UGO MULAS A VENEZIA. LO STATUTO, IL SENSO, I DISPOSITIVI DELLA FOTOGRAFIA



Due sono i fotografi italiani più importanti del ‘900 che, anche in una vita breve, hanno lasciato un segno come nessun altro in quella che ancora oggi si fatica o non si vuole definire come arte: Ugo Mulas e Luigi Ghirri. Li dividono quindici anni, Mulas nato nel 1928 e Ghirri nel 1943, ed entrambi non raggiunsero i cinquant’anni.


Misero la fotografia in rapporto con l’arte contemporanea, la musica, la filosofia, sottraendola a una funzione puramente illustrativa. Grazie ai loro molteplici interessi e frequentazioni culturali, poterono sottrarsi al feticismo degli apparati tecnici, considerando la macchina fotografica uno strumento come altri per sviluppare un discorso che contenesse non solo l’elemento visivo ma anche quello del pensiero, dell’analisi critica sulla visione. Mentre Ghirri è celebrato con numerose mostre, in particolare nella sua Emilia (attualmente a Reggio e Guastalla), presso i locali della Fondazione Cini, all’isola di San Giorgio a Venezia, è possibile vedere la più vasta presentazione mai fatta dell’opera di Mulas. 

La Fondazione Cini ha trasformato la bellissima isola di San Giorgio in un centro di produzione di arte e pensiero di livello internazionale, che coinvolge l’Abbazia, la Basilica palladiana, i locali che ospitano “Le stanze del vetro” e, ora, anche “Le stanze della fotografia”, che precedentemente svolgevano la propria attività alla Casa dei Tre Oci, nella vicina isola della Giudecca. Da anni le “Stanze della fotografia” propongono mostre di importanti fotografi, italiani e internazionali, e, in questo cambio di sede, hanno scelto di inaugurare con le mostre di Mulas e di Alessandra Chemollo, la quale, vivendo a Venezia, propone un’esplorazione per immagini di una città che, nonostante sia la più fotografata del mondo, riserva sempre, a un occhio non banale, nuove scoperte. Ugo Mulas, nato in provincia di Brescia, ha avuto, nella sua breve vita, la possibilità di attraversare uno dei periodi più intensi e creativi del dopoguerra, gli anni sessanta, in uno dei luoghi dove al massimo si concentravano artisti, intellettuali, uomini di genio. La città era Milano, la zona Brera, il luogo il bar Jamaica, dove si potevano incontrare Lucio Fontana e Piero Manzoni, Giuseppe Ungaretti e Salvatore Quasimodo, Luciano Bianciardi e Nanni Balestrini. E anche
fotografi, come Mario Dondero e Uliano Lucas. 

Il giovane Mulas, non ancora certo su cosa fare nella vita, si vide mettere in mano una macchina fotografica, ricevette poche istruzioni, andò in stazione centrale e nelle periferie e cominciò a scattare. Così, grazie al caso, nacque una grande vocazione che si consolidò grazie alla guida e all’amicizia di Dondero, fotografo giramondo, uomo di grande fascino e generosità. Nel 1954 andarono a Venezia, a realizzare un reportage sulla Biennale Arte, e il
contatto con gli artisti aprì a Mulas uno spazio di riflessione e rappresentazione che resterà fondamentale nella sua attività. Lavorò poi a Milano per l’industria, la pubblicità, la moda, il teatro, collaborando col Piccolo di Strehler. Nel 1962, un altro momento fondamentale fu l’invito a Spoleto, a fotografare la mostra “Sculture nella città”. Per la prima volta tutta una città ospitò sculture, spesso di grandi dimensioni, realizzate da artisti contemporanei e installate in punti scelti dagli stessi, creando un rapporto vivo e attivo con questa splendida, antica cittadina, mescolando mirabilmente le bellezze del passato e l’arte contemporanea. Mulas ebbe modo di conoscere diversi scultori e di frequentarli durante il lavoro, dando vita a una documentazione fondamentale nella storia dell’arte pubblica nel tempo presente.
Consolidò il suo metodo di approccio all’arte contemporanea, che consisteva in primo luogo nella conoscenza degli artisti e quindi nell’instaurazione di un rapporto amicale che permetteva di documentarne il lavoro sia dal punto di vista tecnico che per le motivazioni che lo determinavano. Uno dei momenti alti fu il rapporto con Alexander Calder, l’ideatore delle sculture colorate che, in fragile equilibrio, si muovevano nell’aria. Tra i due nacque una profonda amicizia che permise a Mulas di ritrarre l’artista americano non solo al lavoro ma anche nel quotidiano, dove esprimeva ironia, vocazione al gioco, mettendo in contrasto la sua mole fisica considerevole con atteggiamenti da bambino gioioso. Il 1964 fu l’anno dell’arrivo a Venezia della Pop Art americana, col premio della Biennale attribuito a Rauschenberg. 

Mulas comprese l’importanza di questo momento di evoluzione e che il centro dell’arte era ormai negli Stati Uniti, quindi decise di recarvisi e documentarlo. Ne uscì un lavoro fondamentale per la comprensione di questa nuova arte. Mulas rappresentava gli artisti all’opera e, con inserti didascalici, a fianco delle foto descriveva anche le loro modalità di lavoro, le intenzioni, realizzando un grande e irrinunciabile affresco di quella fondamentale fase storica. Rivendicava il suo ruolo non solo di testimone e documentatore ma di interprete e interlocutore con l’artista, invitando a considerare la foto come il risultato di un lavoro non solamente ottico ma soprattutto mentale, che creava una sua chiave di lettura specifica. L’esempio più famoso di questo atteggiamento si ritrova nella sequenza “L’Attesa” realizzata nel laboratorio di Lucio Fontana. L’artista era nella fase dei “Tagli”, spesso non compreso e deriso. Lo scopo di Mulas era mostrare la concentrazione, la tensione che c’erano dietro un gesto apparentemente così semplice come quello di tagliare una tela. Ha quindi realizzato una specie di set teatrale: nella prima foto Fontana appare di spalle davanti alla grande tela, in primo piano il braccio disteso in basso, con una manica di camicia bianca, e la mano che
stringe il taglierino. Questo momento, diceva Fontana, può durare a lungo, è questo il tempo che c’è dietro un’azione che poi sarà fulminea. Nella foto successiva Fontana, sempre di spalle, si avvicina alla tela, che appare più grande di lui, il braccio sollevato nel punto di inizio del taglio. Nelle immagini successive, riprese di fianco in controluce, ancora il braccio teso con la lama accostata alla tela in primo piano. L’ultima immagine è stata realizzata con un artificio, mettendo una tela già tagliata e fotografando Fontana di fianco, sempre in controluce, il braccio in basso la mano mossa come se avesse appena eseguito il taglio. Tutta la sequenza descrive il senso del lavoro: il momento concettuale, il tempo dell’attesa; l’azione, che apre uno spazio teoricamente infinito dietro la tela; la conclusione. Dopo la documentazione della Biennale della contestazione del 1968 Mulas entrò in una fase di ripensamento analitico sul processo fotografico: gli strumenti, lo sviluppo, l’interpretazione
dell’immagine, la materia, il linguaggio, in linea con un momento di riconsiderazione concettuale che attraversò il mondo dell’arte. Prese così avvio una delle fasi più affascinanti del suo lavoro, che chiamò le “Verifiche”. Sono 14 indagini analitiche che partono da un omaggio a Niepce, colui che per primo ottenne un’immagine stabile su una superficie sensibile riprendendo ciò che si vedeva dalla sua finestra (nel 1826). 

Mulas prese una pellicola vergine sviluppata e stampata a contatto, mettendo il foglio di carta sensibile sotto l’ingranditore, poi il negativo tagliato a strisce tenuto da una lastra di vetro appoggiata sopra. Della pellicola fanno parte anche lo spezzone iniziale, che si avvolge brevemente avanti il primo scatto, e quello finale, dove si aggancia al rullo. Queste parti ovviamente prendono luce e sono bianche. L’immagine finale rappresenta la pellicola nera salvo le parti laterali e quelle iniziale e finale che sono bianche, così come il perimetro definito dalla lastra di vetro. Quindi abbiamo solo la foto di una pellicola, coi 36 fotogrammi vuoti, la pura superficie sensibile, la madre di ogni immagine. Le successive 13 verifiche
analizzano la macchina fotografica, il tempo, l’uso della fotografia, l’ingrandimento (2 foto), il laboratorio, gli obiettivi, il sole, il formato, l’ottica, la didascalia, l’autoritratto. Quest’ultima verifica mostra un assioma: l’uomo vede tutto tranne il proprio volto, quindi il ritratto della moglie è a fuoco mentre il suo risulta sfocato, in qualche modo una premonizione della sua fine imminente. Infine, la quattordicesima immagine sancisce la fine delle verifiche e riprende la prima ma con il vetro che copre la pellicola spezzato. Mulas ha dedicato questa verifica a
Duchamp, sia perché l’opera finale del francese è un grande vetro spezzato, sia per l’influenza che ha avuto su tutta l’evoluzione artistica dal ‘900 ad oggi, non tanto la
produzione quanto proprio il pensiero, il modo di porsi nei confronti dell’arte. 

Si dirà che oggi la fotografia è una cosa totalmente differente e che quindi queste verifiche
risultano datate ma quello che importa è l’esigenza, anche etica, di porsi il problema dell’immagine, dei modi di produzione e manipolazione, di uno sguardo analitico e
critico. In questo le verifiche di Mulas hanno ancora una grande importanza, oltre ad essere un’opera affascinante per la loro bellezza teorica e visiva. Aggiungo che le ragioni per recarsi all’isola di San Giorgio, e magari sostarvi un’intera giornata, anche per ammortizzare il costo del vaporetto, sono anche altre. La Fondazione Cini propone visite guidate, su prenotazione, dei locali dell’Abbazia benedettina, con lo scalone del Longhena, il chiostro del Palladio, quello dei Buora, la biblioteca del Longhena, il Cenacolo, che ospitava l’enorme dipinto delle Nozze di Cana del Veronese, ora al Louvre, che è presente in una riproduzione nella stessa
scala. Una seconda visita riguarda il labirinto di Borges, grande installazione vegetale
ispirata agli scritti dello scrittore argentino. La terza, che consiglio, è quella delle “Vatican Chapels”, nel bosco dell’isola: 10 cappelle realizzate nel 2018 su progetto di importanti architetti, nell’ambito della Biennale Architettura, inserite in un bellissimo contesto naturale e che ora, in occasione della nuova edizione della Biennale, ospitano una mostra fotografica intitolata “Sacred Landscapes”: le foto, adagiate sul terreno, dialogano con le architetture in modo particolarmente suggestivo. Sempre sull’isola, alle “Stanze del vetro”, una bellissima mostra, a ingresso libero, dedicata a sei maestri del vetro boemo contemporaneo.

Nell’abbazia palladiana, che i monaci hanno voluto ospitare opere di arte contemporanea, la scultrice austriaca Helga Vockenhuber ha allestito una grande e intensa installazione sul motivo della corona di spine. Infine, altri locali e il giardino ospitano il padiglione del Vaticano nell’ambito dell’attuale Biennale Architettura. Uno studio di architetti italiani e il grande maestro portoghese Alvaro Siza hanno realizzato un bellissimo allestimento su un tema particolarmente caro a papa Francesco: l’incontro. Gli spazi interni sono stati utilizzati per la descrizione del progetto e popolati di sculture in legno raffiguranti persone che compiono gesti di amicizia, di apertura all’altro, mentre il giardino è stato riprogettato con piante e
ortaggi di varie provenienze, spazi in legno ricavati da una vecchia abitazione smantellata, dedicati alla sosta e ai rapporti umani tra i visitatori.


UGO MULAS. L’OPERAZIONE FOTOGRAFICA
ALESSANDRA CHEMOLLO. “VENEZIA. ALTER MUNDUS”
PRESSO LE STANZE DELLA FOTOGRAFIA, ISOLA DI SAN GIORGIO A VENEZIA. APERTO TUTTI I GIORNI TRANNE MERCOLEDI’ DALLE 11 ALLE 19. FINO AL 6/8/2023
BIGLIETTO INTERO EUR 14. RIDOTTO EUR 12 (UNDER 26, OVER 65, TESSERA COOP
ALLEANZA, TOURING, FELTRINELLI…). RIDOTTO SPECIALE EUR 9 PER POSSESSORI
BIGLIETTI DI INGRESSO A MOSTRE PRESSO GALLERIE D’ITALIA DI INTESA SANPAOLO.
PER LE VISITE GUIDATE ALLA FONDAZIONE CINI E ALLA MOSTRA PRESSO LE
CAPPELLE VATICANE PRENOTAZIONE ONLINE SUL SITO DELLA FONDAZIONE.
LE INSTALLAZIONI ALLA BASILICA DI SAN GIORGIO, E QUELLA DEL PADIGLIONE
VATICANO ALLA BIENNALE ARCHITETTURA E LA MOSTRA “VETRO BOEMO. I GRANDI
MAESTRI” ALLE STANZE DEL VETRO SONO A INGRESSO LIBERO.
L’ISOLA SI RAGGIUNGE CON TRAGHETTO LINEA 2, DIREZIONE SAN GIORGIO, DALLA
STAZIONE, PIAZZALE ROMA, O SAN ZACCARIA PRESSO SAN MARCO.

Sauro Sassi



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