Another
life
Mi sono girato nel letto per
fermare la sveglia, ho preso gli occhiali e appoggiato la schiena al cuscino.
Avevo cinque minuti per me, prima che tutto ripartisse. In fondo sapevo che
erano i miei soli cinque minuti per riordinare i pensieri, ancora impigliati in
un altro mondo.
Dalle persiane filtrava la prima
luce del giorno, sembrava promettere una giornata grigia, di pioggia, anche se
non ne sentivo il rumore. Un'altra giornata di merda, ho pensato.
Poi lo smartphone ha vibrato per un
nuovo messaggio, come tutte le mattine.
«Sei già sveglio?»
«Sì.» Ho risposto. Lo sapeva che
ero già sveglio, come se aspettasse il momento esatto in cui aprivo gli occhi e
quei cinque minuti fossero una concessione e non un mio piccolo spazio. Questo
mi ha sempre inquietato, forse ero sotto sorveglianza. Gli ultimi istanti del
mio sonno o magari la mia intera notte venivano monitorati per sapere il
momento esatto in cui mi sarei svegliato.
Sei già sveglio. La prima
domanda era sempre uguale. Era un nostro codice di avvio. Come nelle
comunicazioni navali si usava un passo
per dare la parola all'altro marconista.
«Fuori piove.»
«Non lo so. Non ho ancora visto.»
Faceva ancora tutto parte delle
nostre convenzioni. Il tempo non sarebbe stato l'argomento.
«Posso parlarti di una cosa? Se ti
vuoi riposare ancora, magari ne parliamo dopo.»
«Non importa, dimmi.» Tanto non era
vero che ne avrebbe parlato dopo.
«Sono preoccupata.»
«Strano.»
Lo smartphone si è zittito per
qualche secondo, prima di riprendere a vibrare.
«Perché mi rispondi così.»
«Così come?»
«Mi sembra che tu mi prenda in
giro.»
«Ho detto strano per fare una
battuta.» Era vero, mi era venuto così, di scrivere qualcosa d'ironico per
alleggerire la situazione. E mi era venuto questo strano.
«Scusa, mi sembrava che tu mi
prendessi in giro.»
«No, no. Te lo assicuro.»
«È che se inizi anche tu a
prendermi in giro, io non so più a chi parlare.»
«Ci credo.»
Mi ha riposto con un altro
silenzio.
«Era una battuta anche questa?»
«Sì.» No, non lo era. Era
insofferenza. Sempre così. Io avrei voluto spezzarlo questo codice, ma non
avevo il coraggio di andare fino in fondo e levavo la mano all'ultimo istante.
«Se sei stanco magari ci sentiamo
dopo.»
«Mi sono svegliato ora.»
«Vuole dire che sei stanco o
riposato?»
«Vuole dire che ti sto rispondendo.
Che ti ascolto.»
«Senti, lasciamo stare. Se non
vuoi, parliamo un'altra volta.»
«No, no. Dimmi quello che volevi
dirmi.» Sono un vigliacco. Cazzo!
«Davvero, lasciamo stare.»
«Senti scusami per prima, non
volevo, è che ieri è stata una giornataccia.»
«Per colpa mia?»
«Cosa c'entri tu?»
«Ti rovescio sempre addosso le mie
cose.» Lo so. E lo sai anche tu, ma continui a farlo, senza nessuna pietà. Tu
sopravvivi così. Io anche, quando mi dai il tempo di riprendermi. Faccio da
buco di scarico di una persona che conosco appena.
«Che ore sono?»
«Le sette, più o meno.»
«Forse devi andare al lavoro?»
«È domenica.»
«Hai ragione, scusami non ci
pensavo.»
«Lo so.»
Ho pensato di spegnere il telefono,
buttare giù e chiamare la società telefonica per cambiare numero. Subito. Anche
la domenica mattina funziona il servizio clienti? Avevo fatto questo stesso
pensiero decine di volte. Una liberazione immediata. E mi sentivo in colpa
subito dopo.
«Perché questa mattina mi tratti in
questo modo?»
«Ti ho detto che ieri è stata una
giornataccia, forse ho dormito male.»
«E io cosa c'entro?»
«Tu non c'entri nulla, ma sono
preoccupato.» Ho buttato lì.
Ho appoggiato lo smartphone sul
letto mentre lei digitava la sua risposta. Sembrava una giornata normale.
Potevo scendere a fare colazione. Ho pensato di lasciarla, da sola, ad aspettare.
«Lo sai che ormai non riesco a
continuare, se tu non mi rassicuri.» Io ero indispensabile, non dovevo
dimenticarlo.
«Lo so.»
«Sai molte cose.» Forse cercava di
fare la simpatica. Ci provava ogni tanto, quando sentiva che la mia pietà non
era abbastanza.
«Dovremmo vederci uno di questi
giorni.» Ha aggiunto.
«Magari la settimana prossima.»
L'avevo vista solo una volta. Ci
eravamo incontrati su una chat da qualche settimana e volevo conoscerla. In
quel periodo l'idea di andare a incontrare un'altra donna, m'incuriosiva molto.
Ci siamo trovati in un ristorante del centro. Lei era magra. Con un rossetto
troppo forte, si vedeva che non era abituata a truccarsi. Gli occhi però erano
belli, spiccavano sul viso sottile. A vederla così fragile, veniva voglia di
proteggerla.
«Sì, hai ragione, la prossima
settimana.»
Poi siamo stati a lungo in
silenzio, tutti e due. Non sapevo cosa aggiungere e lei sentiva che non era
l'attimo giusto. Un piccolo momento di quiete. Ma era ancora lì.
«Non ti senti bene?» Mi ha scritto
dopo qualche minuto.
«Non tanto. Ti ho detto che è stata
una giornataccia.»
«Io pensavo per via del lavoro. Hai
la febbre?»
«Non credo, almeno non molta.»
«Dovresti riguardarti. Lo sai che
ieri mi è venuta una febbre altissima. Avresti detto che non avevo nulla,
invece mi trascinavo per strada...»
Era partita, non si sarebbe
fermata. Sapevo già che le sue malattie erano quanto di più terribile e
pericoloso potesse accadere. E le causavano delle sofferenze che non potevo
nemmeno immaginare.
«… e poi gli ho chiesto anche altre
analisi, per prudenza …»
Lei continuava a scrivermi quello
che non volevo più leggere. Le solite fissazioni, i soliti problemi. Io pensavo
che avevo fame e volevo uscire da lì. Mi veniva in mente una canzone di non so
più quale gruppo.
Yet another day of distress
Not for me / different sense to live
Every morning / I recall my number
Mentre mandava un post dopo l'altro
riuscivo solo a pensare che non ne ricordavo il titolo.
«Sai, ora ho un gran mal di testa.»
Le ho scritto a un certo punto. Ci ho provato.
«Davvero? Io questa notte non ho
dormito da quanto mi faceva male … »
«Ti assicuro che fa molto male
anche a me.»
«… non puoi capire che dolore
avevo, poi ho preso … »
Ha iniziato a raccontarmi del suo
mal di testa. Aiuto. Nei film, a questo punto, succede qualcosa e il
protagonista si salva. Io
avevo solo la mia canzone.
You need another reason
Rewind / small incident in mind
When you trying delete your
prison
Poi si deve essere accorta di
qualcosa. Che stavo sfuggendo. È sensibile la stronza.
«Ti sento lontano.»
«Te l'ho detto non mi sento bene.
Dovrei chiamare un medico.»
Forse stava valutando cosa fare se
ci lasciavo le penne. Magari al funerale mi avrebbe fatto fare un figurone, con
la sua disperazione. Oppure ci sarebbe venuta per cercare un sostituto.
«Se non ti senti bene, allora ti
lascio riposare.»
«Sì, forse è meglio.»
«Ti messaggio dopo, per sentire
come stai.»
«Sì, facciamo così, grazie.»
«Allora ciao.»
«Ciao, a dopo.»
No more doubts / and apathy
No more drugs / running
away
I dont want / another life
Questa volta non era andata così male. Prima del prossimo messaggio avevo
un po' di tempo. Mi sono alzato e sono andato in bagno per pisciare. Non ero
riuscito a fare neanche quello. Davanti alla tazza mi è venuto in mente il
titolo della canzone. Il gruppo no, quello non me lo ricordavo.
Un'altra vita. La volevo anch'io.
Nicola Pera
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