giuseppe gavazza
Jeff
Mills é nero (ma non troppo), é bello, é brizzolato (pochissimo,
ma nel punto giusto), é elegante, è sempre seriosamente serio, come
si conviene ad un vero grande artista che sa di esserlo ma non fa
pesare di saperlo, apparentemente.
Le
sue foto ufficiali sono pagine di una rivista patinata di moda: pura
e asettica perfezione da advertising. Iconicamente frontale su fondo
bianco Mac-like se non di ¾ con luce di taglio e sguardo avanti,
verso l'infinito: il santino di un cristo di colore
con chiaroscuri sfumati degni di un bravo studente di accademia di
belle arti o di un buon mestierante fotoshop. (*1)
Oggi,
sabato 24 ottobre, al Barbican di Londra la cronaca di un sold out
annunciato (le previsioni che si autoavverano quando si sincronizza
il grande sistema dei media) prepara la gourmandise di un concerto
che mette in fila brani di repertorio che si ascoltano frequentemente
nelle sale da concerto anche senza la benedizione del gesù moderno
(à la mode) artista e creatore.
Il
trailer che si può ascoltare on line é una riedizione di quello che
nei salotti di madamine e gentil signori si chiamava pot-puorri: un
melange ruffiano di temi ben conosciuti, di stili e generi
democraticamente diversi, nel peggiore dei casi con infilato dentro -
di già - il proprio prodotto da vendere. Un vero pacco, come le
escursioni low cost in bus in riviera dove ti rifilano le pentole di
inox.
L'astronomia
é solo nel titolo: accostare il cosmo al brano (R.Strauss: Also
spracht Zarathustra) che conclude (e
inizia) 2001 Odissea nello spazio,
un ever green malgré lui che anche la pubblicità televisiva più
corriva conosce e usa in maniera invasiva non é certo indice di
originalità o profonda cultura musicale. Il dubbio si scioglie alla
pagina web dove si legge che il G Song,
quartetto di Riley is “An
evolving piece, the playfulness of it reminds me of Debussy.’;
come se io vi dicessi che la lettura di Dan Brown mi ricorda Borges
nell'edificazione di spazi immaginari e vertiginosi.
Le
coincidenze mi hanno portato pochi minuti dopo a ricevere un
messaggio dell'impagabile amico fRanz, il mio pusher di informazioni
interessanti di arte e cultura, nonché di politica artistica e
culturale:
LAFORTEZZA VUOTA discorso sulla perdita di senso del teatro, di Massimiliano Civica e Attilio Scarpellini, un
testo di grande lucidità, intelligente e profondo sulla situazione
del teatro oggi in Italia; che estendo alla musica, all'arte e alla cultura oltre i confini nazionali. Da questo testo stralcio un frammento:
“I
direttori artistici che “firmano”
le stagioni come Duchamp firmava ruote di bicicletta e orinatoi
rovesciati (ma con assai meno ironia) sono i delegati di un potere
che, giunto al culmine della propria smaterializzazione, gioca la sua
ultima carta, la più prossima all’insensatezza definitiva:
trasformare l’amministrazione in una nuova forma d’arte, l’unica
degna di essere compiutamente finanziata dal momento che gestisce lo
spettacolo per eccellenza, quello del consenso. “
Ho
scritto in passato che i dj possono essere considerati una via di
mezzo tra i compositori (che usano pezzi di suono minuscoli: le note
o i bit audio) e i direttori artistici (che usano pezzi di suono
molto lunghi: i brani dei compositori).
Quando
un dj fa il direttore artistico one shot ed é testimonial di un
pot-pourri musicale glamour siamo alla frutta: se l'arte é capacità
di inventare, originalità, induzione a far pensare e riflettere di
certo, se posso permettermi, qui non ce n'é traccia.
“Potpourri
or Pot-Pourri (/ˌpoʊpʊˈriː/; French, literally "putrid
pot") is a kind of musical form structured as ABCDEF..., the
same as medley or, sometimes, fantasia. It is often used in light,
easy-going and popular types of music.”
-
*1: l'accostamento dell'iconografia ufficiale di un
compositore/artista a quella della devozione cristiana l'ho tratta
dal testo “Aesthetic
Necrophilia reification, new music, and the commodification of
affectivity” di Gordon
Downie, leggibile e scaricabile alla pagina:
http://www.jstor.org/stable/25164566;
il compositore in questione é James MacMillan.
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