KIEFER A FIRENZE: L' UMANITA’ DELL’ANGELO

 KIEFER A FIRENZE: L'UMANITA’ DELL’ANGELO




Anselm Kiefer (Donaueschingen, Baden-Wurttemberg, 1945, poco dopo la fine dellag uerra) è uno dei più famosi e ammirati artisti visivi viventi, e anche dei più attivi. InI talia, due anni fa, ha realizzato una grande mostra al Palazzo Ducale di Venezia.

Successivamente ha esposto nella sede napoletana della galleria Lia Rumma, con uno maggio a Segantini. Approda ora nello spazio prestigioso di Palazzo Strozzi a Firenze, in un luogo che ha visto, negli ultimi anni, esposizioni personali, tra gli altri, di artisti contemporanei come Bill Viola, Ai Weiwei, Tomas Saraceno, Jeff Koons e, subito prima di questa, Hanish Kapoor. Suscitava curiosità vedere come Kiefer si sarebbe rapportato con questo edificio, capolavoro di architettura rinascimentale, e anche su quali temi avrebbe impostato la mostra, essendo il suo lavoro complesso, stratificato, ricco di riferimenti culturali. 

Alla base, la filosofia presocratica e quella nichilista di Andrea Emo, ma anche Leibniz, Nietsche, Heidegger; la storia, intesa come dramma, a partire dalla Germania del nazismo e della Shoa, e l’oscurità della sua mitologia. Si arricchisce di riferimenti mistici, esoterici, assunti dalla Cabala ebraica, dalle teorie alchemiche. Attinge alla grande poesia di Paul Celan, Ingeborg Bachmann, alla letteratura. E’ imbevuto della cultura romantica dell’Ottocento tedesco. Nei suoi lavori, sempre più grandi, usa colori spenti, opachi; inserisce materie inorganiche come piombo, carbone e organiche come paglia, semi, sangue, sperma.

Usa il fuoco per bruciarli, come Burri; li lascia all’aperto, sottoposti agli eventi atmosferici, come Munch; o, addirittura, li seppellisce o sottopone a processi elettrolitici perché sostiene che l’opera debba essere in continua trasformazione, dalla sua distruzione viene rinascita (questo concetto era al centro della mostra a Palazzo Ducale a Venezia, il cui titolo derivava da una frase del filosofo Andrea Emo:

“Questi libri, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce”). Guarda al lavoro di Joseph Beuys, che gli ha mostrato la possibilità dell’uso dei materiali più disparati, anche destinati a deperire o distruggersi, se utili a sviluppare un pensiero; a Caspar David Friedrich e alla sua rappresentazione dell’uomo solo che, eroicamente, si confronta con la potenza della natura.

A Palazzo Strozzi, decide di rispettarne la struttura rinascimentale (contrariamente a quando fatto, ad esempio, da Kapoor nella mostra che ha preceduto, che ne aveva stravolti gli spazi con specchi e macchine mobili), segno del rispetto che la cultura tedesca ha sempre avuto per quella antica italiana. Il tema che ha scelto è “Angeli caduti”, ispirato a tele di Luca Giordano (quindi barocco) e ai temi, che gli sono cari, della lotta tra bene e male ma anche dell’ambiguità di questi termini (si dice contro il manicheismo) e al tema leibniziano della teodicea, cioè della contraddizione tra la natura onnipotente di Dio e la sussistenza del male. 

Il fatto di limitare Il titolo a queste due parole toglie il riferimento alla ribellione degli angeli (i dipinti di Luca Giordano e molti altri artisti, da Bosch, a Brueghel, a Rubens si intitolano “La caduta degli angeli ribelli”) e porta a pensarli come umani, impastati di bene e male, portatori di quella dualità che è presente nel pensiero di Kiefer. Come sempre, a Palazzo Strozzi, le mostre iniziano dal cortile, qui con un enorme quadro intitolato “Caduta dell’angelo”. Sono nettamente distinti un piano superiore, caratterizzato dal fondo oro, che nella pittura antica rappresenta il luogo del divino, abitato dall’arcangelo Michele, e uno inferiore, terreno, dove l’angelo caduto è riverso, tra indumenti e rifiuti. Mentre sopra domina la luce sotto c’è oscurità, materia che si addensa e decompone, che si ingrossa e grava sulla tela. 

La prima opera dentro il palazzo è dedicata a “Lucifero” il principe degli angeli ribelli, il “portatore di luce”, che precipita come un abito sformato mentre, sopra di lui, un’ala di aereo reca in oro la scritta ebraica “Michele”. L’aereo, che è simbolo di vita e libertà ma anche di distruzione e morte. Le opere successive sono dedicate a Eliogabalo, altro angelo caduto: l’imperatore romano, di origine siriana, che voleva portare a Roma il culto del dio Sole, come sacerdote e come sua reincarnazione. Eliogabalo l’anarchico, il portatore del disordine, della dualità: uomo e donna, spirito e materia. Imperatore a 14 anni, a 18 ucciso e gettato nelle fogne. A cui Antonin Artaud, poeta folle, dedica un libro vertiginoso nel 1934: “Eliogabalo o l’anarchico incoronato”. Kiefer intitola un quadro “Sol Invictus, Heliogàbal”: trionfo d’oro, girasoli dorati ma anche secchi, scuri. 

Un altro, “Fur Antonin Artaud: Heliogabale” dedicato ad Artaud e ai tanti nomi che egli ha dato all’imperatore. Nella grande xilografia “Sol Invictus” un enorme girasole lascia cadere i suoi semi su un corpo nudo disteso (l’artista) a rappresentare il ciclo di morte e rinascita. Altri quadri richiamano la filosofia presocratica, il dipinto di Raffaello “La scuola di Atene”. Opere troppo didascaliche. Seguono vetrine, altra modalità di Kiefer, che contengono elementi metallici, oggetti che ricorrono nella sua opera: il libro, la scala, il serpente, richiami alla Cabala, all’idea della crescita spirituale. Un altro angelo caduto è lo scrittore francese Raymond Roussel (1877-1933), spirito inquieto, precursore del surrealismo, morto misteriosamente, nel 1933, al Grand Hotel et des Palmes a Palermo. Dopo il fallimento del primo libro scrisse: “ebbi l’impressione di essere precipitato a terra dall’alto delle mie vette di gloria”. 

Kiefer lo omaggia con una teca in vetro che contiene piombo, pezzi di asfalto grigio, disseminato di denti, che ricorda il suo libro più famoso: “Locus solus”, viaggio surreale in sette tappe, come sette sono i Palazzi Celesti di Kiefer.

Continuando nel confronto coi testi più criptici della letteratura, Kiefer dedica due ipere a “Finnegans Wake” di Joyce, basate sempre sul contrasto tra l’oro e il grigio della materia. La sala più spettacolare è completamente rivestita di quadri, sia sul soffitto che sulle pareti. Inoltre, attraverso specchi orizzontali, crea la sensazione che le tele ricoprano anche il pavimento. Si intitola “Dipinti irradiati”, perché i quadri sono stati sottoposti a processi elettrolitici, radiazioni, in modo da mutarne l'aspetto, secondo l’idea di Kiefer che la distruzione sia uno strumento essenziale per produrre arte. Sono sessanta quadri, la sala ricorda quella alla Scuola grande di San Rocco a Venezia, coi dipinti di Tintoretto, autore sicuramente apprezzato da kiefer, sul soffitto, anch’essi visibili attraverso specchi orizzontali. Seguono xilografie e sculture, con riferimenti alla mitologia, al fiume Reno, con il suo carico di suggestioni storiche e mitiche, così come la rappresentazione di poliedri rimanda a Durer e al tema della sua incisione “Melancholia”, che pure parla di alchimia, trasformazione della materia. 

La mostra termina con lavori giovanili rielaborati in cui l’artista, ancora studente, si faceva fotografare indossando la divisa militare del padre mentre faceva, in diversi luoghi il saluto nazista. Ovviamente suscitò polemiche. Kiefer spiegò queste azioni come provocatorie nei confronti di una rimozione della storia tedesca e della sua memoria. Non comprendo bene perché ora le riproponga, si potrebbe pensare che si riferisca al rigurgito neo nazista che sta investendo la società tedesca ma mi sembra un messaggio ambiguo e che metta in discussione tutto il senso del suo lavoro. L’artista ha sempre rifuggito riferimenti all’attualità, proponendo riflessioni alte, filosofiche, letterarie ma imponendosi soprattutto per la potenza visiva dei suoi lavori. A palazzo Strozzi mi sembra scada, a volte, nel didascalismo, nell’eccesso di enfatizzazione dei suoi riferimenti culturali, che rischia di divenire sterile citazionismo. Può anche darsi che chiudere riproponendo le sue prime opere e con la poesia di Quasimodo, da lui trascritta:

“Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole: / ed è subito sera” possa far pensare a un momento di riflessione dell’artista ottantenne sul suo percorso e, forse, sul suo crepuscolo. O magari, ancora una volta, vuol far pensare al sole come fattore di una vita che inevitabilmente va verso la morte. Hegel sosteneva che l’arte muore perché gli artisti, e lui pensava a quelli tedeschi del suo tempo, i

Romantici, rinunciano alla sua immediatezza in nome di una sua sempre maggiore intellettualizzazione, rivestendo sempre più l’opera di significati filosofici, culturali che ne trascendono la natura originaria. In questo si potrebbe dire che quella di kiefer sia arte morta. Ma l’arte rinasce quando l’artista realizza opere che vanno oltre la sovrastruttura concettuale, che si imprimono nella memoria visiva ed emozionale per la propria potenza. In questo senso Kiefer ha fatto grande arte e forse non è quello di Palazzo Strozzi il luogo in cui questa si è massimamente manifestata. In Italia conserviamo quello che, a mio avviso, è il suo capolavoro:

l’installazione “I Sette Palazzi Celesti”, nell’ex capannone industriale dell’Hangar Bicocca a Milano. Direi che, in un paese come il nostro, che sicuramente non è molto aperto all’arte contemporanea, abbiamo la sorte di conservare due dei maggiori capolavori della seconda metà del Novecento: “I Sette Palazzi Celesti” di kiefer e il “Cretto” di Gibellina di Burri. In queste realizzazioni due artisti, tra loro distantissimi, ci lasciano opere che non potranno più essere dimenticate. Per completare la meditazione su Kiefer sarebbe utile, oltre alle tante pubblicazioni,visionare il film che gli ha dedicato Wim Wenders, “Anselm” (in uscita il 30 aprile), anche solo per vederlo aggirarsi, in bicicletta, nel suo immenso sito di Barjac, nel sud della Francia, dove le opere si accumulano, si trasformano, a volte si distruggono, e sembra impossibile che questo uomo, da solo, possa aver realizzato tutto ciò. Ancora una volta un tedesco che si lancia oltre le possibilità dell’umano, un po’ da ammirare e un po’ da temere.

SAURO SASSI



ANSELM KIEFER – ANGELI CADUTI

FIRENZE – PALAZZO STROZZI – FINO AL 21 LUGLIO 2024R ORARI: TUTTI I GIORNI 10.00 – 20.00 GIOVEDI’ 10.00 – 23.00

BIGLIETTO INTERO EUR 15 – RIDOTTO EUR 12 (MINORI DI 30 ANNI, TESSERE ACI, ARCI, CARTAEFFE, COOP, TCI, CARDCULTURA COMUNE DI BOLOGNA, BANCOMAT O CARTA DI CREDITO INTESA SANPAOLO). BIGLIETTO 2X1 (DUE EUR 15) CON CARTAFRECCIA DESTINAZIONE FIRENZE NON OLTRE CINQUE GIORNI PRIMA.

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