Martina Testa
Fonte: I Fratelli Karamazov, Dostoevskij F., Einaudi, 2023
Leggere Dostoevskij è un’esperienza intensissima e sconvolgente.
«Un libro dev'essere un'ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi», affermava Kafka in una sua celebre lettera. È esattamente quello che si prova confrontandosi con i romanzi del grande scrittore russo: si ha la sensazione che una lama fredda e insidiosa scavi dentro noi stessi e frughi a fondo tra le nostre paure.
«Un libro dev'essere un'ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi», affermava Kafka in una sua celebre lettera. È esattamente quello che si prova confrontandosi con i romanzi del grande scrittore russo: si ha la sensazione che una lama fredda e insidiosa scavi dentro noi stessi e frughi a fondo tra le nostre paure.
Non ho modo di rendere giustizia alla profonda tensione etica, all’enorme serbatoio culturale e psicologico costruito dal quel grande architetto che è Fedor Dostoevskij, oggi considerato un classico della cultura “occidentale” (aggettivo odioso e svilente). Calvino, nelle sue Lezioni americane, ci consegna una delle testimonianze più belle del suo amore per i classici. Afferma infatti lo scrittore che «non si leggono i classici per dovere o per rispetto, ma solo per amore» e che «un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire». Dostoevskij ha molto da dirci se ancora oggi sentiamo l’esigenza di leggere i suoi romanzi e di confrontarci/scontrarci con i suoi personaggi. Essi si interrogano costantemente sull’esistenza, su dio, sul diavolo, sulla vita e sulla morte e lo fanno in maniera dimidiante e sofferta.
I Fratelli Karamazov è l’ultimo grande romanzo dello scrittore. Il nucleo principale dell’intreccio vede i fratelli protagonisti stretti in una morsa di angoscia e sofferenze, tenute insieme da un filo invisibile che li lega attorno all’idea del parricidio.
I protagonisti appaiono tremendamente reali, più di quanto si possa immaginare e concepire. Le loro idee e i loro rovelli interiori, sono le nostre idee e i nostri rovelli interiori. E questo ci turba. Ci turba constatare che bene e male spesso straziano lo stesso cuore, che è il campo di battaglia in cui si compie un conflitto in cui è in gioco la stessa –supposta- sanità mentale dell’individuo. Ci turba constatare che, dopo aver letto Dostoevskij, le nostre certezze (dogmatiche, religiose, politiche, sociali), crollano. Sfido chiunque, dopo aver letto l’ultima pagina di un suo romanzo, a non aver pensato, anche inconsciamente: “Sì, sono d’accordo anche io ma non avrei mai avuto il coraggio di affermarlo”. Sfido chiunque a non sentirsi turbato alle parole di Ivan ne i Fratelli Karamazov che mette in dubbio la buona condotta di Cristo sulla terra a causa del male nel mondo; la riflessione sul potere temporale che ha vinto la sua battaglia contro dio è forse una delle pagine più belle del romanzo. Così come sono bellissime le pagine dell’Idiota dedicate alla riflessione sul Cristo vilipeso e travisato dal cattolicesimo, o quelle dei Demoni in cui lo scrittore ci regala i più bei e profondi dialoghi con il diavolo della letteratura occidentale.
I protagonisti appaiono tremendamente reali, più di quanto si possa immaginare e concepire. Le loro idee e i loro rovelli interiori, sono le nostre idee e i nostri rovelli interiori. E questo ci turba. Ci turba constatare che bene e male spesso straziano lo stesso cuore, che è il campo di battaglia in cui si compie un conflitto in cui è in gioco la stessa –supposta- sanità mentale dell’individuo. Ci turba constatare che, dopo aver letto Dostoevskij, le nostre certezze (dogmatiche, religiose, politiche, sociali), crollano. Sfido chiunque, dopo aver letto l’ultima pagina di un suo romanzo, a non aver pensato, anche inconsciamente: “Sì, sono d’accordo anche io ma non avrei mai avuto il coraggio di affermarlo”. Sfido chiunque a non sentirsi turbato alle parole di Ivan ne i Fratelli Karamazov che mette in dubbio la buona condotta di Cristo sulla terra a causa del male nel mondo; la riflessione sul potere temporale che ha vinto la sua battaglia contro dio è forse una delle pagine più belle del romanzo. Così come sono bellissime le pagine dell’Idiota dedicate alla riflessione sul Cristo vilipeso e travisato dal cattolicesimo, o quelle dei Demoni in cui lo scrittore ci regala i più bei e profondi dialoghi con il diavolo della letteratura occidentale.
In Dostoevskij c’è tutto: c’è la vita e la morte, la gioia e il dolore, l’odio e l’amore. Sono queste coppie complementari: ogni cosa è ombra dell’altra. Così dall’odio può nascere l’amore e viceversa, così dal dolore può sorgere la gioia, anzi la gioia più autentica: «Conoscerai un grande dolore e nel dolore sarai felice. Eccoti il mio insegnamento: nel dolore cerca la felicità». Se dalla vita consegue la morte, è vero anche il suo contrario. Si spiegherebbe, quindi, la ricorsività del tema del suicidio nei suoi romanzi, sia sotto forma di riflessione dialettica sia come assillo di molti personaggi. Il suicidio come forma radicale di protesta, contro la vacuità del reale, contro la società, a volte contro dio stesso. Dio è morto (o sta morendo) sembra suggerirci insidiosamente il grande scrittore russo. Che si faccia riferimento a un dio travisato dal potere temporale o che sia frutto di superstizione, sono solo delle ipotesi. Ciò che importa è che Dostoevskij mette sul banco tutte le alternative, tira fuori tutto l’enorme controverso serbatoio (psichico, spirituale, mentale, carnale) dell’individuo, sondando spietatamente e con violenza.
Alla spietatezza analitica, però, corrisponde un’indulgenza, una tenerezza disarmante, un amore dello scrittore nei confronti di tutti i suoi personaggi, anche dei “caduti” e nei confronti di coloro che hanno commesso le colpe più turpi. Più che ricercare una giustificazione, all’autore interessa indagare, tentare di spiegare, il che equivale a superare il senso di disgusto e di diniego nei confronti dei reietti, di quei “mostri” partoriti dalla stessa società che li ha abbandonati. Perché la prosa di Dostoevskij è poesia per gli ultimi. In termini prettamente cristiani (non scordiamo che comunque il nostro autore lo era) tutto questo si tradurrebbe forse nella pìetas cristiana e nella possibilità del perdono che non garantisce, però, necessariamente un riscatto. In fondo siamo tutti Karamazov come sembra suggerirci lo stesso autore: «Perché siamo nature vaste, karamazoviane - e proprio a questo volevo arrivare - capaci di unire tutte le possibili contraddizioni e di contemplare in un colpo i due abissi, l'abisso sopra di noi, degli ideali più alti, e l'abisso sotto di noi, della caduta più vile e fetida.»
Nei Fratelli Karamazov il tema del parricidio permette, inoltre, di attuare una delle riflessioni più rivoluzionarie dell’autore su che cosa significhi essere “padre”: «Poco fa ci chiedevamo: che cos’è un padre? E ho affermato che questa è una parola nobile, un nome prezioso. […] Un padre come il vecchio Karamazov non può essere chiamato padre, non ne è degno. L’amore di un figlio per un padre indegno è innaturale, un’assurdità. Non si può creare l’amore dal nulla, solo Dio crea dal nulla. Un simile assassinio non è un assassinio. Ma soprattutto non siamo di fronte a un parricidio.» Dunque, il parametro che rende un uomo un padre non è il ruolo derivante da una necessità biologica. È l’amore che egli è riuscito a trasmettere ai propri figli. Quanti parricidi allora si chiamerebbero con un nome diverso! Torniamo dunque a Calvino: Dostoevskij è un classico perché si è saputo “guadagnare” il ruolo di padre letterario, trasmettendo ad ogni romanzo il suo immenso amore e rispetto nei confronti dei propri lettori.
Egli è uno scrittore rivoluzionario, come lo è Leopardi (e uso consciamente il verbo al presente). Esiste una certa eversività in letteratura di cui il grande scrittore russo ne è emblema, nella sua capacità di scandagliare e sovvertire giudizi e pregiudizi sociali. Nella sfida difficilissima di sondare la profondità dell’essere umano è riuscito, attraverso i suoi romanzi, a creare un contatto con i propri lettori, intenso, che avvertiamo e ricerchiamo ancora oggi.
Nei Fratelli Karamazov il tema del parricidio permette, inoltre, di attuare una delle riflessioni più rivoluzionarie dell’autore su che cosa significhi essere “padre”: «Poco fa ci chiedevamo: che cos’è un padre? E ho affermato che questa è una parola nobile, un nome prezioso. […] Un padre come il vecchio Karamazov non può essere chiamato padre, non ne è degno. L’amore di un figlio per un padre indegno è innaturale, un’assurdità. Non si può creare l’amore dal nulla, solo Dio crea dal nulla. Un simile assassinio non è un assassinio. Ma soprattutto non siamo di fronte a un parricidio.» Dunque, il parametro che rende un uomo un padre non è il ruolo derivante da una necessità biologica. È l’amore che egli è riuscito a trasmettere ai propri figli. Quanti parricidi allora si chiamerebbero con un nome diverso! Torniamo dunque a Calvino: Dostoevskij è un classico perché si è saputo “guadagnare” il ruolo di padre letterario, trasmettendo ad ogni romanzo il suo immenso amore e rispetto nei confronti dei propri lettori.
Egli è uno scrittore rivoluzionario, come lo è Leopardi (e uso consciamente il verbo al presente). Esiste una certa eversività in letteratura di cui il grande scrittore russo ne è emblema, nella sua capacità di scandagliare e sovvertire giudizi e pregiudizi sociali. Nella sfida difficilissima di sondare la profondità dell’essere umano è riuscito, attraverso i suoi romanzi, a creare un contatto con i propri lettori, intenso, che avvertiamo e ricerchiamo ancora oggi.
Dostoevskij ci salva. Ci salva da una società che ancora oggi divide il mondo in vittime e carnefici, in santi e peccatori. I suoi romanzi ci permettono di approdare a prospettive forse non rassicuranti, ma “vere”, vocabolo non accostabile a “verità” che rischierebbe di appiattire qualsiasi problematicità dialettica. “Vero” è l’essere umano, con la sua carne, le sue fibre nervose, le sue tensioni ideali, le sue crisi interiori e le sue incertezze. Leggere Dostoevskij oggi, ci permette di spogliarci dai nostri panni borghesi e di affrontare la nostra vita senza viltà per amarla fino in fondo: «Ama la vita più della sua logica, solo allora ne capirai il senso» è il testamento letterario del grande scrittore russo. Raccontare l’individuo con tutte le sue contraddizioni significa amarlo e rispettarlo, per consegnare ai propri lettori il più commosso e autentico atto di amore che uno scrittore possa donare.

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