foto: Raffaello, particolare da La scuola di Atene (fonte: beniculturali.it)
di Roberto Tortora
Un altro autunno caldo sul fronte della scuola.
Nell’anno scolastico iniziato due mesi fa, sono stati cancellati più di 57.000 posti di lavoro, tra docenti, collaboratori e personale di segreteria. Si tratta di tagli pesanti ma inevitabili che, nelle previsioni del Governo, libereranno risorse da reinvestire nella valorizzazione del personale docente. Di tutt’altro avviso Francesco Bonanni: il segretario generale della Cisl ribadisce che “La scuola merita di più”, slogan della manifestazione nazionale del 31 ottobre a Roma.
In prospettiva le cose andranno anche peggio, visto che il piano triennale prevede che entro il 2012 saranno cancellati complessivamente 130.000 posti, tra docenti e Ata. Non si tratta solo di numeri – sostiene la Cgil – ma di persone e delle loro famiglie che rimarranno senza stipendio.
Come è noto, di fronte all’incalzare delle proteste il Governo ha varato un piano per contenere i danni. I “precari”, cioè quegli insegnanti che negli anni passati avevano lavorato per almeno 180 giorni e che quest’anno non sono stati richiamati in servizio per coprire incarichi altrettanto lunghi, avranno la precedenza nell’attribuzione delle supplenze brevi e il riconoscimento del punteggio pieno. Ma ai sindacati non basta. Non solo non ammettono che si licenzi, bensì pretendono che si assuma, e in maniera cospicua. La Cgil, in particolare, preme perché si torni al piano triennale di 180.000 assunzioni in ruolo previsto dalla finanziaria del governo Prodi.
A rendere poco credibile e per nulla presentabile la sforbiciata del Miur è anche il fatto che le attese di sostanziosi risparmi previsti in Finanziaria e che dovrebbero derivare proprio dai tagli, per il momento sembrano smentite dai dati. I documenti di finanza pubblica, infatti, evidenziano un aumento della spesa per il personale. E’ una sorta di contraddizione difficile da spiegare. Proprio come l’altra contraddizione, su cui punta il dito la Cgil: il governo mira a diminuire il numero dei docenti, proprio quando si registra un aumento degli alunni, che quest’anno sono circa 8 milioni.
D’altro canto è proprio su questo terreno che già lo scorso anno si erano sviluppate forti tensioni tra la maggioranza e l’area parlamentare di sinistra. Quest’ultima particolarmente dura con l’impianto complessivo della riforma Gelmini e nei prossimi mesi è prevedibile che i contrasti animeranno ancora il confronto parlamentare.
Eppure, toni più moderati e inviti ad una maggiore ponderazione sono venuti proprio da alcuni esponenti della sinistra. L’ex ministro dell’istruzione Luigi Berlinguer, ad esempio, pur criticando i nodi principali della riforma Gelmini, propone di abbassare a 18 anni, anziché 19, l’età per il conseguimento del diploma. Per allineare l’Italia a molti altri paesi stranieri, ma anche per “risparmiare migliaia di insegnanti”.
Ancora più chiaro il giudizio di Franco Bassanini, ex ministro della Funzione pubblica e storico esponente della sinistra, il quale non può non sottoscrivere gli interventi dell’attuale Governo intesi a chiudere plessi scolastici con pochi alunni per conseguire risparmi di spesa e maggiore efficienza. Il ministro Gelmini, non a caso, contro i suoi detrattori afferma di limitarsi ad applicare il Regolamento sul dimensionamento delle Istituzioni scolastiche. Regolamento che costituisce una diretta emanazione delle leggi cosiddette “Bassanini”.
Infine, non si può non ricordare il discorso che il Presidente della Repubblica ha tenuto all’inizio dello scorso anno scolastico a Roma, quando cominciava a profilarsi un triennio di lacrime e sangue per la scuola. Giorgio Napoletano, invitando tutte le parti politiche ad un confronto moderato e costruttivo, ricordava che “l’Italia deve ridurre a zero il suo deficit pubblico” e che “ciò comporta, inutile negarlo, un contenimento della spesa per la scuola.”
In conclusione, quella che si profila per il Ministero dell’Istruzione è un’altra missione impossibile: ridurre drasticamente la spesa complessiva per la scuola, assicurare uguale (se non maggiore) efficienza al sistema, non lasciare al loro destino né il personale né gli alunni che - unica nota positiva - continuano ad affollare le classi.
Un altro autunno caldo sul fronte della scuola.
Nell’anno scolastico iniziato due mesi fa, sono stati cancellati più di 57.000 posti di lavoro, tra docenti, collaboratori e personale di segreteria. Si tratta di tagli pesanti ma inevitabili che, nelle previsioni del Governo, libereranno risorse da reinvestire nella valorizzazione del personale docente. Di tutt’altro avviso Francesco Bonanni: il segretario generale della Cisl ribadisce che “La scuola merita di più”, slogan della manifestazione nazionale del 31 ottobre a Roma.
In prospettiva le cose andranno anche peggio, visto che il piano triennale prevede che entro il 2012 saranno cancellati complessivamente 130.000 posti, tra docenti e Ata. Non si tratta solo di numeri – sostiene la Cgil – ma di persone e delle loro famiglie che rimarranno senza stipendio.
Come è noto, di fronte all’incalzare delle proteste il Governo ha varato un piano per contenere i danni. I “precari”, cioè quegli insegnanti che negli anni passati avevano lavorato per almeno 180 giorni e che quest’anno non sono stati richiamati in servizio per coprire incarichi altrettanto lunghi, avranno la precedenza nell’attribuzione delle supplenze brevi e il riconoscimento del punteggio pieno. Ma ai sindacati non basta. Non solo non ammettono che si licenzi, bensì pretendono che si assuma, e in maniera cospicua. La Cgil, in particolare, preme perché si torni al piano triennale di 180.000 assunzioni in ruolo previsto dalla finanziaria del governo Prodi.
A rendere poco credibile e per nulla presentabile la sforbiciata del Miur è anche il fatto che le attese di sostanziosi risparmi previsti in Finanziaria e che dovrebbero derivare proprio dai tagli, per il momento sembrano smentite dai dati. I documenti di finanza pubblica, infatti, evidenziano un aumento della spesa per il personale. E’ una sorta di contraddizione difficile da spiegare. Proprio come l’altra contraddizione, su cui punta il dito la Cgil: il governo mira a diminuire il numero dei docenti, proprio quando si registra un aumento degli alunni, che quest’anno sono circa 8 milioni.
D’altro canto è proprio su questo terreno che già lo scorso anno si erano sviluppate forti tensioni tra la maggioranza e l’area parlamentare di sinistra. Quest’ultima particolarmente dura con l’impianto complessivo della riforma Gelmini e nei prossimi mesi è prevedibile che i contrasti animeranno ancora il confronto parlamentare.
Eppure, toni più moderati e inviti ad una maggiore ponderazione sono venuti proprio da alcuni esponenti della sinistra. L’ex ministro dell’istruzione Luigi Berlinguer, ad esempio, pur criticando i nodi principali della riforma Gelmini, propone di abbassare a 18 anni, anziché 19, l’età per il conseguimento del diploma. Per allineare l’Italia a molti altri paesi stranieri, ma anche per “risparmiare migliaia di insegnanti”.
Ancora più chiaro il giudizio di Franco Bassanini, ex ministro della Funzione pubblica e storico esponente della sinistra, il quale non può non sottoscrivere gli interventi dell’attuale Governo intesi a chiudere plessi scolastici con pochi alunni per conseguire risparmi di spesa e maggiore efficienza. Il ministro Gelmini, non a caso, contro i suoi detrattori afferma di limitarsi ad applicare il Regolamento sul dimensionamento delle Istituzioni scolastiche. Regolamento che costituisce una diretta emanazione delle leggi cosiddette “Bassanini”.
Infine, non si può non ricordare il discorso che il Presidente della Repubblica ha tenuto all’inizio dello scorso anno scolastico a Roma, quando cominciava a profilarsi un triennio di lacrime e sangue per la scuola. Giorgio Napoletano, invitando tutte le parti politiche ad un confronto moderato e costruttivo, ricordava che “l’Italia deve ridurre a zero il suo deficit pubblico” e che “ciò comporta, inutile negarlo, un contenimento della spesa per la scuola.”
In conclusione, quella che si profila per il Ministero dell’Istruzione è un’altra missione impossibile: ridurre drasticamente la spesa complessiva per la scuola, assicurare uguale (se non maggiore) efficienza al sistema, non lasciare al loro destino né il personale né gli alunni che - unica nota positiva - continuano ad affollare le classi.
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