LA BIENNALE ARTE DI VENEZIA 2024: STRANIERI OVUNQUE E NUOVE IDENTITA’
La Biennale Arte di Venezia resta, se non la più importante, sicuramente la più
affascinante rassegna d’arte internazionale, oltre ad avere l’innegabile merito di
essere stata la prima (anno 1895, un’altra era storica). Il flusso di visitatori di questa
sessantesima edizione è ancora più intenso del solito, come sempre con prevalenza
di pubblico internazionale. Per la prima volta il curatore, il brasiliano Adriano
Pedrosa, proviene dal cosiddetto sud del mondo (fatta eccezione per il nigeriano
Okwui Enwezor, che diresse l’edizione del 2015, ma che viveva tra Monaco di
Baviera e New York ed aveva una formazione prettamente occidentale).
L’impostazione della Biennale di Venezia è di affidare a un curatore la mostra
principale, articolata negli spazi del Padiglione Centrale ai Giardini di Castello e
dell’Arsenale (gli ex cantieri navali della repubblica veneziana, enormi e suggestivi,
poco distanti), e di accettare le partecipazioni di diverse nazioni con propri
padiglioni e curatori che scelgono gli artisti. I padiglioni storici, che raccolgono le
Nazioni che da più tempo partecipano, sono ai Giardini di Castello, sono stati
costruiti a cura delle stesse e hanno lo status di territorio nazionale, come
un’ambasciata. Alcuni sono stati progettati da noti architetti (Ritveld l’Olanda,
Hoffman l’Austria, Aalto la Finlandia (sicuramente progetto minore), lo studio BBPR
il Canada, Carlo Scarpa il Venezuela e, soprattutto, i paesi nordici di Sverre Fehn, il
più originale e poetico. Banali gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna, mentre
quello tedesco risale all’epoca nazista. Altre partecipazioni nazionali più recenti, non
essendoci ulteriori spazi ai Giardini (l’ultimo padiglione, costruito, nel 1996, è quello
della Corea) sono sparsi in tutta la città, spesso in palazzi storici. In tutto sono 87 e
spesso (ma non sempre) i singoli curatori seguono i temi suggeriti da quello
designato dalla Biennale. Considerata l’attenzione internazionale , la scelta degli
artisti e l’impostazione generale data dal curatore influiscono molto sulle tendenze
dell’arte contemporanea e, ovviamente, del mercato, andando a confrontarsi con
altre grandi manifestazioni come Documenta di Kassel (che però è quinquennale),
mostre nei musei più prestigiosi e, soprattutto, la più importante fiera dell’arte
moderna e contemporanea, quella di Basilea, che quest’anno si tiene dal 13 al 16
giugno. Pedrosa ha intitolato la sua edizione “Stranieri ovunque”, riferendosi a un
lavoro di una coppia di artisti che si firma Claire Fontaine, che a loro volta hanno
derivato la frase da un collettivo torinese che, nei primi anni 2000, operava contro il
razzismo. Si tratta quindi di una doppia appropriazione, prima da parte del collettivo
artistico e poi del curatore della Biennale. Secondo Pedrosa, lo straniero è sempre
presente, ovunque ci troviamo, nella accezione di migrante, espatriato, rifugiato; ma
allarga la definizione al queer, il non riconosciuto da una definita identità sessuale;
all’artista outsider, popolare, autodidatta; infine agli artisti indigeni, che operano
con intenti diversi da quelli occidentali, legati al fare arte come attività economica e
di mercato. Viviamo in un mondo in cui le razze e le culture tendono a incontrarsi,
confondersi, purtroppo anche scontrarsi e occorre quindi una battaglia etica e
culturale perché dalla coesistenza delle diversità si vada verso un percorso di
accettazione e di crescita comune: stranieri ovunque ma, come dice papa Francesco,
fratelli tutti. Il merito di Pedrosa è di aver portato sul palcoscenico della Biennale
una grande quantità di artisti che i meccanismi di mercato avevano sempre esclusi:
da tutti i continenti, di tante culture diverse, di diversi generi sessuali, dove a volte
questi elementi si mescolano con esiti di grande vitalità. Un soffio di aria fresca in un
mondo artistico spesso asfittico, autoreferenziale, dominato da logiche meramente
mercantili. Non tutti i 332 artisti presenti, in gran parte per la prima volta, hanno la
medesima qualità e forza comunicativa ma la mostra principale ai Giardini e,
soprattutto, all’Arsenale si percorre con interesse e piacere. Pedrosa ha dislocato
nella sede più antica della Biennale, il Padiglione Centrale ai Giardini, un nucleo
storico dedicato ai ritratti e all’astrazione: il primo, un genere classico, in cui non
sembra emergere qui nulla di esaltante; il secondo che si riteneva retaggio dell’arte
occidentale e del cosiddetto Modernismo. Si scoprono diversi artisti che hanno
praticato forme di astrazione non seguendo il rigore formale degli occidentali, ma
usando colori vivaci, linee sinuose, con riferimenti alle tradizioni decorative
indigene, compreso un elemento che ricorre in molti lavori in tutte le sezioni: la
ripresa dell’artigianato e, in particolare, del tessile, a scapito degli strumenti presenti
in molta arte attuale come il video, i film, il 3D, la realtà virtuale. Altra sezione del
nucleo storico si trova all’Arsenale, intitolata “Italiani ovunque”, ed è dedicata ai
connazionali che hanno vissuto e operato in altri paesi, soprattutto in America Latina
ma anche altrove, come Galileo Chini (1873-1956), maestro del Liberty, che tra il
1911 e il 1913 si trasferì in Siam, attuale Thailandia, eseguendo importanti affreschi
e ritratti per conto del re. Non si può non ricordare la fotografa Tina Modotti (1896-
1942), che realizzò le proprie opere in Messico e, come attivista rivoluzionaria,
percorse svariati paesi dell’Europa alla vigilia della seconda guerra mondiale. Da
ricordare anche il sardo Costantino Nivola (1911-1988), che fuggì negli Stati Uniti
durante il fascismo, diventando un importante scultore e collaboratore di architetti
come Le Corbusier. Nonostante la forza innovativa del suo lavoro non aveva mai
partecipato a una Biennale Arte. Segnalo infine, in questa sezione, due artiste di
origine italiana che hanno vissuto e operato in Brasile: Anna Maria Maiolino (1942),
che ha utilizzato diverse tecniche e materiali e che è presente con una grande
installazione in terra cotta e un foglio della serie delle mappe, in cui la sagoma
dell’Italia è bruciata, per ricordare i bombardamenti che nel 1942 (suo anno di
nascita) gli alleati scatenarono sul nostro paese. Alla Maiolino è stato conferito uno
dei due Leoni d’oro alla carriera di questa Biennale. Lina Bo Bardi (1914-1992),
architetta, progettò, tra l’altro, il MASP (Museo de Arte de Sau Paulo) e aveva
ricevuto a sua volta il Leone d’Oro alla memoria alla Biennale Architettura del 2021.
In questa sezione dedicata agli artisti italiani nel mondo sono stati utilizzati i suoi
cavalletti in vetro, inseriti su basi in cemento poste sul pavimento, per ospitare le
opere, permettendo ai visitatori di girar loro intorno in un rapporto più intimo e
diretto con le stesse. Il Nucleo Contemporaneo si sviluppa sia al Padiglione Centrale
ai Giardini che all’Arsenale. Ospita produzioni di quattro soggetti: l’artista queer;
l’outsider; l’autodidatta; l’indigeno, spesso straniero nella propria terra. In entrambi
i luoghi si incontra spesso la scritta con neon colorati “Stranieri ovunque” in diverse
lingue, che dà il titolo alla manifestazione, a partire dalle entrate, per poi apparire,
moltiplicata e riflessa, verso il termine del percorso all’Arsenale, sotto le Gaggiandre,
suggestive strutture progettate da Sansovino, che coprono uno specchio d’acqua
dove si riparavano imbarcazioni. Altro segno forte e squillante è l’intervento
eseguito sulla facciata del Padiglione Centrale dal collettivo indigeno brasiliano
MAHKU (molte opere presentate sono eseguite da gruppi). Rappresenta la storia del
“ponte alligatore”, dove ancora una volta gli uomini tradiscono gli animali causando
la separazione dei popoli. All’entrata all’Arsenale incontriamo invece un lavoro del
gruppo di indigene Maori “Mataaho Collective”, che ha ricevuto il Leone d’Oro per la
miglior partecipazione. Si tratta di una grande installazione in fibra che richiama
stuoie intessute utilizzate in cerimonie, in particolare durante il parto, per celebrare
la nascita come transizione tra il buio e la luce e passaggio dal regno degli dei al
mondo umano. Senza ovviamente poter menzionare tutte le opere, voglio segnalare
al Padiglione Centrale, appena entrati, il lavoro dell’altra artista che ha ricevuto il
Leone d’Oro alla carriera assieme all’italiana trasferita in Brasile Anna Maria
Maiolino: la turca Nil Yalter, nata al Cairo e poi trasferitasi da Istanbul a Parigi. La
Yalter, nata nel 1938, ha incentrato la sua opera sui temi della condizione femminile
e dell’immigrazione. L’installazione che ricopre tutte le pareti della grande sala si
intitola “L’esilio è un duro lavoro”, frase del poeta turco Nazim Hikmet, incarcerato
per 13 anni a causa delle sue idee politiche. L’opera porta l’attenzione sulle
condizioni dei migranti e della loro vita difficile, con filmati e manifesti realizzati
nelle periferie di Istanbul, New York e Parigi. Riprende invece una tendenza sempre
più diffusa di utilizzare e creare archivi di immagini e dati il progetto del critico
Marco Scotini “Disobedience Archive”, all’Arsenale: una serie di contributi video di
vari artisti e attivisti sui temi dei processi migratori transnazionali come occasione
per proporre nuovi modi di rapporto tra gli esseri umani oltre le nazionalità e, a
questa legata, la disobbedienza di genere come critica dell’ordine mondiale anche
sessuale che il neo conservatorismo vuole imporre. Nel complesso una Biennale Arte
vitale, omogenea nel recuperare modalità espressive che affondano nelle culture
popolari, nell’artigianato, intrecciate anche con il tema del gender. Molti addetti ai
lavori sono rimasti sconcertati non riconoscendo in queste opere i canoni che si
applicano comunemente ai lavori e agli artisti che occupano gli scenari delle nostre
mostre, musei e mercati. A me sembra un tentativo interessante di allargare il
discorso sull’arte oggi, in un tempo di enormi trasformazioni storiche, sociali,
scientifiche. Mi sembra chiaro che si debba andare a una ridefinizione dei canoni e
non si può non considerare il grande rimescolamento che, a partire dai popoli, dalle
razze, dai generi sessuali, ci rende “stranieri ovunque”. C’è poi da considerare le
partecipazioni nazionali che allargano le tematiche ma spesso si intrecciano con
l’impostazione della mostra centrale. Ma questo richiede un altro articolo.
SAURO SASSI
BIENNALE ARTE 2024: “STRANIERI OVUNQUE / FOREIGNERS EVERYWHERE”
FINO AL 24 NOVEMBRE 2024
ORARIO ESTIVO (FINO AL 30/9): GIARDINI: 11-19. ARSENALE: 11-19. VENERDI’ E
SABATO 11-20.
DALL’1/10 AL 24 11: 10/18
CHIUSA IL LUNEDI’
IL BIGLIETTO PER LE DUE SEDI (ANCHE IN GIORNI DIVERSI) COSTA A PREZZO
INTERO EUR 30. RIDOTTO OVER 65 EUR 20. UNDER 26 EUR 16. ACQUISTABILE SUL
SITO WWW.LABIENNALE.ORG
SECONDO ME NON SI RIESCE A VISITARE ENTRAMBE LE SEDI IN UN SOLO GIORNO,
CONVIENE PREVENTIVARNE DUE. ALL’INTERNO SI TROVANO BAR E RISTORANTI
MA SI PUO’ ANCHE PORTARSI UN PANINO E MANGIARLO ALL’APERTO.
DA PIAZZALE ROMA (FERROVIA) VAPORETTI 1 E 4.1 (CIRCA 30 MINUTI, FERMATE
ARSENALE E GIARDINI). IL VAPORETTO 5.1 (25 MINUTI) FERMA SOLO A GIARDINI.
DA GIARDINI A ARSENALE O VICE VERSA SI FA A PIEDI.
IL COSTO DEL BIGLIETTO VAPORETTO CORSA SINGOLA, 9,50 EUR E’ DECISAMENTE
ESOSO MA IL PERCORSO A PIEDI DALLA STAZIONE E’ PIUTTOSTO LUNGO,
CONSIDERANDO CHE POI LA VISITA E’ IMPEGNATIVA.
NEI PRESSI DELLE DUE SEDI CI SONO DIVERSE ALTRE MOSTRE INTERESSANTI.
P.S.: FINO A META’ LUGLIO, NEI FINE SETTIMANA, PER ENTRARE IN CITTA’
BISOGNA ANCHE PAGARE IL BALZELLO DI 5 EURO, GRAZIOSAMENTE CHIAMATO
CONTRIBUTO DI ACCESSO.
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