di Roberto Tortora
Il 13 aprile 2011, a Novara, la signora Cesarina Cossu ha conseguito una laurea in Farmacia.
All’età di 71 anni.
Niente paura, non si tratta di uno dei pluriennali fuoricorso che gravano sul bilancio del Ministero dell’Università a causa della loro scarsa voglia di studiare, insomma quel genere di matricole che rimandano gli appelli degli esami perché troppo impegnati a digitare SMS tra una birra e una caccia alle mosche.
Lei, Cesarina, quando ha presentato il modulo d’iscrizione alla Segreteria dell’Ateneo sapeva con dolorosa certezza che da quel momento avrebbe avuto meno tempo per far saltellare i nipotini sulle ginocchia. E sapeva anche – perché glielo hanno rimproverato in tutte le maniere possibili: con cortesi inviti a ripensarci; con sguardi carichi di commiserazione; con espliciti sberleffi – sapeva che si stava incamminando lungo una di quelle strade buie che solo i folli amano percorrere.
Il fatto è che a sostenerla, durante gli spigolosi anni di studio, esame dopo esame, non sono stati i servizi sociali, né una stampella ortopedica contro l’artrosi, né la subdola promessa di facilitazioni offertale dalle bancarelle di qualche Università da quattro soldi.
A spingerla avanti come un missile spaziale è stata una promessa fatta al figlio: l’impegno a tener fede a un patto stipulato con lui sul letto di morte. Gian Pasquale Cossu, scomparso a ventidue anni a causa di una leucemia, aveva chiesto alla mamma di continuare in sua vece il corso di studi che lui aveva dovuto interrompere forzatamente. Una richiesta inspiegabile, illimitata, irragionevole: come il desiderio, come il sogno, come l’amore. E l’incrollabile mamma ce l’ha fatta.
In molti ricorderanno che fino a qualche anno fa negli ambienti scolastici si faceva un gran parlare di Long Life Learning, l’apprendimento lungo l’arco di tutta la vita. Tre elle, un bell’acronimo very english che correva sulle bocche di pedagogisti e uomini politici pronti ad arraffare pubblicazioni e quattrini in nome di un principio che avrebbe garantito l’istruzione a giovani, adulti e anziani. Prima ancora si era discusso di “Educazione permanente”. Insomma, sembrava che da un momento all’altro una rinfrescante ondata di istruzione avrebbe ininterrottamente bagnato tutti, dai bambini agli anziani. E invece non se ne è fatto niente, perché gli uomini, sempre lesti a coniare titoli accattivanti, si arrendono senza pudore quando occorre tradurre le parole in fatti, quando arriva il momento di creare concrete condizioni di apprendimento che impegnino tutti nell’aggiornamento continuo.
Oggi le Istituzioni non solo risultano incapaci di sostenere un’educazione a lungo termine per i cittadini, ma addirittura non riescono a frenare l’analfabetismo di ritorno, ovvero il pericoloso deterioramento di quel poco che si era imparato negli anni della prima istruzione. Numerosi diplomati e laureati incontrano diversi gradi di difficoltà quando devono comprendere o produrre testi semplici.
Quella che manca – tra i decisori politici come tra i singoli cittadini – è un’idea forte dell’ impegno individuale. Si è convinti che stare al mondo sia un diritto di cui godere il più possibile e il più in fretta possibile, eludendo pervicacemente qualsiasi sforzo, anche quello – doveroso – di mantenere in allenamento la capacità di lettura, di scrittura e di studio.
Cesarina Cossu, invece, ha deciso di sedersi tra i banchi con i capelli tutti bianchi. Per lei stare al mondo non è solamente un diritto, è anche un dovere da onorare con l’esercizio di una responsabilità silenziosa e continua. I suoi nipotini hanno ragione di vedere in lei una nonna con una marcia in più, una nonna con i capelli che sanno di alloro, e noi che l’ammiriamo siamo convinti che durante la folle corsa che l’ha portata alla laurea abbia tenuto ben stretto tra le mani il testimone di una staffetta morale consegnatole dal figlio. Un testimone pesante ma radioso, alla luce del quale almeno una volta tutti dovremmo bagnarci.
Nella foto: Tito Rossini, La canna, olio su tela
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