di Vincenzo Jacovino
E’ sulla linea della convivialità propria dell’alcool, sullo smarrimento dei pensieri indotto dagli alcolici fumi, sulla frammentazione del tempo e delle immagini che Angelo Lippo ha inteso indugiare con il suo Elogio dell’ebbrezza. E così, se il grappolo sinuoso confonde e fonde, in più occasioni,l’azzurro e il grigio pallido con un rosso o rosato dell’ebbra euforia, è conseguenziale che
problemi e preoccupazioni
volano via là dove
il vento batte le onde (Anacreontica)
perché emergano, a piene mani, densi umori, sensazioni forti e immagini tanto da risultare quale unico flusso di coscienza necessario per tenere insieme memoria, proiezioni e sogni.
Contiene questo suo Elogio dell’ebbrezza ed espande il senso dell’esaltazione e della leggerezza quali dimensioni illimitate di uno stato d’animo, particolarmente, euforico se pur precario. Tutto appare dilatato dietro il velo nebbioso degli alcolici fumi i quali recano con sé l’accattivante violenza dei nostalgici ricordi dell’infanzia come il paesaggio smisurato del passato che mal si integra con il presente. Ma le mielose e chiassose lontananze che tanto affascinano più che suggerire pathos insinuano nostalgia e solitudine anche se
le coppe ricurve
(ci) liberano la mente (Anacreontica)
perché si possa godere della compagnia degli amici e degli occasionali conoscenti. E’, purtroppo, un incanto fugace come la breve estate; quell’ebbra euforia sembra essere per Lippo un congedo infinito affascinato, com’è, dal “limpido colore del vino” grazie al quale ritrova, finalmente, “l’immagine di una verità gelosamente custodita e gioiosamente partecipata” (L. Scorrano).
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