Crisi: «Probabile ripresa dal 2010»

di Valeria Del Forno

No alle gabbie salariali, sì al rialzo dell’età pensionabile e al lavoro degli stranieri, una risorsa che va però governata. E' questa, in sintesi, l'opinione di Draghi, espressa al meeting di Cl a Rimini, che mostra un cauto ottimismo rispetto ad una crescita dell’economia italiana a partire dal 2010. Restano però molte le imprese che rischiano di sparire.


«Proprio in questi giorni cominciamo a vedere i primi segni che stiamo emergendo lentamente da questa crisi ». Lo ha detto il governatore della Banca d'Italia e presidente del Financial stability board Mario Draghi nel corso del suo intervento al Meeting dell'amicizia in corso a Rimini.

MOLTE IMPRESE ANCORA A RISCHIO. Dal 2010, quindi, anche l' economia italiana potrebbe tornare a crescere. Ma uscire dalla crisi, per il nostro Paese, sarà un'impresa difficile. Non poche imprese, infatti, soprattutto quelle più esposte verso gli intermediari finanziari, che avevano avviato prima della crisi una promettente ristrutturazione, colte a metà dell’opera dal crollo della domanda, potrebbero veder frustrato il loro sforzo di adeguamento organizzativo, tecnologico, di mercato e rischiano la stessa sopravvivenza. Si aggraverebbe così la perdita di capacità, potenziale e attuale, del sistema. Un deterioramento prolungato del mercato del lavoro potrebbe compromettere la ripresa dei consumi e depauperare il capitale umano.

«Non direi che il peggio è passato, ci sono ancora molti rischi.», prosegue Draghi « Dice bene Angela Merkel: la crisi è passata quando si ritorna al punto di prima non quando il peggio è passato». Ma i segnali positivi ci sono e si vedono «alcune rondini»: «i dati sugli ordini di produzione degli Stati Uniti, sugli indici di fiducia dei consumatori delle imprese in Germania, sulla produzione industriale nell'area dell'euro».

RISPOSTA DELL'ECONOMIA MEGLIO DEL '29. Certo, molto è stato fatto. E la «risposta tempestiva dei governi e delle banche centrali ha permesso di evitare le conseguenza catastrofiche del ’29». Secondo il governatore della Banca d'Italia poteva andare anche peggio: questa crisi è iniziata peggio di quella del '29 ma le conseguenze sull'economia non sono lontanamente paragonabili. Perché? «Il mondo di allora aveva due caratteristiche. La prima è che le divisioni di politiche internazionali impedirono una qualunque cooperazione tra le autorità dei vari paesi. La seconda caratterista è che la risposta della politica economica di allora fu molto lenta, contraddittoria, incerta. Questa volta la risposta, prima di tutto delle banche centrali con un'immissione straordinaria senza precedenti di liquidità e coordinata nel mondo, ha arginato i primi impatti della crisi».

Per tornare al punto di partenza la strada è al momento tortuosa. Senza riforme il Paese non esce dalla crisi ed ecco che la ricetta del governatore prevede quattro priorità di intervento.

RIVOLUZIONE DEL SISTEMA SCOLASTICO. La prima riguarda il capitale umano. Secondo Draghi è necessario procedere a una rivoluzione che introduca nel sistema scolastico competitività, meritocrazia e meccanismi premianti.

TUTELE ANCHE PER PRECARI, DISOCCUPATI E IMMIGRATI, RISORSA PER IL NOSTRO PAESE. Il secondo punto riguarda il mercato del lavoro e la protezione sociale. Bene la flessibilità, dice il governatore, perché ci ha permesso di assorbire l’impatto della crisi, ma con la cassa integrazione non si va lontano. «Le tutele», spiega, «devono essere estese ai precari e a tutti i disoccupati che sono in cerca di lavoro», compresi gli immigrati, che «sono una risorsa e che vanno integrati». Il Paese dispone di una «risorsa, potenzialmente di grande rilevanza per la nostra economia, la disponibilità di lavoro straniero». «Potremo utilizzarla solo se saranno governati i gravi problemi che essa pone sotto il profilo della integrazione sociale e culturale». Con «4,3 milioni» di stranieri, stimando anche il numero di chi non è iscritto all'anagrafe e chi non ha permesso di soggiorno, per Draghi «i cittadini stranieri in Italia sono in media più giovani e meno istruiti degli italiani ma partecipano in misura maggiore al mercato del lavoro e svolgono mansioni spesso importanti per la società e l'economia italiane, anche se poco retribuite». E, dice Draghi, non rappresentano un pericolo per il lavoro degli italiani: «Non si rilevano conseguenze negative apprezzabili sulle prospettive occupazionali degli italiani, un risultato che emerge dalla grande maggioranza degli studi svolti nei paesi a elevata immigrazione».

ESCLUSE GABBIE SALARIALI. Quanto ai salari, Draghi boccia il ripristino delle gabbie, tanto più che «gli stipendi reali non sono così diversi» tra Nord e Sud. Quello che invece è urgente è procedere in fretta verso il rafforzamento della contrattazione decentrata. Poi, il nodo dei nodi: la questione meridionale. Le divergenze esistono e sono forti, ma non è, secondo il governatore con la riedizione di vecchi strumenti che hanno fallito che si può pensare di uscirne. Come la vecchia Cassa del Mezzogiorno, che «funzionava finché si limitava a finanziare infrastrutture». Quando si è messa a distribuire finanziamenti è incentivi «è invece diventata un fattore di sottosviluppo». Il problema, dice, è che al Sud i soldi arrivano già, solo che vengono spesi male. Dunque, «basterebbe applicare bene gli strumenti che già esistono».

RIDURRE SPESA PUBBLICA CON INNALZAMENTO ETA' PENSIONABILI. Secondo Draghi è poi necessario innalzare l'età pensionabile per ridurre la spesa pubblica corrente. La ricostruzione della economia italiana non potrà avvenire «senza il mantenimento della stabilità finanziaria, senza l'equilibrio dei conti pubblici». «In presenza di un forte incremento della speranza di vita, l'allungamento della vita lavorativa è importante per rendere compatibili l'esigenza di contenimento della spesa pubblica con quella di garantire un reddito adeguato durante la vecchiaia; può contribuire, se accompagnato da azioni che rendano più flessibili orari e salari dei lavoratori più anziani, ad aumentare il tasso di attività e a sostenere il tasso di crescita potenziale dell'economia. Può anche consentire di destinare maggiori risorse ad altri comparti della spesa sociale».

Vi è quindi a necessità del salto di qualità. Che non significa semplicemente aiutare le imprese, rilanciare i consumi e sistemare i conti pubblici, ma sciogliere i nodi strutturali del Paese. Un Paese già malato ancor prima della crisi che si è portato dietro «un’eredità pesante fatta di bassa crescita e di scarsa competitività».

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