IL SOFFIO
Natty Patanè
sottofondo consigliato: "Rain in your black eyes" E. Bosso
Non piove più.
Era ieri, forse, che sentiva ancora il tumulto di un amore
che lento si spegneva, ma più probabilmente era in un tempo ben più antico,
perso come un ricordo che sbiadisce.
Il borbottio lo spinse verso la
caffettiera, si riempiva le narici del vapore aromatico che sinuoso si spandeva
dalla tazza, passò una mano sotto la maglietta stropicciata della notte e
poggiò la fronte sul vetro.
Fuori le piante erano lievemente imperlate e il
sole si era già fatto abbondandemente largo sparpagliando frammenti di raggi
sull’acqua che sciabordava nella caletta.
Quante volte avevano attraversato
quei pochi metri, gli sembrava quasi di vedere coppie di passi incisi sull’asfalto.
Un dito sul pulsante e in pochi istanti sullo schermo le
prime pagine dei giornali lo riportarono indietro di qualche anno, stavano la a
cogliersi gli sguardi, affannati, persi, avvinghiati.
Dopo la doccia si
erano trascinati quasi contro voglia giù per la discesa di basalto, costeggiando la
linea ferroviaria, di fronte un portone spalancato, uno di quei portoni con mascheroni
scolpiti nella lava, da dentro fioche luci di candeline accese tra palme e
banani, si guardarono spaesati e complici poi, senza accorgersi quasi si
lasciarono rapire da quelle mani che volavano sui tasti e da due violoncelli
energici e quasi violenti a contrastare con la dolcezza di parole che
intervallavano la musica.
Ricordava bene quella sensazione di emozione che aveva
provato trattenendo a stento le lacrime in imbarazzo per non saper
eventualmente spiegarne il motivo.
Un crescendo, e tienimi la mano, tienimi la mano illusione,
soffiami sul collo assenza, baciami, baciami profondo sogno che non ci sei.
Tutto tacque poi e si ritrovò il vuoto attorno e solo come forso era andato.
Si scostò dal vetro e guardò le foto scattate in quel
ristorante abbandonato, si erano intrufolati dalla recinzione semiaperta e
aveva fatto foto ovunque, ad ogni catasta di detriti, agli specchi coperti di
polvere e salsedine, alla terrazza affacciata sullo Jonio scuro, alle scritte
oscene sui muri.
E gli sembrò così tanto, tanto tempo fa.
Uscì di casa lasciando la tazza e il caffè.
Fuori il mondo sembrava emergere, affamato di vita, di cose
usuali, incurante, scelse il suo solito posto e alzando il mento inspirò forte, aprì le braccia ed immaginò di librarsi ancora al suono di quel brano che
lo aveva tanto emozionato.
Solo
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