ANSELM KIEFER: VENEZIA NASCE, MUORE,RINASCE
Non si può dire che nell’Italia, dopo la seconda guerra mondiale, ci sia stata una
grande attenzione per l’arte contemporanea, a causa della cultura tradizionalista
che riguardava anche i rappresentanti della classe politica e di governo, senza
eccezioni. Così molte delle opere principali del Futurismo e della Metafisica sono
finite all’estero, e i lavori di Lucio Fontana si trovano più facilmente nei musei
tedeschi che nei nostri. E la collezione Panza di Biumo, che raccoglieva opere
fondamentali di Pop Art e Minimal Art, dopo essere stata inutilmente offerta a varie
istituzioni italiane, è finita al MOCA di Los Angeles e al Guggenheim di New York. Ciò
nonostante, grazie a qualche amministratore o privato illuminato, conserviamo
almeno due opere contemporanee fondamentali, di quelle che resteranno nella
storia dell’arte: il Cretto di Burri a Gibellina, voluto a memoria del tremendo
terremoto dal sindaco Corrao, e Le Sette Torri Celesti di Anselm Kiefer, al Pirelli
Hangar Bicocca di Milano, enorme spazio aperto gratuitamente al pubblico, gestito
dall’omonima fondazione. Chi avesse visto questa installazione non può non essere
rimasto profondamente colpito da un’opera complessa, piena di riferimenti culturali
e dal grande impatto emotivo. Ora, grazie alla direttrice della Fondazione Musei
Civici di Venezia Gabriella Belli, c’è l’opportunità di ammirare una splendida mostra
dell’artista tedesco nel luogo che è stato il fulcro del potere nella città, che ne
rappresenta ancora il simbolo più potente, con la fiancheggiante Chiesa di San
Marco e il Campanile: il Palazzo Ducale. La Belli ha chiesto a Kiefer di realizzare un
ciclo di opere che si ricolleghino alla storia veneziana, mettendogli a disposizione
una sala enorme, quella dello Scrutinio, dove si svolgeva la verifica del voto per
l’elezione del Doge, che si teneva nella vicina e ancor più grande Sala del Maggior
Consiglio, che poteva ospitare fino a tremila elettori. Luoghi dove è transitata la
storia, anche culturale, perché la Sala dello Scrutinio aveva ospitato i manoscritti di
Petrarca e Bessarione, prima che venissero trasferiti alla Biblioteca Marciana
progettata da Sansovino. Anche simbolo della precarietà delle cose umane, perché
fu devastata da un incendio del Palazzo nel 1577, che distrusse affreschi e decori,
per cui si ricorse ai maggiori pittori del tempo per tornare a rivestirne le pareti.
Kiefer è artista attento alla storia, a partire dalla sua biografia: nato nel 1945, ha
visto la Germania distrutta e ha riflettuto a lungo sull’Olocausto. Nel suo lavoro sono
presenti riferimenti alle tragedie della storia, anche nei materiali che usa. I suoi
quadri e le sculture sono di grandi dimensioni, e contengono polvere, rami, colla,
materiali inerti, piombo (ha usato anche il piombo che rivestiva i tetti del duomo di
Colonia, testimone della storia), legni bruciati, a volte anche sangue e sperma. Del
tutto logico, quindi, che la Belli si sia rivolta a lui, un umanista, dotato di grande
cultura, che ha inserito nelle sue opere versi di Paul Celan e Ingeborg Bachman e che
da anni riflette sul pensiero di Andrea Emo, filosofo sui generis, veneziano, i cui
scritti vennero scoperti e rivalutati, dopo la sua morte (1983), da Massimo Cacciari.
Avvenne, nel leggerli, che l’artista sentì una straordinaria rispondenza con il suo
lavoro, come se la scrittura di Emo avesse raccontato e giustificato il suo operare,
traducendo in parola la sua arte. Il filosofo non giustappone il nulla e l’essere, il
momento della realizzazione di qualcosa è anche quello della sua negazione, la cosa
presuppone il nulla. Secondo Emo l’artista è un iconoclasta, che distrugge il suo
lavoro, e questo corrisponde all’operare di Kiefer, che intende l’opera come il
risultato di un processo incessante di lotta, distruzione e ricostruzione, abrasione,
danneggiamento, esposizione agli elementi naturali e, infine, trasformazione e
rinascita (Kiefer è anche molto interessato all’alchimia). Così l’artista ha pensato
questa serie di lavori come un viaggio nella storia di Venezia, dalla fondazione alla
gloria, dall’incendio del palazzo alla ricostruzione e, forse, a una nuova, futura
distruzione, cui seguirà una rinascita. Ha quindi intitolato il ciclo con parole del
filosofo: “Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di
luce”. Quindi anche il fuoco che distrugge concorre al movimento incessante della
materia, del pensiero e della storia. Questa frase viene trascritta nel primo lavoro,
posto in una sala più piccola, che precede l’enorme salone, ed è già un impatto
forte, con i libri bruciati inseriti nella tela. Entrando poi nella Sala dello Scrutinio si è
circondati dalle gigantesche tele, che nascondono, come una seconda pelle, i teleri
originali dei grandi pittori veneti. C’è un contenuto narrativo, che parte dalla tela
che si incontra su una delle pareti più brevi, appena entrati. Come quasi tutte, è
divisa in due, una parte terrestre e una celeste. Sono unite da un’alta scala (la biblica
Scala di Giacobbe) che collega la terra, una palude, le origini di Venezia, al Cielo, il
divino, il suo destino di gloria. Ma la scala non è solida, appare precaria, come le
gigantesche Torri Celesti in cemento all’Hangar Bicocca, come il destino umano e del
pianeta. Proseguendo, su una delle pareti lunghe vediamo un’opera più astratta,
anch’essa caratterizzata da una luce che scende dall’alto, a collegare il divino al
terreno. Si tratta di quelle che Kiefer chiama “Emanazioni”, derivate dalla Kabbalah,
il pensiero esoterico rabbinico, ancora un collegamento tra terra e cielo, astratta
divinità e concreta corporeità, anche un dialogo con la gigantesca tela del
“Paradiso”, di Tintoretto, nella Sala del Maggior Consiglio, dove la luce, originata
nella Divinità, scende sui beati ma anche sulla gloriosa e luminosa città di Venezia.
Segue una tela in cui ancora un paesaggio paludoso rimanda alle origini della città e,
in alto, una bara vuota ricorda la vicenda del corpo di San Marco, trasportato a
Venezia da Alessandria d’Egitto e che fu perso nell’attesa di costruire la chiesa a lui
dedicata, che doveva ospitarlo. La leggenda narra del successivo ritrovamento ma
Kiefer sembra suggerire che ancora la ricerca debba continuare, così come quella
dell’umanità. La tela successiva presenta, in alto, una processione di carrelli della
spesa, che allude ai traffici commerciali di Venezia, così come i sommergibili
(presenza cara a Kiefer) in basso. Sulla parete che fronteggia il dipinto con la Scala di
Giacobbe, ancora una parte bassa con un paesaggio ghiacciato e una superiore che è
un trionfo di colori caldi, omaggio a Tintoretto e Turner, forse richiamo ai
cambiamenti di clima. La sequenza sull’ultima parete inizia con un dipinto scuro,
solcato da un sommergibile che sembra avvolto da una scia luminosa orizzontale.
Sembra evocare tempi difficili, drammatici. Il quadro successivo contiene elementi
riconoscibili in alto: un leone di San Marco dorato, il palazzo Ducale in fiamme; in
basso un’umanità senza volto, tutti gli esseri umani che fanno e subiscono la storia.
L’ultimo dipinto è astratto: ancora tre strisce di luce che attraversano verticalmente
la tela e forse la suggestione di quella distruzione che, secondo Andrea Emo e Kiefer,
precede la rinascita. L’artista tedesco è erede della tradizione romantica, in
particolare di Caspar David Friedrich e del suo tema dell’uomo solo davanti alla
natura; di una idea di arte come corpo a corpo grandioso e drammatico con l’opera
(contrariamente a molti colleghi lavora da solo, non delega ad assistenti e artigiani),
di una visione umanistica che coniuga l’arte visiva con il pensiero filosofico, la
poesia. Ci parla di Venezia, di un passato drammatico e glorioso e un futuro incerto
che è anche quello dell’umanità, tra guerre, mutazione ambientale, movimenti di
popoli. Nella speranza che da tutti questi fuochi nasca nuovamente un po’ di luce.
SAURO SASSI
ANSELM KIEFER
QUESTI SCRITTI, QUANDO VERRANNO BRUCIATI, DARANNO FINALMENTE UN PO’
DI LUCE (ANDREA EMO)
VENEZIA PALAZZO DUCALE – SALA DELLA SCRUTINIO
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