Dopo Messina, allarme in tutta Italia: a rischio 7 comuni su 10

di Valeria Del Forno

La tragedia piomba di notte nel messinese. Quando il fiume di fango si ferma, rimane la vergogna per una “tragedia annunciata”. Catastrofi come questa si potrebbero evitare con più attenzione al territorio. Questo in sostanza l'esito di un rapporto della Protezione Civile e di Legambiente sui rischi di dissesto idrogeologico in Italia.


Giampilieri, Scaletta Zanclea, Santo Stefano Briga, Molino, Altolia e la zona di Messina sud sono stati travolti dal fango. E con loro l’intera Sicilia.
La vita si è fermata nella notte del 1°ottobre: la pioggia è forte, gli abitanti la osservano dalla finestra; ad un tratto il buio, un gran rumore, una furia di fango, la montagna è “partita”, un fiume in piena invade le case, scende rapido, velocissimo, e poi diviene solido. In pochi attimi il disastro e l’odore della morte.

Torna il fango metaforico della vergogna per una “tragedia annunciata”. Una catastrofe causata dallo stato di dissesto idrogeologico - un processo che va dalle erosioni contenute e lente alle forme più consistenti della degradazione superficiale e sotterranea dei versanti fino alle forme imponenti e gravi delle frane comprendendo anche fenomeni come alluvioni e valanghe - in cui non solo versa una grossa fetta del territorio siciliano, ma anche tutto il territorio nazionale. Non si può affermare che questo sia una sorpresa: come ben documentato da “Ecosistema a rischio”, edizione novembre 2008, - documento firmato da Protezione Civile e Legambiente che sintetizza la capacità di risposta ai dissesti - sette comuni italiani su dieci sono a rischio idrogeologico, di cui 1.700 a rischio frana, 1.285 a rischio d’alluvione e 2.596 a rischio sia di frana sia d’alluvione.
A guidare la classifica del pericolo maggiore è la Calabria, seguita da Umbria, Val D’Aosta, Marche e Toscana. Il problema è che il rischio più alto non è legato alla conformazione del territorio che non è vincolante; basti pensare al Giappone e alla California dove le case resistono ai numerosi e violenti terremoti non rendendo strage ogni episodio. Nel nostro territorio è l’opera dell’uomo che spesso contribuisce a peggiorare una situazione già difficile: edifici abusivi vicino a fiumi e torrenti in piena, disboscamento dei versanti, urbanizzazione irrazionale.

Sono ancora troppe le amministrazioni comunali italiane che tardano a svolgere un’efficace ed adeguata politica di prevenzione, informazione e pianificazione d’emergenza. Il 77 % dei Comuni censiti nell'analisi ha nel proprio territorio case in aree a rischio frana o alluvione e solo 1 su 20 ha cominciato a eliminarle dando un'alternativa a chi le abita. In più, nel 42 % dei Comuni non è svolta regolarmente la manutenzione ordinaria dei corsi d'acqua e delle opere di difesa idraulica.
Nell’insieme appena il 37% dei comuni censiti nell’analisi svolge un lavoro positivo di mitigazione del rischio idrogeologico; un comune su quattro non fa praticamente nulla per prevenire i danni derivanti da alluvioni e frane; mentre sono ben 787 le amministrazioni comunali che risultano svolgere un lavoro di prevenzione del rischio idrogeologico complessivamente negativo. Sono solo quattro i comuni che raggiungono la classe di merito “ottimo”. A tal riguardo, non si può non sottolineare che in tali casi oltre all’impegno profuso dal Comune, è il sussistere di una virtuosa filiera complessiva costituita da Autorità di bacino, Regioni, Amministrazioni provinciali, a contribuire al raggiungimento di tali ottimi risultati.

Complessivamente dal rapporto "Ecosistema a rischio" esce un quadro estremamente critico. Basterebbe più attenzione al territorio per evitare nuove “Messina” e, soprattutto, alibi.

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