SANGUINE: IL BAROCCO TRA ORRORE E BELLEZZA
Nel sentire comune il termine Barocco rimanda a qualcosa di molto
elaborato, eccessivo, pieno di elementi superflui. Culturalmente, pesa in
Italia il giudizio negativo di Croce,
che lo considerava elemento caratterizzante del diciassettesimo secolo, che
investiva arte, letteratura, religione, morale con caratteri di artificiosità ,
irrazionalità , eccesso gratuito. Nel Novecento,
a partire da Benjamin, il Barocco è stato rivalutato, tanto da
considerarlo l’inizio del Moderno, con
l’introduzione di una koinè linguistica che ha caratterizzato tutta la cultura
occidentale. Oggi l’irrazionalità dilagante,
l’ipertrofia consumista, l’esaltazione dell’eccesso, la deriva morale sembrano
attualizzare tutti gli aspetti peggiori del Barocco, eliminandone lo slancio vitale, l’impulso dionisiaco in
nome di una grande pulsione di morte. Gli artisti del Seicento, a partire da Caravaggio,
univano la violenza della rappresentazione con una nuova attenzione alla
realtà , che li portava a non disgiungere la grande crudezza delle immagini da
un forte senso di pietas verso se stessi e il genere umano. C’era poi anche il Barocco trionfante di Bernini, di Rubens, dove più ambiguo risultava il confine tra l’esaltazione
della bellezza, del potere, a partire dalla Chiesa e dai Signori e il senso di
morte, di vanità delle cose che ne era comunque sotteso. La Fondazione Prada, proseguendo una
pratica già attuata, ha chiesto a un artista, in questo caso al pittore
figurativo belga Luc Tuymans, di
curare una mostra nei propri spazi. Tuymans
ha ritenuto, appunto, di concentrarsi sul Barocco,
indicando già nel titolo, “Sanguine”,
l’intenzione di dare spazio soprattutto al suo aspetto drammatico, confrontando
opere del passato con quelle di autori contemporanei. E’ partito da Caravaggio, di cui sono presentati due
lavori, il “Fanciullo morso da un
ramarro”, della Fondazione Longhi, e “Davide con la testa di Golia”, della Galleria Borghese, dove, nella testa decapitata del gigante, si
autorappresentò, uomo inseguito, condannato a morte, che Davide sembra osservare con una certa pietà . Le opere
sei/settecentesche e contemporanee sono disposte lungo il percorso, che si
articola in più ambienti, in modo da creare relazioni e suscitare stati d’animo
che richiamano per lo più idee di tristezza e morte. Così anche la “Lamentazione su Cristo morto” di Rubens non ha proprio nulla delle
grandi scene di trionfo di bellezza ed opulenza che spesso hanno caratterizzato
la sua opera. Il ritratto di pittore di Van
Dyck appare severo, essenziale nella resa psicologica del personaggio. Il “San Sebastiano” di Zurbaran, è magro e sofferente, lontano
da molta iconografia che lo mostra affrontare le frecce con serenità e senza
provar dolore. Un forte senso di ambiguità tra bellezza e morte traspare nella “Cleopatra morente” di Guido Cagnacci. Si impongono però, per
dimensioni e resa drammatica, due lavori contemporanei. Ne “In Flanders Fields”
della belga Berlinde de Bruyckere, tre
grandi cavalli sono gettati sul pavimento, le zampe all’aria, memoria della
prima guerra mondiale. Le sculture, a grandezza naturale, sono rivestite di
pelle equina, senza spazi per gli occhi e la bocca, ad accentuarne la plastica
drammaticità . “Fucking Hell”, dei
fratelli Jake & Dinos Chapman, riunisce, in grandi
contenitori trasparenti, sessantamila
piccoli modelli di uomini impegnati in un’unica attività : uccidere,
seviziare, tagliare teste e corpi, in un’orgia di violenza angosciante, memore
delle incisioni di Goya sui disastri
della guerra. Non si può fare a meno di avvicinarsi per osservare quegli
orrori, commessi da uomini che, ridotti alle dimensioni di insetti, appaiono
aver abbandonato ogni carattere umano. Oppure no? Se pensiamo al nazismo e a
tutto il sangue versato nel corso della storia, e magari alle idee di De Sade,
forse rappresentano un po’ anche noi. Altra donna, come la De Bruyckere, che porta una visione tragica della vita è la
sudafricana Marlene Dumas, pittrice,
che, nel quadro “Dead Girl”,
riproduce l’immagine di una terrorista uccisa in uno scontro a fuoco. Ci
consola che Michael Borremans, nel
realizzare un bellissimo ritratto di bambino con gli occhi chiusi, lo intitoli “Sleeper”, suggerendo quindi
un’immagine di (pur ambigua) serenità . Gli artisti belgi in mostra sono tanti,
sia tra gli antichi che tra i contemporanei. Menziono Thierry de Cordier, che solitamente usa il colore nero per
trasmettere un senso di forte disagio esistenziale. Troviamo in mostra una
grande quadro, apparentemente monocromo, dove, guardando meglio, intravvediamo
l’immagine di una croce. Ricorda le tante crocifissioni su fondo nero degli
artisti del Seicento, ma qui manca
il Cristo: se ne è andato? Non è mai
venuto? Diverso il lavoro di Jan
Vercruysse, che è morto quest’anno, che realizzava opere intitolate “Atopies”, non luoghi. Si tratta di
sculture in legno che ricordano mobili ma che non hanno alcuna utilità pratica,
a metà strada tra minimalismo e spaesamento magrittiano. L’olandese Mark Manders propone due statue di
volti femminili, il corpo incompiuto e ridotto a un troncone, divise in due
orizzontalmente da un asse, simboli perturbanti di bellezza ma anche di
frammentazione dell’identità . Ricordo infine due opere video. “Nosferatu” di Javier Tellez, che alterna immagini dello splendido film del 1922 di Murnau con altre di pazienti psichiatrici che reagiscono alle
stesse. In “Human Mask” di Pierre Huyghe, uno degli artisti più
interessanti in attività , vediamo un individuo che si muove in un locale
indossando una maschera. I movimenti appaiono incerti, la scena produce un
senso di sospensione. Leggendo la descrizione apprendiamo che l’essere
mascherato non è un uomo ma una scimmia, e il locale è quello che la ospitava a
Fukushima, semidistrutto dal
disastro nucleare. L’ambiguità della scena provoca turbamento e induce a
interrogarsi sulla natura umana e animale e sul rapporto tra uomo e ambiente. Nell’insieme,
una mostra che inquieta, fa pensare sullo statuto di moderno, sulla possibilitÃ
di trovare legami tra arte antica e contemporanea e ci mostra il confine
stretto tra orrore e bellezza, vita e morte.
Voglio poi spendere qualche parola
sulla sede milanese della Fondazione
Prada (ne esiste una anche a Venezia,
nel settecentesco palazzo di Ca’ Corner
della Regina, sul Canal Grande).
Si trova in Largo Isarco, nel
quartiere Ripamonti, già sede di
industrie in gran parte dismesse, a ridosso dello scalo ferroviario di Porta Romana. Grazie alla fermata Lodi della linea 3 della
Metropolitana (linea gialla) può essere raggiunta velocemente da Piazza Duomo. La zona è oggetto di
importanti progetti di riqualificazione urbana a cui proprio la Fondazione ha dato impulso, attraverso
il recupero di una ex distilleria di
inizio ‘900 (vi si produceva il brandy Cavallino Rosso) da parte dello Studio OMA, diretto dal famoso
architetto olandese Rem Koolhaas.
Nella vasta area si è realizzato sia il recupero e riutilizzo di edifici
esistenti che la costruzione di nuovi, a creare non solo spazi per esposizioni
ma anche per relazioni sociali. L’accesso alla biglietteria avviene attraverso
un bar, chiamato “Bar Luce”,
immaginato dal regista americano Wes
Anderson ripensando i vecchi bar
milanesi anni sessanta: tavolini in plastica e bachelite colorati,
flipper, banco degli alcoolici illuminato
e coloratissimo. Un segno forte è l’edificio detto Haunted House, che, su diversi piani, conserva opere degli
americani Louise Bourgeois e Robert Gober. Le pareti sono completamente rivestite in foglia d’oro,
creando effetti scenografici di grande suggestione. Mentre gli spazi per esposizioni temporanee si
trovano negli edifici perimetrali Nord
e Sud e nel centrale Podium, un altro edificio ospita il Cinema e un vasto Deposito, in fondo, può essere pure usato come spazio espositivo. A
fianco del deposito, Koolhaas ha progettato ex novo una Torre, alta sessanta
metri, rivestita in cemento bianco, che custodisce parte della collezione
permanente della Fondazione. Ha nove piani, la cui altezza varia dagli 8
metri dell’ultimo, ai 2,7 del primo,
le sale, amplissime, hanno forma
rettangolare o trapezoidale, con ampie vetrate che all’ottavo piano
consentono una illuminazione naturale e una
visione ad ampio raggio dello
skyline milanese. La torre ospita anche un ristorante e un bar. Non mi soffermo a parlare delle opere
contenute nella torre, molte veramente spettacolari, di artisti famosi come Carsten Holler (la più ammirata e
fotografata), Damien Hirst, Pino Pascali, Mona Hatoum, Jeff Koons
(l’altra opera più fotografata). Questi lavori potrebbero essere sostituiti nel
corso del tempo da altri della ricchissima collezione Prada.
SAURO SASSI
SANGUINE – LUC TUYMANS ON BAROQUE
LARGO ISARCO 2 – TEL. 02 56662611
APERTURA: LU/ME/GI 10-19 VE/SA/DO 10-21 CHIUSO MARTEDI’
PREZZO: PROGETTI PERMANENTI E
TEMPORANEI: EUR 15 RID. 12
SOLO PROGETTI PERMANENTI O SOLO
PROGETTI TEMPORANEI: EUR 10 RID. 8
RIDUZIONI: STUDENTI FINO A 26 ANNI.
TESSERA FAI. ACCOMPAGNATORI VISITATORI DISABILI.
INGRESSO GRATUITO: SOTTO I 18 E DAI 65 ANNI. VISITATORI DISABILI.
IL BIGLIETTO CONSENTE L’INGRESSO
ANCHE ALLO SPAZIO OSSERVATORIO, IN GALLERIA VITTORIO EMANUELE, CHE OSPITA PURE
MOSTRE TEMPORANEE E CONSENTE UNA BELLA VISTA DALL’ALTO DELLA GALLERIA. FARSI
SPIEGARE IN BIGLIETTERIA COME ACCEDERE. L’ACCESSO AL BAR LUCE E’ GRATUITO,
COSI’ COME QUELLO ALLA CONFINANTE BIBLIOTECA, CHE CONTIENE ANCHE MAQUETTES
DELLO SPAZIO.
PER ARRIVARE: METRO 3 (LINEA GIALLA)
FERMATA LODI TIBB. ALL’USCITA PRENDERE CORSO LODI ATTRAVERSANDO IL PONTE SULLA
FERROVIA E POI A DESTRA VIA BREMBO. SEGUIRE LA STRADA CHE COSTEGGIA I BINARI
FINO A LARGO ISARCO. IN TUTTO, DALLA FERMATA, UNA DECINA DI MINUTI A PIEDI.
LUNGO IL TRAGITTO SI TROVA IL RISTORANE TAJOLI (DEDICATO AL CANTANTE MELODICO
MILANESE CHE DOMINO’ GLI ANNI ’50 CON CLAUDIO VILLA, GIORGIO CONSOLINI, NILLA
PIZZI) DOVE E’ POSSIBILE DI GIORNO FARE UN PASTO A PREZZO FISSO (CUCINA
POPOLARE MILANESE) A 15 EURO.
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