di Giuseppe Gavazza
Ho ritrovato i video delle performances realizzate da Marina Abramovitch (spesso in duo con Ulay, negli anni '70 ed altri video più recenti: video famosi quanto l'artista e le sue performances (mi sembra inutile una descrizione o una presentazione, siamo in Internet, troverete facilmente tutti dati utili) un po' per caso e un po' per volontà tra Torino (intravisto Art must be beautiful, artist must be beautiful proiettati sul tram di Progetto Diogene, la sera di venerdì 5 novembre), Londra (Lisson Gallery, venerdì 12 novembre, al pomeriggio) e Parigi (Musée Rodin, Le corps comme sculpture 2, domenica 21 novembre).
Mi ha colpito in particolare la collocazione della mostra parigina: non uno spazio dedicato all'arte contemporanea ma un museo classico per uno scultore classico come Auguste Rodin: strano per me, inconsueto e apparentemente nulla di più lontano dai lavori della Abramovich. Invece mi ha convinto e coinvolto l'analogia visiva di temi che, visti nei video come Art must be beautiful, artist must be beautiful, Freeing the voice, Breathing in Breathing out) ho ritrovato nei bronzi, nei marmi e nei dipinti delle eleganti sale adiacenti.
I frames ripresi domenica al Musée Rodin e montati nella foto qui sopra cercano di dare immagine di quelle analogie e accostamenti.
Il titolo Il corpo come scultura, coerente e quasi giustificativo della collocazione dei lavori della Abramovich e Ulay al museo parigino mi ha suggerito il richiamo alla citazione di Marius Schneider usata qui in apertura, citazione che, a sua volta, mi ha portato a rileggere il frammento d'intervista, anch'esso qui riportato dove si parla di scrittura musicale (la “partitura musicale richiamata da Obrist) e di ripetizione. Ripetizione, ripetizione, ripetizione, ripetizione che è la base del suono e della musica: dal microlivello del timbro attraverso quello intermedio del ritmo al macrolivello della forma (e a quello globale della storia della musica?).
Rileggendo i testi per individuare e scegliere il frammento da riportare mi sono riproposto la domanda: è forse l'arte lo spazio privilegiato del sacro, oggi nella società industrializzata, meccanicizzata, capitalizzata? L'arte vivente e umanamente presente della performance, della musica, della danza, del teatro.
Artisti, come Marina Abramovich, si pongono come interpreti sciamanici che indicano una soglia da varcare e la voce e il corpo ne sono gli strumenti.
Immagini e suoni: Giuseppe Gavazza, novembre 2010
Un buon mago deve essere un buon cantore. Ciò non vuol dire che debba avere una bella voce; deve essere un risuonatore prosciugato dal sacrificio, capace di riprodurre tutti i suoni della natura. Quando la sua pelle, secca come la pergamena di un tamburo, tocca le ossa, egli é diventato una pura offerta agli déi, i quali a loro volta si offrono a lui entrando nel suo corpo. Basta che egli lasci spalancata la bocca e si comporti come il dio evocato, perché questi penetri in lui, gli imprima i movimenti della sua danza e canti per mezzo della sua bocca.
Marius Schneider, La musica primitiva, Adelphi 1992, p. 72 Hans Ulrich Obrist: Lei accennava all'idea di usare una specie di “partitura musicale” per rifare delle performance fatte in passato
Marina Abramovich : Bisogna trattare la ripetizione in due modi diversi. Dico subito che la ripetizione, in tutte le culture, mi interessa moltissimo.
incipit del capitolo Conversazione con Marina Abramovich, da qualche parte in Giappone, sul treno proiettile diretto a Kitakyushu, 1998, dal volume Il teatro della performance, a cura di Danilo Eccher, Umberto Allemandi, Torino, 2009; catalogo della mostra di identico titolo, GAM Torino, ottobre 2009 - gennaio 2010Marina Abramovich : Bisogna trattare la ripetizione in due modi diversi. Dico subito che la ripetizione, in tutte le culture, mi interessa moltissimo.
Ho ritrovato i video delle performances realizzate da Marina Abramovitch (spesso in duo con Ulay, negli anni '70 ed altri video più recenti: video famosi quanto l'artista e le sue performances (mi sembra inutile una descrizione o una presentazione, siamo in Internet, troverete facilmente tutti dati utili) un po' per caso e un po' per volontà tra Torino (intravisto Art must be beautiful, artist must be beautiful proiettati sul tram di Progetto Diogene, la sera di venerdì 5 novembre), Londra (Lisson Gallery, venerdì 12 novembre, al pomeriggio) e Parigi (Musée Rodin, Le corps comme sculpture 2, domenica 21 novembre).
Mi ha colpito in particolare la collocazione della mostra parigina: non uno spazio dedicato all'arte contemporanea ma un museo classico per uno scultore classico come Auguste Rodin: strano per me, inconsueto e apparentemente nulla di più lontano dai lavori della Abramovich. Invece mi ha convinto e coinvolto l'analogia visiva di temi che, visti nei video come Art must be beautiful, artist must be beautiful, Freeing the voice, Breathing in Breathing out) ho ritrovato nei bronzi, nei marmi e nei dipinti delle eleganti sale adiacenti.
I frames ripresi domenica al Musée Rodin e montati nella foto qui sopra cercano di dare immagine di quelle analogie e accostamenti.
Il titolo Il corpo come scultura, coerente e quasi giustificativo della collocazione dei lavori della Abramovich e Ulay al museo parigino mi ha suggerito il richiamo alla citazione di Marius Schneider usata qui in apertura, citazione che, a sua volta, mi ha portato a rileggere il frammento d'intervista, anch'esso qui riportato dove si parla di scrittura musicale (la “partitura musicale richiamata da Obrist) e di ripetizione. Ripetizione, ripetizione, ripetizione, ripetizione che è la base del suono e della musica: dal microlivello del timbro attraverso quello intermedio del ritmo al macrolivello della forma (e a quello globale della storia della musica?).
Rileggendo i testi per individuare e scegliere il frammento da riportare mi sono riproposto la domanda: è forse l'arte lo spazio privilegiato del sacro, oggi nella società industrializzata, meccanicizzata, capitalizzata? L'arte vivente e umanamente presente della performance, della musica, della danza, del teatro.
Artisti, come Marina Abramovich, si pongono come interpreti sciamanici che indicano una soglia da varcare e la voce e il corpo ne sono gli strumenti.
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