giuseppe gavazza
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Mi
scrive un'amico reduce da una festivaliera settimana di cinema:
«Devo
dire, comunque, che se sono stati selezionati una quindicina film in
concorso su più migliaia di film esaminati o la scelta è stata
pessima o la produzione cinematografica contemporanea ed indipendente
è assai scarsa!”
Non
posso dire nulla perché non c'ero e se ci fossi stato forse non
avrei dato un giudizio così tranciante. Ma mi chiedo se le
imposizione del mercato e della distribuzione non giochino al ribasso
della qualità, almeno dal punto di vista della creatività, della
capacità d'inventare, di dire qualcosa di personale e vivo che
arriva al pubblico.
Lo
dico perché una mia esperienza recente in un festival di
cortometraggi la descriverei invece in termini opposti:
“Posso dire che sono stati
selezionati una trentina di film su più di un migliaio: la scelta é
stata eccellente e la produzione di oggi e indipendente é senza
dubbio di buon livello.”
Il
cortometraggio é la palestra, il laboratorio, lo studio, il
trampolino di lancio di autori che, talvolta, tentano la carta del
“grande film”: spesso proprio l'affermazione in un festival di
corti prepara la chance di tentare la produzione di un
lungometraggio. Sfogliando l'elenco dei registi e realizzatori di
qualche festival di corti internazionale e con una certa storia si
trovano molti nomi che poi sono diventati (più o meno) noti, proprio
perché passati alla produzione “importante” di lungometraggi con
la conseguente distribuzione e passaggio nelle sale cinematografiche
di larga diffusione: dove – chissà – potrebbero aver fatto cose
meno belle, compiute, interessanti di quelle brevi e precedenti.
Mi
chiedo quanto la “necessità” di adeguarsi ai formati imposti
dalla distribuzione, tra cui la durata, possa rivelarsi negativa.
Talvolta si sente parlare di registi che hanno dovuto tagliare per
adeguarsi alla cornice default del “un po' meno di due ore”.
Necessità di geometrie temporali standard, come per le misure delle
scatole da far stare in un container: se sfori sfasi tutto, rompi la
simmetria, le regole e pure le scatole.
Succede
di rado che registi importanti riescano ad imporre lunghezze
superiori e sono altrettanto rari i casi di film brevi distribuiti
nelle sale ordinarie in forma antologica di film ad episodi di unico
o diversi registi.
Forse
perché il mio mondo é la musica, so che riempire quasi due ore,
catturare l'attenzione dello spettatore per circa 100 minuti é
terribilmente difficile, e lo é sempre di più nella frenetica e
rapida comunicazione a cui ci stiamo adeguando. Certo la narratività
e la multimedialità del cinema (la musica non ne é che uno degli
elementi) aiutano ma sono rari i casi di brani di musica così
lunghi, se escludiamo la lirica, che potrebbe essere considerata
l'antenata del cinema: si narra, si parla, si canta, ci sono scene,
costumi, protagonisti e personaggi.
Proprio
perché abituato alla musica trovo naturale, spontaneo, opportuno,
conveniente tagliare un tempo lungo in sezioni: i movimenti di una
composizione o le canzoni di un album. Brani, letteralmente, che poi
esistono, hanno vita propria e spesso – spezzati e sbranati -
ottengono successo per conto proprio; proprio in virtù della non
narratività della musica o, quantomeno, della sua narratività non
lineare e non (troppo) casuale o, più semplicemente, non colta dai
più.
Forse
la musica potrebbe insegnare qualcosa. Il cinema é un'arte giovane,
ha qualche secolo in meno delle altre arti tra le quali quella a cui
più si avvicina é, credo, proprio la musica.
L'etimo
di cinematografia é scrittura del movimento: é un arte dinamica.
Anche la musica é un arte dinamica, non potrebbe esistere senza
tempo e senza movimento. La scrittura musicale é l'unica scrittura
del tempo e del movimento che ha preceduto la cinematografia (la
scrittura dei movimenti coreografici é recente e poco condivisa).
La
storia della musica e della scrittura musicale (la cinematografia dei
suoni nel tempo) é stata rivoluzionata dalla tecnologia (iniziando
dalla registrazione audio) che ha reso possibile la cinematografia:
elettricità prima e digitale ora.
Credo
che la scrittura del tempo musicale possa insegnare molto all'arte
delle immagini (e dei suoni) in movimento: e la scrittura dei corti,
spesso più belli dei lungometraggi, in parte lo conferma.
La
forma breve non solo é più agile da gestire e costa meno, ma é
probabilmente più facile anche da fruire: é forse un modo di
comunicazione più adeguato ai tempi. E, mi pare, che la musica lo
abbia capito prima: semplicemente perché ha più storia.
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