La RECA esprime dissenso e sconcerto sulla decisione del Ministero Transizione Ecologica di firmare 7 decreti Via (Valutazione impatto ambientale) che hanno ad oggetto rinnovi di concessioni, progetti di messa in produzione di pozzi petroliferi e di perforazione per gas in varie regioni d’Italia. Chiediamo che la Regione prenda posizione contraria e la esterni al governo (finora lo ha fatto solo la Vicepresidente Elly Schlein ma a titolo personale e del suo partito), La nostra regione è una delle più interessate da queste trivellazioni: 2 nuovi pozzi nel tratto di mare tra Ravenna e Rovigo, 6 nuovi pozzi estrattivi nel modenese a terra e un pozzo nel bolognese.
Sappiamo che la moratoria
entrata in vigore il 12 febbraio 2019 dava 18 mesi di tempo per sviluppare un
Piano per la Transizione Energetica delle Aree Idonee (PiTESAI), e quest'ultimo
di deroga in deroga, non è mai
arrivato. Abbiamo bisogno di una legge che stabilisca un
termine ultimo alla validità delle
concessioni per l’estrazione
di idrocarburi al
massimo entro il 2040, come fatto in Francia.
Ne frattempo, il Mite non si
sta neppure impegnando a ridurre e azzerare i “Sussidi ambientalmente dannosi” e i progetti di energia rinnovabile,
avanzano a rilento tra mille ostacoli burocratici.
E mentre si trivellano
inutilmente terre e mari nostrani, si costruiscono centinaia di km di
metanodotto per importare gas dall'estero. E' il famoso TAP/SNAM, che dalla
Puglia è arrivato fino a Sulmona. La Rete
Adriatica si aggiungerebbe alla rete nazionale Gasdotti già esistenti: centinaia di km di tubature,
da realizzare tra Sulmona (Aq), e Minerbio (Bo) attraversando aree ad alto
valore naturalistico dell'Appennino Umbro, Marchigiano, ed Emiliano-romagnolo,
come la Valmarecchia e la Valle del Savio , all'insaputa degli abitanti di quei
luoghi. Il 16 aprile due NGO statunitensi, convocate dal Coordinamento No hub
del gas, hanno utilizzato una speciale tele-termocamera per
verificare le perdite di metano nei pressi della centrale SNAM di Sulmona,
sulla base di studi che attestano perdite in generale dal 2,5 fino al 10% di un
gas enormemente più climalterante
della CO2.
Quale sarà l'impatto ambientale di questi lavori su ecosistemi fragili come le montagne? E a quale scopo investire tutti questi soldi in gasdotti se dobbiamo presto abbandonare il gas? Tanti comitati stanno sorgendo nei territori contro questo mega gasdotto di diametro 1,20 metri, che attraverserà zone ad alto rischio sismico, e ad elevato dissesto idrogeologico.
Sul fronte foreste, altre brutte notizie. In
un post su Facebook del ministro Patuanelli si legge che l’Italia
deve “incrementare i prelievi” dalle
foreste, allo scopo di ridurre le importazioni di legname dall’estero
e “migliorare la gestione dei boschi”.
Il GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane, associazione scientifica che si occupa della tutela del patrimonio forestale italiano, esprime fortissima preoccupazione per queste parole che rappresentano un altro attacco alle foreste del nostro paese, già sovra sfruttate. I boschi italiani stanno aumentando di superficie, è vero, ma rimangono di bassa qualità: hanno bassi livelli di biodiversità e producono pochi metri cubi di legname per ettaro.
La fame insaziabile delle centrali a biomasse
forestali, non si placa sul legname nostrano e implica l'importazione da paesi
esteri.
La comunità scientifica
ha più volte avvertito come la combustione delle biomasse su
larga scala sia tutt’altro che neutrale rispetto alle
emissioni di carbonio in atmosfera: è fortemente
climalterante, fonte di emissioni nocive per la salute e dannosa per gli
ecosistemi. Per fermare queste importazioni bisognerebbe puntare su energie
veramente rinnovabili e prodotte con criteri sostenibili, quali solare ed
eolico senza consumo di suolo (e con attenzione alle rotte migratorie) e per la
maggior parte in ambito di microproduzione e microdistribuzione, con ricorso
marginale ai grandi impianti solo ove imprescindibili.
Per quanto riguarda le importazioni da “legname
da opera”, è vero che da noi ci
sono pochi alberi adatti, ma proprio perché da
noi imperversa la gestione a ceduo, con
tagli ravvicinati, buona solo per produrre legna da ardere.
Il ministro quindi non bloccherà la
nostra dipendenza dall'estero, ma otterrà solo
di depauperare ulteriormente il patrimonio forestale italiano.
Le foreste sono già messe a rischio dagli incendi, dal disboscamento, dai cambiamenti climatici e dal sovra-sfruttamento. L’aumento dei tagli per sfamare la fame di legname delle centrali a biomasse forestali per la produzione di energia elettrica costituisce un’ulteriore minaccia per il nostro patrimonio forestale. La “transizione ecologica” non può essere fatta a colpi di motosega sui nostri alberi e di trivelle in terra e mare.
Ci aspettiamo che coerentemente con le
dichiarazioni di impegno verso la salvaguardia del clima e dei territori, la
nostra Regione prenda posizione!
La Rete Emergenza Climatica e Ambientale dell’Emilia Romagna (RECA ER) è un coordinamento di organizzazioni del territorio che hanno deciso di unire le forze per amplificare la voce della società civile e dei movimenti sociali, preoccupati per l’inadeguatezza e l’incoerenza con cui si sta gestendo l’emergenza climatica. La Rete è sorta nel febbraio 2020, poco dopo l’elezione di Stefano Bonaccini al secondo mandato di Presidente della Regione Emilia-Romagna, attraverso una lettera che chiedeva di coinvolgere la collettività e la cittadinanza attiva nelle scelte ambientali della Regione, che è una delle più inquinate d’Europa.
Oggi la Rete Emergenza Climatica Ambientale conta l’adesione di 75 associazioni e comitati. Attraverso un percorso di assemblee, si è data una struttura con 3 coordinatori, un comitato tecnico-scientifico e un ufficio di comunicazione.
COME É NATO IL PATTO PER IL CLIMA?
Nel luglio 2020 in Regione si è cominciato a parlare di un “Patto per il Lavoro e per il Clima”, un documento che dovrebbe raccogliere gli obiettivi più importanti della transizione ecologica da svolgersi in questo mandato amministrativo per risolvere i problemi legati agli imminenti cambiamenti climatici a partire dal consumo di risorse fino al problema del lavoro: come uscire dalla dipendenza dal combustibile fossile, come raggiungere la neutralità climatica, come tagliare le emissioni di inquinanti e CO2, come accompagnare il tessuto produttivo e le parti sociali alla transizione ecologica.
Il patto sarebbe dovuto essere una possibilità aperta a tutte e tutti di esprimersi e di progettare nuove azioni per il clima, condividere informazioni, avviare attività di base e illustrare soluzioni che possono essere adottate anche dai singoli firmatari. Il 15 dicembre 2020 la Regione Emilia-Romagna ha siglato il “Patto per il Lavoro e Clima” insieme a 55 soggetti: imprese, sindacati, enti locali.
SCARICA IL PATTO PER IL CLIMA E PER IL LAVORO
https://pattoperilclimaeperillavoro.it/come-e-nato-il-patto-per-il-clima/
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