Il potere del corpo e la sua voce eversiva


Martina Testa



Fonte: Picasso particolare - autore F. Simone

Nella costante ricerca di una propria dimensione espressiva, ognuno cerca di colmare la propria “voracità” a suo modo, vivendo con il proprio respiro, con la propria boccata di ossigeno e assecondando le proprie frequenze. L’eccessiva mole di informazioni che ingurgitiamo ogni giorno ci rende, però, bulimici, ci induce al disgusto, a volte al rifiuto.

Tempo fa, in un’interessante mostra di videoarte, ho visto il video di un uomo che guidava di notte, visibilmente stanco che per mantenersi vigile teneva la radio accesa, ascoltando, forse meglio dire sentendo, le voci che riportavano le notizie più disparate, senza seguire realmente nessuno di quei numerosi argomenti.

Le voci si confondono, si sovrappongono, diventano semplici suoni, fino a perdere di senso, di significato. L’uomo, con lo sguardo perso, sembra quasi arrendersi a quello che di fatto diventa un brusio che lo accompagna durante il viaggio; le voci entrano nella sua macchina, nella sua sfera emotiva e intima, in maniera invasiva, senza tuttavia aggiungere nulla alla sua vita presumibilmente stressata, anzi, lo alienano da essa.

Il fatto poi di non ricordare in quale mostra e quale artista abbia realizzato questo video, lo trovo molto metadistopico: siamo surclassati da parole, concetti, che non arricchiscono la nostra vita ma ce la rendono, per l’appunto, ancora più estranea.

A volte si ha la sensazione di vivere in maniera dissociata, in una realtà parallela, iperconnessa, virtuale, quasi lisergica. Ci sarebbe da allentare le redini, lasciar perdere tutto, per ritornare davvero a respirare.

Nella società ipercapitalista, dedita il profitto, in cui il capitale si produce attraverso la liquidità di informazioni, l’asticella si alza rispetto all’orizzonte individuale di ciascuno, facendoci sentire tutt* sempre più inetti, colpevoli (?) incapaci di vivere adeguatamente e adattabilmente a una società che ci vuole sempre attivi e mai vigili, appiattendo, così, le spinte centrifughe di ognuno, di ogni corpo. L’ansia prestazionale conduce a ingurgitare, vomitare sentenze e slogan senza che esse siano state realmente elaborate e sedimentate in noi.

In questo contesto, “staccare la radio” e ritornare a respirare non è la resa, ma è un gesto di rivolta, laddove viene concepito come “mediocre”, è l’atto iniziale di scardinamento della conoscenza per costruire nuovi saperi che siano più consapevoli, più radicali, più autentici.
Bisognerebbe sostituire alle singole voci impalpabili e astratte i corpi che sono, invece, palpabili e tangibili.

Il corpo è costituito da fibre nervose, muscoli, mente, carne, pori, è qualcosa di realmente concreto. Il corpo è anche il sesso con tutta la sua carica dirompente. Dal corpo proviene la voce, il respiro, occupa realmente e si fa spazio. Il corpo è il contatto visivo, sono mani che si sfiorano. Il corpo è eversivo, è il soggetto politico più determinante che esista, è tutto ciò che abbiamo per definirci ed “esistere”. Se i limiti del linguaggio definiscono i limiti del nostro mondo, possiamo ampliarlo affermando i nostri corpi da cui provengono le nostre idee, il nostro sangue, il nostro sesso, i nostri sogni.


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