, lastre di marmo o di
ardesia, cera; l’uso del neon, come già fatto da Fontana, ma per realizzare scritte con la sua grafia e con contenuti poetici (versi di Ezra Pound, citazioni, frasi di Merz) oppure per inserire numeri che
corrispondono alle sequenze numeriche del matematico pisano del 1200 Fibonacci e che simboleggiano
l’aspirazione all’infinito (tra parentesi, se uno si trovi a Torino di notte e
guardi la cupola della Mole (anche le cupole, per Merz, sono igloo) vedrà, in cifre al neon rosso, la serie di Fibonacci che sale verso il cielo
(quindi ancora verso l’infinito); poi fasci
di luce, riflessi, igloo attraversati da tavoli (altra struttura amata da Merz) che creano un collegamento con
l’esterno e un elemento dinamico, come un fulmine. Poi gli igloo possono contenere altri igloo,
oppure oggetti (ad esempio una macchina per scrivere: la
comunicazione, la cultura), oppure essere affiancati ad altri, fatti con
materiali diversi, a grandi tele dipinte, che di solito rappresentano, a
colori vivacissimi, animali arcaici; essere attraversati in orizzontale da file
di pacchi di giornali o in verticale
da neon che simboleggiano fulmini.
Ora, all’Hangar Bicocca, nell’enorme
spazio detto “Navate” (9500 metri quadrati per circa 30 metri di altezza),
tutto dipinto di nero, sono stati raccolti 31
Igloo, tra i più rappresentativi, realizzati tra il 1968 e il 2003. Sono
disposti in ordine di data di realizzazione ma il primo che si incontra,
all’entrata, sulla sinistra, intitolato “La
goccia d’acqua” è del 1987 ed è il più grande che Merz abbia realizzato. Troviamo qui le lastre di vetro che lo rivestono, rendendo l’interno del tutto
visibile, le cifre al neon e un tavolo triangolare lungo 26 metri che
lo attraversa come una lancia. Al termine del tavolo un rubinetto fa scendere acqua in un secchio. Merz dice che anche questa gigantesca costruzione è come una goccia
d’acqua, che, in forza della cosiddetta tensione superficiale, mantiene la sua
struttura, si fa attraversare dalla luce e, nella sua apparente fragilità,
contiene una grande forza. Così l’Igloo,
nella sua semplicità, rappresenta un simbolo di accoglienza, di calma, di
ricerca di una dimensione umana: tutta la terra, per Merz, è un Igloo. Dopo
avere attraversato tutte le navate e aver visto trenta Igloo, si giunge all’ingresso del cosiddetto “Cubo”, altro enorme e altissimo
edificio. All’interno, al centro, l’ultimo Igloo,
realizzato per una grande mostra nel 1998
al museo di Serralves a Oporto. In questa grande opera,
realizzata per il parco del museo, Merz lascia in vista la struttura
metallica e ricopre il più piccolo igloo interno con pile di fascine disposte
in orizzontale. Sulla sommità, un grande cervo,
rivolto verso l’accesso, che non può non ricordare quello che domina dall’alto
la cupola (l’igloo) della Palazzina di Caccia di Stupinigi.
Ancora una volta cultura e natura, umano e animale. Ricordo di aver visto
una volta Merz mentre usciva dall’Arte Fiera a Bologna. Un uomo
gigantesco, con lunghi capelli bianchi, un volto veramente da antico, come
scolpito nel legno, al braccio della moglie Marisa, minuta, che lo accompagnava dolcemente.
Ovviamente, dopo aver visto l’ultimo igloo, bisogna entrare nella terza Navata, di fianco, a vedere o rivedere
la stupenda installazione permanente di Anselm
Kiefer, “I Sette Palazzi Celesti”, la più bella opera di
arte contemporanea del mondo.
Inoltre, entrando all’Hangar Bicocca, prima delle Navate con gli igloo di Merz, si attraversa
un altro bellissimo spazio chiamato Shed,
che ospita una mostra dell’artista portoghese Leonor Antunes, anche questa molto bella e intrigante.
SAURO SASSI
MARIO MERZ: IGLOOS -
FINO AL 24 FEBBRAIO 2019
L’Hangar
Bicocca si trova in area periferica, in via Chiese 2, è aperto da
giovedì a domenica dalle 10 alle 22
(chiuso da lunedì a mercoledì), l’ingresso
è gratuito e consiglio di consultare il sito della mostra per poter
partecipare alle interessantissime visite guidate tenute dal personale interno,
al costo di sei euro (non occorre prenotare). C’è anche un ristorante, ricavato in quella che era la mensa della fabbrica. Per
arrivare coi mezzi pubblici si prende la nuova linea 5 del metro in direzione Bignami
(linea Lilla, si può prendere a Garibaldi
oppure a Zara, dove incrocia la linea 3 (linea gialla, che passa dalla Stazione
Centrale e da piazza Duomo). Si
scende a Ponale e si può prendere il
bus n. 51, direzione Cimiano, scendendo alla fermata via Chiese Hangar Bicocca (si può anche
andare a piedi, la strada è rettilinea e sono poche centinaia di metri). Se si
arriva in auto ci sono ampie possibilità di parcheggio libero. Vicino
all’Hangar anche un centro commerciale con diverse possibilità per mangiare.
Consiglio Coop for Food, a fianco del supermercato Coop, dove
con circa 10 euro si può fare un pasto completo
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